L'intuizione di ragazzi rabbiosi che creano la prima e unica organizzazione mafiosa di Roma. Nel racconto di chi li ha condannati come giudice e resi famosi come scrittore

Caro De Cataldo, sta per iniziare in Assise il processo alla Banda della Magliana. Se se la sente potrebbe farlo lei." È il 20 settembre 1995. Ho trentanove anni. Accetto senza esitare. Quindici giorni dopo, nella storica Palestra della Scherma di Luigi Moretti, si apre il processo alla più potente e famigerata organizzazione criminale romana.

Sino ai primi anni Settanta la malavita, nella capitale, era affare di bulli e di coltelli, di cravattari e di donnine allegre. Spadroneggiavano i temutissimi marsigliesi, gangster spavaldi, eccessivi, vagamente decadenti. Soprattutto, indefessi monopolisti del mercato della droga: allora come adesso, incontrastata regina nei locali alla moda dove la mejo gioventù, in partnership con volti noti dello spettacolo e sfiorite stelline del demi-monde suburbano, spendeva in memorabili notti brave gli ultimi spiccioli dell'agonizzante dolce vita d'un tempo.

Non che i benpensanti, allora come oggi, non fossero costantemente pervasi da fremiti di paura. Non che non si invocassero, allora come oggi, leggi speciali, drastica repressione, tolleranza zero. Il fatto è che la malavita non era ancora chiamata "criminalità", e men che meno "criminalità organizzata". Il fatto è che altre angosce turbavano i sonni della brava gente: in primo luogo, il terrorismo. Quello rosso, per la precisione. Così, quando a un certo punto tutto cambia, ad accorgersene sono in pochi. È il 1975/76. Un gruppo di giovani e ambiziosi delinquenti decide di costituire a Roma una banda sul modello
mafioso-camorristico. Non era mai successo prima, non nella capitale, e non accadrà mai più. Ma è accaduto.

La Banda della Magliana nasce dall'intuizione di ragazzi rabbiosi che muovono dalla cinta periferica alla conquista del cuore della città. Alcuni di loro vantano biografie dickensiane, intessute di una violenza rapidamente appresa nella dura scuola della strada o al riformatorio. Altri, di origine microborghese, avviati a un destino di ordinaria, legale normalità, sono, per usare un'espressione che sarebbe diventata di moda, "bastardi dentro". Nel giro di pochi anni, fra il '77 e l'83, la Banda fa piazza pulita di tutti i rivali. I vecchi padrini devono scendere a patti con i giovani, spietati leoni. Chi si oppone è spazzato via. Il territorio viene suddiviso in sfere d'influenza. I proventi degli affari sono equamente spartiti, secondo il sistema della "stecca para per tutti". Si accantonano somme per le "vittime" della giustizia. Non c'è attività criminale che sfugga al controllo della Banda. Il core business è il narcotraffico. Le strade di Roma sono inondate da fiumi di eroina. Il buco prende il posto della "pippatina". C'è un modo di dire che sintetizza perfettamente il clima che si respira in quegli anni: "Alla Magliana se fanno puro l'ucelletti", alla Magliana si bucano anche gli uccellini. Sta a significare che la droga, da ambiguo giocattolo per ricchi annoiati, è diventata piaga sociale. Sta a significare che la Banda ha determinato una mutazione genetica della delinquenza: la mala cede il posto alla criminalità organizzata.

Dinamismo, aggressività, modernità scandiscono le tappe di crescita non solo del progresso sociale, ma anche della metà oscura del nostro tempo. Mentre, si diceva, gli apparati repressivi dello Stato sono spasmodicamente impegnati nella lotta al terrorismo, la Banda, grazie al ferreo controllo del territorio e al volume di fuoco che è in grado di esprimere, diventa "interessante" anche per altri soggetti. S'instaurano rapporti di amichevole collaborazione con mafia, camorra, trafficanti cinesi e sudamericani. Giovani neofascisti, o aspiranti tali, si avvicinano con ambizione venata di terrore a capi e capetti della Banda. Entrare a far parte di questa consorteria è un titolo d'onore.

Anche le consuete "entità" che compaiono puntualmente nei momenti oscuri della storia patria s'interessano a questi criminali. La Banda entra in affari con confraternite occulte e con settori deviati dei Servizi segreti. Seguono scambi di favori, la richiesta, poi fatta cadere, di attivarsi per localizzare la prigione di Aldo Moro, e altre vicende ancora non chiarite, e che forse mai lo saranno.

E poi, proprio quando la Banda è in cima al gotha criminale italiano, comincia la repentina, inarrestabile caduta. C'è una legge che domina questo sottomondo. Sinora non ha conosciuto eccezioni. Non esiste criminale che non aspiri a diventare grande criminale, capo, boss. E non esiste capo o boss che non sogni di diventare una persona pulita. Di morire nel suo letto di morte naturale, circondato dall'affetto di figli e nipoti, libero dall'incubo del carcere, dallo spettro dei grammi di piombo che metteranno la parola "fine" sulla sua sciagurata esistenza. Però, riflettete: per diventare un grande criminale devi essere il Numero Uno sulla strada. Ma per diventare "normale" devi voltare le spalle alla strada. E sarà proprio allora, in quel momento, che la strada ti volterà le spalle. Verrà qualcuno più spietato e più violento, più crudele e più affamato di te. E prenderà il tuo posto. Nell'unico modo possibile, in questo ambiente: spazzandoti via.

È così che è andata a finire per la Magliana. A un certo punto c'è chi ha saputo far fruttare soldi, contatti, intelligenza, e chi è rimasto al palo. Chi è morto incensurato perché così abile e spregiudicato da pagarsi fior d'avvocati e magari qualche giudice. E chi ha languito per anni in galera, finché il desiderio di vendetta non ha avuto il sopravvento, e il fratello di un tempo è diventato il peggior nemico. Si sono divorati fra loro come gli squali della Signora di Shanghai: inutile dire che le "entità" che li avevano abilmente manovrati se ne stavano alla finestra, a godersi lo spettacolo.