E' guerra contro quella che si preannuncia una censura della Rete in Italia, la delibera 668/2010 dell'Agcom, che il garante delle Comunicazioni ha annunciato di volere approvare il 6 luglio. Fra i punti sensibili della delibera c'è la possibilità da parte dell'Agcom di rimuovere contenuti da qualsiasi sito web che violi il copyright, o addirittura oscurare siti stranieri tramite firewall, senza bisogno di una sentenza del giudice.
Sul web la battaglia è iniziata: da una parte blogger, giornalisti e giuristi italiani schierati contro la delibera, come Luca Nicotra, presidente di Agora Digitale che vede Mediaset dietro questa manovra; o come il presidente dell'Istituto per le Politiche dell'Innovazione Guido Scorza, che dal suo blog sottolinea come la delibera sia in contrasto con la giurisprudenza dell'Unione Europea.
Non poteva mancare l'attivismo virale della Rete, con le petizioni di Valigiablu e Avaaz che si diffondono a macchia d'olio grazie ai social network. Ma la lotta più estrema è quella degli hacker, che hanno reagito male alla delibera: il collettivo Anonymous ha preso di mira il sito dell'Agcom, mentre dall'hackmeeting di Firenze il leader Richard Stallman ha incitato alla ribellione.
Eppure, nonostante da giorni si legga che l'Italia sarebbe l'unico paese europeo ad avere questa normativa, in Spagna, dal febbraio 2011, esiste qualcosa di molto simile. La legge Sinde, che è stata tra i motivi scatenanti della protesta degli "indignados". Abbiamo chiesto a Julio Alonso, presidente dell'impresa di media online Weblogs e tra gli ispiratori della protesta spagnola, i rischi a cui l'Italia va incontro. E cosa gli italiani potranno fare per scongiurarli.
In che maniera la spagnola Legge Sinde somiglia alla delibera dell'Agcom?
"Sono abbastanza simili: la legge Sinde prevede la chiusura di siti web che violino il copyright, come nella vostra delibera Agcom. Ma in Spagna ci deve essere una sentenza di un giudice per chiudere un sito, mentre la delibera Agcom che sta per approvare l'Italia mi ricorda la legge degli anni '70 di Franco, dove la censura, chiaramente non di internet ma della stampa, avveniva per via amministrativa". Io sono stato promotore del movimento #nolesvotes, poi confluito negli "indignados" proprio contro questa legge censura"
La conseguenza immediata qual è?
"Di solito più i governi mettono limiti del genere, più i cittadini trovano modi per aggirare le censure, e questo accade in tutto il mondo. Ma, al tempo stesso, ne scaturisce un'incertezza giuridica. Se io, blogger, ad esempio, non conosco i rischi che corro scrivendo in internet, magari certe cose evito di scriverle".
Lei è stato tra i promotori della protesta spagnola degli "indignados". Suggerisce agli italiani di protestare contro la delibera?
"Parlo per esperienza personale: ci devono essere due livelli della protesta a questa legge. Il primo deve avvenire in Rete, i blogger, i giornalisti, i cittadini italiani devono far capire bene a tutti quello che accadrebbe con questa censura. Devono informare in Rete, questa è la protesta migliore. Poi c'è il secondo livello della protesta, cioè uscire in strada, "Toma la calle!". Però, ripeto, la fase iniziale d'informazione è centrale, perché noi abbiamo fatto molta protesta in strada e nella piazze, nella Puerta del Sol di Madrid e in tutta la Spagna, ma tuttavia la Legge Sinde rimane poco conosciuta. E alla fine è stata approvata quasi all'unanimità in parlamento (323 voti contro 19)".
Se passasse la delibera Agcom che rischi correrebbe l'Italia?
"Rischi molto grandi, sia per i diritti dei cittadini che per l'economia. I governanti italiani, come quelli spagnoli e americani, non hanno capito o non vogliono capire. L'ha spiegato per bene il presidente di Google, Eric Schmidt, al G8 francese. Ha detto che è importante comprendere in fretta le conseguenze che derivano dai cambiamenti tecnologici e dei media. perché prima di fare leggi a riguardo bisogna capire cosa sta succedendo. E il punto con la legge Sinde o con la vostra delibera Agcom è proprio questo: sono state fatte da chi non conosce la Rete e i cambiamenti sociali che internet comporta, o da chi poco vuole conoscere. Queste leggi possono rallentare il cambiamento, mai fermarlo. E dico di più, se in Inghilterra o in Spagna le leggi che censurano il web potrebbero frenare un poco il cambiamento in atto, in Italia il rallentamento sarebbe molto maggiore".
Perché in Italia sarebbe peggio?
"Ho vissuto tre anni in Italia, parlo con cognizione di causa. La vostra classe dirigente, i vostri politici, hanno una media di età molto elevata, quindi il rallentamento imposto ai nuovi media, ai cambiamenti sociali e alla legislatura relativa avverrebbe in maniera più incisiva che in altrove. Come dicevo sarebbe impossibile mettere uno stop al cambiamento, si può solo ritardare, ma da voi probabilmente le conseguenze sarebbero più gravi che in altri paesi, con danni irrimediabili per la vostra economia."
In che modo un rallentamento del web porterebbe danni economici all'Italia?
"Penso agli enormi danni economici ai provider italiani. Tutti i soldi che dovranno spendere per rispondere alle richieste inoltrate all'Agcom, che potrebbero essere migliaia. Ma penso anche, in questo contesto chi investirebbe sui provider italiani, costretti alla censura? Nessuno. E quanti italiani trasferirebbero i propri siti su server esteri? Moltissimi probabilmente, come sta avvenendo qui in Spagna. Insomma i provider di sicuro sarebbero i più colpiti dalla censura, in termini economici. E poi, chi investirebbe sull'informazione online in Italia? Oppure pensiamo all'inevitabile fuga di cervelli che ci sarebbe, un fenomeno già molto esteso in Italia".
Fuga di cervelli e un grave danno economico, è questo che ci aspetta dunque?
"E' inevitabile, questo vale per i paesi come per le aziende, basta guardare cosa è successo in passato. Pensa alla Sony, che solo 15 anni fa aveva il monopolio della fruizione della musica, col walkman. Sony si è fermata, non è andata avanti. In 15 anni dal monopolio è passata a non esistere più sul mercato, che ora è quasi totalmente di Apple. Ora, mi chiedo, chi investirebbe sull'Italia, su un paese che sulla Rete è rimasto bloccato a dieci anni fa? ".
Consiglia agli italiani di fuggire all'estero, o solo di trasferire i siti sui server esteri?
"Il consiglio che posso dare agli italiani, se la delibera venisse approvata, è di trasferire i loro siti su server esteri, possibilmente in Islanda che ha un'ottima legislazione in materia di libertà d'informazione in Rete. Può fare la differenza nel medio e lungo periodo. Certo, se fossero oggetto di censura i loro siti potrebbero essere non visibili dall'Italia per via dei firewall, ma sempre meglio che farsi cancellare il sito e il dominio, no? Ci sono provider stranieri che, basando la loro mission aziendale sulla neutralità della Rete, hanno creato un vantaggio competitivo, come 1984hosting, il cui motto è: "Proteggere i diritti civili e politici dei nostri clienti, contro ogni governo". Questo è un esempio su come si possono capire i cambiamenti in atto nella società e nella Rete, cercando di creare valore. Economico, certo, ma soprattutto sociale".
Retromarce03.02.2011
Com'è brutta la censura Ue