Negli ultimi tempi mi è capitato più volte di vedere rapporti confidenziali sull'Italia redatti da esperti americani di "business location", cioè esperti della selezione dei paesi in cui realizzare investimenti. In tutti i casi, il giudizio di sintesi era unanime: tenetevi lontano dall'Italia. A motivare un simile verdetto non sono - se non in parte ridotta - la rigidità del mercato del lavoro o la forza del sindacato, come per mesi si è detto in Italia. No. Ai primi posti dei mali che impediscono investimenti e sviluppo nel nostro paese vi sono burocrazia, corruzione, giustizia civile e penale.
I rapporti sottolineano, per esempio, che in Italia le autorizzazioni necessarie a realizzare un investimento industriale a normale sensibilità ambientale possono richiedere oltre tre anni e il concorso di oltre 15 uffici pubblici (comunali, provinciali, regionali, nazionali) che possono salire drasticamente se aumenta la sensibilità ambientale dell'investimento. Le procedure per mettere d'accordo tutti sono considerate bizantine e "endless" (senza fine). Una volta avviata la costruzione di un sito industriale, poi, essa può essere interrotta in ogni momento per un accertamento da parte di un numero imprecisato di autorità. Cose che conoscevo bene per averle sperimentate sulla mia pelle. Per esempio, quando ero presidente della società petrolchimica dell'Eni mi venne presentata una lista di ben 51 (!) autorizzazioni necessarie per sostituire una centrale elettrica (dalle dimensioni di due roulotte) in un sito di interesse nazionale: se tutto fosse andato bene, sarebbero occorsi tre anni e mezzo per avere la nuova centrale in funzione.
Se il peso abnorme della burocrazia sconcerta e allontana gli investitori, il sibilo cupo della corruzione diffusa a ogni livello sgomenta. Non che negli altri paesi occidentali non esista una corruzione "fisiologica": ma nella maggior parte dei casi (e negli Stati Uniti in particolare) è ben lontana dal carattere pandemico che ha in Italia e la si può combattere grazie a una giustizia rapida che sa essere implacabile. Il corrotto, inoltre, finisce dietro le sbarre e perde ogni considerazione sociale, nel senso che - anche una volta scontata la sua pena - si troverà escluso dalla vita economica, dai circoli mondani e, soprattutto, non potrà tornare mai a rivestire cariche pubbliche. La corruzione italiana, invece, è percepita come un mostro diffuso a ogni livello, figlia di una cultura che l'accetta e ci convive, convinta che "così fan tutti". E se ti metti contro, prima o poi finirai per pagarne le conseguenze, vittima di un sistema che elude la legge e ti lascia da solo - per quanto grande tu possa essere - di fronte all'arbitrio del mostro indistinto e dei suoi mille artigli.
D'altra parte, gli stessi rapporti sottolineano che ricorrere alla giustizia civile o penale contro i soprusi della burocrazia o dei corrotti è vano, pena la perdita di altri anni e il rischio di un ulteriore accanimento della burocrazia e degli stessi corrotti - tutti parte di un sistema che si autosostiene e si difende con una straordinaria compattezza.
Non stupisce, quindi, che mercato del lavoro e fiscalità siano considerati problemi secondari, nel senso che pesano nel momento in cui un'attività è in corso di avvio, mentre l'indice degli esperti di "business location" punta contro problemi che impediscono l'avvio stesso di un'attività nei tempi utili a un qualsiasi investitore.
L'Italia ha un bisogno drammatico di investimenti e di aziende - anche straniere - per far ripartire la propria economia, ma l'intreccio letale di burocrazia e corruzione contro cui non sembrano esistere vaccini continuerà a tenerli lontani. Né serve indignarsi per eventuali esagerazioni interpretative della realtà del nostro Paese da parte di chi dà giudizi così severi: sarebbe come nuotare in un mare di fango e lamentarsi perché ci troviamo dentro un sacchetto di plastica.
Leonardo_maugeri@hks.Harvard.Edu