Mohamed VI vuole modernizzare il suo Paese. E guidarlo verso la democrazia da vero leader

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Da quando Mohamed VI ha assunto il potere, nel luglio 1999, il Marocco è diventato a poco a poco un'eccezione nel panorama politico arabo e musulmano. Il re ha avviato le sue riforme partendo da quella del codice di famiglia che penalizzava le donne. il nuovo codice (Moudawana) non è perfetto ma costituisce sicuramente un passo avanti. Mohamed VI ha proseguito con la creazione di una commissione per l'analisi dei dossier della repressione durante il regno del padre. I dossier presentati sono stati 29 mila e la maggior parte delle vittime è stata indennizzata dallo Stato. Nessun capo di Stato o di governo arabo ha fatto una cosa simile. Il re ha lanciato quindi un programma di ricostruzione di un paese che ha ereditato dal padre in uno stato deplorevole.

Il re è un uomo moderno ed è convinto che il Marocco non progredirà se non si cambieranno le abitudini e se non si imporranno delle riforme sociali e politiche. Quando in Tunisia sono cominciate le rivolte tutti gli sguardi si sono voltati verso il Marocco, il cui popolo ha manifestato la sua solidarietà con quello tunisino. Più tardi, il 20 febbraio, in tutto il Paese si sono svolte delle manifestazioni i cui slogan non contestavano la monarchia, ma criticavano il governo accusandolo di incompetenza e prendevano di mira anche l'entourage reale, il cui quasi esclusivo interesse per i propri affari esaspera la popolazione. Il movimento del 20 febbraio è diventato ora un punto di riferimento che mantiene la pressione affinché siano veramente portate a termine delle riforme profonde e che il cambiamento sia concreto. Occorre ricordare che la corruzione in Marocco è un una piaga che rovina la vita quotidiana delle persone, in particolare nel settore della giustizia, lontana ancora dall'essere indipendente e giusta. Il sistema sanitario e quello dell'istruzione risentono di innumerevoli problemi da tempo. L'analfabetismo tra la popolazione è ancora a livelli molto preoccupanti (il 40 per cento circa della popolazione, per la maggior parte rurale, non sa né leggere né scrivere).

Il 9 marzo il re ha anticipato lo scontento dei cittadini con un discorso storico nel quale ha annunciato la riforma della Costituzione e altri progetti riguardanti la democratizzazione del paese. Il discorso del 17 giugno è stato ancora più decisivo. Lo statuto proposto dal capo del governo assomiglia a quello di un paese europeo. Il capo del governo sarà eletto dalla maggioranza in elezioni legislative e risponderà al Parlamento. Il Marocco avrà d'ora in poi due lingue ufficiali: l'arabo e il tamazight (berbero). Il re rimane comandante dei credenti, comandante in capo delle Forze Armate e responsabile delle nomine degli ambasciatori. Nei fatti agirà come un presidente che guida un Paese delegando una parte non trascurabile del suo potere.

Il primo luglio si è svolto un referendum sulla nuova Costituzione e il dibattito nel Paese in questo momento ferve. C'è chi ritiene che non sia stato delegato ancora abbastanza potere e chi vorrebbe una "monarchia parlamentare", vale a dire un sistema con un re "che regni ma non governi", mentre altri ancora si dicono soddisfatti appoggiando l'iniziativa del re. Il tasso di partecipazione al referendum è stato molto alto (72 per cento) e la Costituzione è stata approvata con i voti del 98 per cento della popolazione. Ciò non ha fermato le manifestazioni dei contestatori del 20 febbraio, prevalentemente dell'estrema sinistra, cui si sono ora uniti gli islamisti.

La democrazia non è un gadget, una pillola che si scioglie nel caffè del mattino. È una cultura: educarsi ad essa richiede tempo. I marocchini stanno imparando a vivere insieme. Se saranno democratici o meno dipenderà solo da loro. I partiti politici devono accompagnare questi cambiamenti domandandosi perché i giovani hanno perso la fiducia nei loro confronti (alle elezioni del 2007 l'astensione è stata molto alta). Gli islamisti sono organizzati meglio, ma i loro discorsi sono un software superato dopo la primavera araba. Ciò tuttavia non impedisce loro di essere presenti e di partecipare alla vita politica. Il Marocco sta attraversando un momento appassionante della sua storia. Sta facendo passi avanti in maniera non violenta (anche se la polizia ha commesso degli errori, come i cinque morti e i saccheggi del 20 febbraio).

Il re non vuole stare in secondo piano. Ha ragione. È un dirigente responsabile ed è molto sensibile alle istanze del suo popolo. Sa bene quali sono i mali che minano il Marocco. Non sottostima l'entità dello sforzo da compiere. Mohamed VI non ha alcuna intenzione di cedere il potere. Anche se è unito al re Juan Carlos da un sentimento di amicizia, non desidera seguire il suo esempio e quindi si tiene la prerogativa dell'ultima parola e partecipa alla vita politica del Paese. Non vuole essere un re che inaugura autostrade. È un uomo che ama il suo Paese con passione e che vuole vederlo evolvere verso una modernità reale.

Mohamed VI è il garante dell'unità del Marocco e della sua integrità territoriale. Questo è il motivo alla base della sua decisione di riconoscere ufficialmente la diversità linguistica dell'identità marocchina. Il re segue inoltre da vicino gli eventi nel Sahara occidentale, nella speranza di convincere gli algerini a preferire un piano di pace. Tutti vorrebbero dei cambiamenti rapidi nella vita politica, scordando però che il Paese esce da tre decenni di repressione, ingiustizie e paura: i suoi "anni di piombo". Oggi questo periodo è molto lontano. Il Marocco progredisce (lentamente) e continua a essere un'eccezione nel mondo arabo musulmano. Il futuro ci dirà se questa eccezione poggia su una base solida o è soltanto un'apparenza.
traduzione di Guiomar Parada