Il grande inviato ha viaggiato il mondo per conoscerlo e per capirlo non per conquistarlo

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Tiziano Terzani è morto nell'estate del 2004. È da poco uscito in Polonia il suo ultimo libro postumo, "La fine è il mio inizio". È la trascrizione, di oltre 500 pagine, delle sue conversazioni con il figlio Folco. Avevano iniziato a parlare in primavera nella loro casa di campagna, a Orsigna, e non hanno smesso fino agli ultimi giorni di vita del giornalista. Terzani semplicemente racconta la sua vita. L'infanzia, la giovinezza, i primi testi, i primi viaggi. Poi la grande avventura: l'Asia. Il Vietnam, il Giappone, le isole Curili, Sachalin, l'India, ma anzitutto la Cina. L'amore più grande. Semisdraiato, coperto da un plaid, con gli occhi fissi al paesaggio montano, ricostruisce la sua vita. Molto debole, molto malato, consapevole che sarebbe morto entro breve, faceva ritorno al passato con una gioia tale come se quei giorni trascorsi dovessero ancora sopraggiungere.

Leggendo altri suoi libri, come ad esempio "In Asia" o "Un indovino mi disse", non vi avevo trovato quella forza, quel fuoco. Forse perché erano composti anzitutto da brani scritti per i giornali. Ma ora, un mese o due prima di morire, Terzani intesseva un racconto pieno di passione e di sincerità. Parlava del suo essere di sinistra, della sua fascinazione per la Cina comunista. Parlava di quando questa fede l'aveva perduta, del disinganno verso la rivoluzione. Raccontava del disgusto provato per il mondo del potere e i politici, parlava di oppio, di gioco d'azzardo, di bordelli asiatici, dei suoi crolli nervosi, dell'avversione ispiratagli dalla società giapponese, che gli sembrava semplicemente disumana. Nella sua narrazione la rivoluzione culturale cinese occupa uno spazio altrettanto importante dell'abitudine cinese di allevare i grilli: i cinesi li allevano d'inverno per ascoltarne il canto. I grilli vivevano in piccole casette di porcellana, tenute in tasca dai loro proprietari. 
Quando infine si domanda perché fosse stato in tutti questi posti, perché vi avesse dedicato la vita, perché avesse fatto tutto ciò rinunciando ad avere una casa propria, perché lo avesse descritto, l'unica risposta che trova è: "Perché mi piaceva". 
Una risposta bella e semplice.

La nostra esistenza forse non ha un altro significato. Vaghiamo per il mondo per poterlo raccontare. Non per conquistarlo, cambiarlo, conoscerlo e capirlo, ma solo per descriverne la bellezza. Una bellezza che spesso non siamo in grado di comprendere, ma avvertiamo che ci trafigge con la forza del primo amore. Gonfio, privo di forze, sollevato a peso dai propri figli, Terzani ci dice che, quando arriva la fine, possederemo soltanto ciò che abbiamo vissuto. Morendo lo perdiamo. Ma chissà che non sia proprio in questo che consiste l'eroismo del destino umano. Quanto più la vita è stata ricca, intensa, forte, tanto più restituiamo alla morte. Possiamo trascorrere i nostri giorni seduti in un cantuccio, immobili, possiamo consentire alla bellezza del mondo di evitarci, così forse moriremo con minore rimpianto. La scelta dipende da noi.
Ma con Terzani le cose sono ancora diverse: ha vissuto molto e ha vissuto cose molto belle, e muore senza rimpianto. Sembra essere contento che la sua vita si sia compiuta nel destino che gli è stato assegnato. Il contenuto ha riempito la forma, come l'acqua colma una brocca.
Ai tempi d'oggi, che temono la morte come il fuoco, la testimonianza di Terzani ha un peso particolare. Nei suoi racconti ciò che è trascorso, vivo e affascinante di volta in volta si intreccia al presente, alla dipartita, al morire. La saggezza del giornalista unisce la trama della vita e il tema della morte in un tessuto forte, uniforme e bello. "Da una candela se ne accende un'altra", dice a un certo punto. Lo si potrebbe considerare una consolazione banale. Ma queste parole sono dette da un uomo che sa che si spegnerà fra un istante, un uomo cosciente della miseria corporale della morte. Il figlio, aiutandolo a sedersi, un giorno gli dice: "Hai un cattivo odore". Il profumo delle Indie, l'effluvio inebriante dell'Oriente e dei ricordi si mescolano al fetore cadaverico del presente.

Al tempo stesso la morte di Terzani sembra quasi ideale. Muore in casa, fra i suoi cari, in un bel paesaggio. È una morte a dispetto del morire attuale, poiché avviene in maniera aperta, di fronte a molti testimoni, ed è al tempo stesso alla ricerca di un proprio senso. Ho l'impressione che evitando gli scogli e le secche di ogni ortodossia riesca alla fine a trovarlo.