L'altra Napoli sta tutta in otto chilometri quadrati. Chiaia, Posillipo, qualche zona del Vomero basso. Otto chilometri quadrati dove vive meno di un decimo della popolazione, e dove si concentra l'80 per cento della ricchezza della città. Professionisti, nobili, arricchiti, professori, imprenditori e rentier, la minuscola borghesia vive tutta qui. Quella che è rimasta, perché in molti sono andati via da un pezzo.
Qui ci sono le griffe e i negozi d'alta moda , i baretti della movida e le discoteche, i ristoranti più chic a fianco alle pizzerie che riciclano i soldi sporchi, le barche ormeggiate davanti ai circoli nautici di via Caracciolo.
Qualcuno ha comprato ai figli qualche appartamento con terrazzo agli ultimi piani dei Quartieri Spagnoli, enclave popolare incastonata in mezzo alle strade delle boutique, ma è un'eccezione: difficile che i nativi escano fuori del bunker. Barra e Scampia sono lontani come un paese esotico. "Non prendeteci in giro però. Non parliamo dei nobili napoletani come fossero dei rincoglioniti".
Il duca Vincenzo Caracciolo d'Acquara sta rinchiuso nella dimora di famiglia sopra piazza dei Martiri. "La monnezza è arrivata anche qui, la camorra pure. Io? Ho gestito bene la mia vita. Ho giocato a hockey sul ghiaccio da ragazzino, ho corso in Formula 3 negli anni '80, ora allevo cavalli nella mia casa di campagna". Il romanzo che sta scrivendo tra gli arazzi del Cinquecento si chiamerà "211". "Parlerà della base militare che Hitler fece costruire al Polo Sud e che non fu mai trovata". A 30 metri da casa sua c'è l'albergo di Franco Calandro, ingegnere che con la moglie notaio ha aperto nel 2004 Palazzo Alabardieri. "Mio figlio ha seguito un master alla Luiss, il settore turistico gli è sempre piaciuto, e così abbiamo investito su di lui. Per fortuna abbiamo avuto successo immediatamente. La clientela è soprattutto fatta di businessman, la location è splendida. A Chiaia? Si vive ancora bene, è un'oasi in mezzo al deserto. Nel "quadrilatero" la qualità della vita è alta. Ci sono garanzie che il resto della città si sogna. Forse perché l'abbiamo difeso bene e non è un caso che qui le case più belle costano oltre 15mila euro al metro quadro". Anche di più, se a Posillipo vuoi comprarti una villa con piscina e discesa a mare.
Lo studio dell'artista e fotografo Paul Thorel è a 100 metri di distanza. Lo studio è enorme, 300 metri quadri che affacciano su un giardino, dentro un grande archivio, opere d'arte appese dappertutto, una segheria al piano terra per fare a mano le cornici delle foto. "Mi sono trasferito a Napoli nel 1994, prima abitavo a Roma. Resto qui perché è un posto interessante. Ancora oggi. Innanzitutto perché c'è il mare, io faccio soprattutto paesaggi marini". Thorel quando può va in barca. L'altra Napoli, ovviamente, sa che i condizionamenti criminali arrivano ovunque. "Che le devo dire, io faccio l'artista, ho necessità di immergermi nei posti "marginali", dove mi posso sentire davvero libero da condizionamenti culturali e politici. Quando ho voglia di modernità e del contemporaneo, prendo un aereo e vado nel mio appartamento di Parigi".
Chi resiste non sempre ha il coraggio di superare il muro immaginario che separa gli otto chilometri dal resto della città. Come gli inglesi che vivevano nella colonia di Hong Kong, gli intellettuali la Napoli popolare la vivono come fosse uno sfondo, una quinta. Altri, in pochi, provano a immergersi dentro la Napoli più difficile, quella che finisce sui giornali o in tv. Franco Rendano, 62 anni, vive a via Cappella Vecchia, a due passi da piazza dei Martiri, e ha due lavori. Chirurgo e animatore culturale. Ha inventato in un antico lanificio fatiscente vicino Porta Capuana il Lana 25, destinato a pittori, musicisti, attori e performer. "Non chiamatemi mecenate, detesto il termine. Io non commissiono opere d'arte, ma investo per creare luoghi d'incontro, che spero facciano conoscere i diversi movimenti culturali presenti in città. Ora stiamo organizzando il secondo Festival del Pensiero emergente". Tema: "L'inesistenza".
Dal suo terrazzo di via Orazio, Lilli Albano guarda la città dall'alto, il solito incredibile spettacolo. "Noi che viviamo negli otto chilometri ce la possiamo godere tutta, la bellezza, senza pagare il prezzo altissimo come quelli che vivono in basso. Però non abbiamo la coscienza pulita. Perché qui chi potrebbe non fa quanto dovrebbe". Editrice dell'emittente locale Canale 8, ammette di essere una privilegiata. "Siamo in tanti a essere fortunati. E pochissimi fanno attenzione al sociale. Le signore bene organizzano feste di beneficenza e ricevimenti che servono solo al loro ego e alla loro immagine. Sa chi fa di più per la città? La gente onesta dei quartieri popolari. Comunque io non potrei vivere da nessun'altra parte".
La Napoli dei "chiattilli", delle piattole, la chiamano così quelli che la disprezzano o la invidiano, non parla mai con quella delle periferie. Dove c'è troppa povertà, il denaro vale ancora di più, e le distanze tra classe agiate e proletariato crescono. L'incontro quasi sempre diventa scontro. Come a piazza Vanvitelli, ex salotto buono del Vomero spesso in prima pagina della cronaca per liti e risse, dove la metropolitana collinare scarica "i borgatari" di Scampia facendo scappare i figli della buona borghesia intenti nell'aperitivo e nello shopping.
Il notaio Sergio Cappelli, 53 anni, è a Napoli solo sabato e domenica, il resto del tempo va in Calabria. Immenso appartamento a via Crispi, dice che sotto il Vesuvio è soddisfatto "innanzitutto perché non ci devo lavorare". Meglio Cosenza, dunque. La storia degli otto chilometri non lo convince. "In tutte le grandi città si campa bene se si hanno grandi disponibilità economiche. Anzi: qui pure se non hai un reddito a cinque zeri puoi stare in grazia di Dio". Cappelli ha una collezione d'arte contemporanea pazzesca, ed è famoso per le feste leggendarie prese d'assalto dalla città che conta. Qualche volta ci capita anche Federico D'Angelo Giordano, avvocato di 38 anni, socio di una società di charter di barche a vela. Quando può, insieme all' amico di una vita Federico Florena, architetto che ha lavorato per Renzo Piano e Norman Foster, si gode il maestrale del Golfo. "Napoli è come Rio de Janeiro: lì girano con la tavola da surf sotto braccio, qui se hai i soldi prendi e te ne vai a fare un bagno a Capri, vai a mangiare a Nerano, puoi fare un salto a Positano o a Ischia, posti tra i più belli del mondo. Ma la città è andata. È in mano alla camorra, gli imprenditori per bene difficilmente prevalgono. Chi può riciclare denaro vince sempre sulla concorrenza che rispetta le regole". L'avvocato però ammette: "La vita che faccio qui a Milano, Londra o Parigi me la sognerei". Rinchiusi negli otto chilometri i ricchi, nonostante tutto, non possono lamentarsi.
ha collaborato Duccio Giordano