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Cultura
settembre, 2010

Le pagelle di Vanessa Friedman

Il ritorno del lungo. L'aria stagnante che si respira in Italia. La grinta della collezione di Versace. Intervista a una delle penne più autorevoli del giornalismo internazionale

Rossa di capelli sempre garbatamente raccolti in uno chignon, sguardo curioso e aperto come una finestra sul mondo. Lei, Vanessa Friedman, è una delle penne più autorevoli del giornalismo di moda internazionale.

Ha esordito con una collaborazione con Vogue America e oggi é la responsabile delle pagine di moda del quotidiano Financial Times. Ciò nonostante non ama farsi notare, a differenza delle sue illustri colleghe che alle sfilate più importanti del mondo infilano gli occhiali da sole e occupano la prima fila. Veste di scuro, anche se sempre in modo impeccabile, ed è quel che si direbbe l'epitome di un understatement molto british, nonostante lei sia una newyorkese purosangue. Poi, una volta rotto il ghiaccio, si scopre che dietro l'apparente riservatezza si nasconde una donna in gamba e cordiale che si divide fra il suo mestiere di critico acuto e sempre presente dove occorre e quello di madre di tre figli ancora piccoli che vivono con lei nella Grande Mela.

L'abbiamo intervistata interpellandola sui nuovi scenari che si aprono nel mondo della moda e sulla futura evoluzione di questo business patinato.

Signora Friedman come vede questo momento storico e sociale così particolare in riferimento alla moda e all'evoluzione del gusto?
E' un periodo di transizione dominato da una certa confusione. Stiamo assistendo a una serie di cambiamenti epocali a livello globale: dall'arrivo di Obama alla Casa Bianca al nuovo premier inglese fino alle scelte di Berlusconi. Credo che la gente oggi sia molto preoccupata per il futuro e che sia attanagliata da problemi di vario genere legati perlopiù a un'economia che va a rotoli in molti paesi del mondo. In questo quadro non è facile definire una tendenza univoca nella moda che d'altronde è il riflesso dell'evoluzione della società. In questi giorni le sfilate sono apparse piuttosto dispersive. Quello che abbiamo visto non è né minimalismo né il suo opposto ma solo uno work in progress. D'altronde il neominimalismo rilanciato da Phoebe Filo come stilista di Celine, pur esercitando una profonda influenza sui mutamenti del gusto degli altri creativi, non sta ottenendo grandi consensi a livello commerciale mentre Prada e Jil Sander anche se spesso sono definiti minimal in pratica poi determinano un'evoluzione di quell'estetica in una direzione diversa, più ludica, ironica, interessante e attuale. E poi bisogna considerare che oggi le persone pur vestendosi alla moda non si identificano più con i valori propugnati da un singolo brand. Ad esempio una volta si poteva notare l'esistenza di gruppi di persone legate dal desiderio di condivere l'appartenenza a una community griffata Gucci o Prada. Oggi magari quelle stesse persone preferiscono appartenere alle community di Facebook.

Secondo Lei che differenza passa fra l'approccio americano allo stile e la moda legata al nostro Made in Italy?
Direi che mentre una volta in America c'erano solo pochi nomi come Ralph Lauren, Donna Karan o Calvin Klein che hanno esportato la moda a stelle e strisce in tutto il mondo, oggi questi colossi sono affiancati da una pletora di stilisti emergenti che rendono il panorama generale molto più articolato e interessante, merito anche delle celebrities e del ruolo che ha giocato finora Michelle Obama. Questo stesso fermento e ricambio generazionale mancano in Italia dove si respira un'aria stagnante. Comunque ho trovato molto decisa e mirata la collezione di Versace che mi ha ricordato lo stile della maison di 15 anni fa, un bel lavoro.

Qual è il trend vincente per la prossima primavera-estate?
Il lungo.

Come vede la situazione presente e futura del fashion business? Quali sono gli orientamenti preponderanti?
Si va facendo sempre più chiara la separazione fra un fast fashion in continua espansione e una couture sempre più di nicchia, legata alla ricerca e dai costi elevati. Poi ci sono alcuni nuovi talenti desiderosi e capaci di tracciare un loro percorso all'interno dell'industria della moda con un buon ritorno in termini di giro d'affari. Uno dei più brillanti in questa categoria è sicuramente Christopher Kane, accanto a Louise Goldin, Proenza Schouler e Peter Pilotto. Sono stilisti che mirano ad assicurasi un posto al sole coniugando creatività e business. Poi ci sono quelli che preferiscono occupare una nicchia rilevante avulsa dai trend del mercato, ad esempio Rodarte. A mio avviso un bravo stilista deve saper fare un buon prodotto perché in fin dei conti la moda è un grande business. Marc Jacobs ad esempio lo ha capito molto bene. E in definitiva la gente compra un certo tipo di prodotto perché lo fa sentire meglio nella vita, perché lo trova bello o semplicemente perché è il prodotto che meglio esprime lo spirito del tempo in quel determinato momento. E poi non conta che uno stilista riproduca modelli del passato, purché sappia rinnovarli proeittandoli nel futuro. Come ha fatto Raf Simons nell'ultima collezione femminile per Jil Sander.

Secondo Lei cosa cosa vogliono oggi le donne dalla moda?
Sentirsi belle e a posto nei propri panni senza dover pensare neppure per un attimo a ciò che indossano. E' l'abito che deve adeguarsi alla persona e non il contrario. Per essere eleganti a mio avviso bisogna avere fiducia in sé stessi. L'eleganza è integrità. Azzedine Alaia secondo me è uno di quegli stilisti capaci di far sentir bene una donna nelle loro creazioni. I suoi abiti neri sono formidabili: non sono né trasparenti né scollati ma quando cammini per la strada la gente ti ferma per complimentarsi con il tuo look. Merito della sua abilità tecnica.

Esiste ancora una divisa per il successo?
Sì, le donne che lavorano in una banca o in uno studio legale ad esempio non hanno mai smesso di portarla e gli stilisti non hanno mai smesso di creare tailleur e camicette. Solo che magari in passerella non si vedono così frequentemente. E poi quel modo di vestire oggi è più decostruito, meno aggressivo.

Esiste ancora il lusso?
Certo. Oggi, archiviata la fase in cui questo termine aveva perduto ogni significato dato che è stato applicato a qualunque cosa, dall'hamburger al caffè, sta di nuovo recuperando rilevanza. Anche perché la crisi finanziaria ha sicuramente fatto piazza pulita di coloro che hanno contrinuito a rendere questo termine privo di senso e per certi versi obsoleto.

Quale sarà l'epicentro della moda del futuro?
Preferirei parlare non di uno ma di più epicentri. E la Cina è sicuramente uno di questi.

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