Attualità
11 aprile, 2012

Il film si gira dove l'ente paga

La scelta di una location spesso avviene in base ai fondi delle Film Commission, strutture territoriali no-profit, nate per aiutare le produzioni audio-visive. Le più ricche sono quelle della Puglia e della provincia di Bolzano. Roma è super partes. E questa concorrenza fa sì che fioriscano storie ambientate dove ci sono più soldi

Come tutti in tempi di crisi, anche le Film Commission italiane, strutture territoriali nate per offrire servizi gratuiti alle produzioni audiovisive, da tempo sono costrette a farsi i conti in tasca. Ogni Film Commission ha a disposizione fondi provenienti da enti locali che offre a chi realizza lungometraggi, fiction, documentari, videoclip: è l'entità di questi finanziamenti a cambiare spesso e volentieri le carte in tavola.

Se per esempio la Provincia di Bolzano stanzia 97mila euro per pochi giorni di riprese sul suo territorio (così è successo per "Diaz", di Daniele Vicari, che peraltro nessuno voleva finanziare), è chiaro che attrarrà un set più facilmente di chi mette meno soldi sul piatto. La partita spesso si gioca sulle scelte di ogni singola Giunta o Regione: alcuni la chiamano concorrenza, altri una lotta all'ultimo set. Fatto sta che viene messo in conto: "Fa parte del gioco - commenta infatti Lucio Pellegrini, regista di "E' nata una star" – In un momento in cui le fonti di approvvigionamento sono limitate e sempre le stesse, avere nuovi interlocutori può essere interessante. Anzi, c'è più competenza all'interno delle Film Commission che negli uffici finanziatori".

Questi organismi non-profit con varia forma giuridica, fioriti nell'ultimo decennio (la FilmCommission di Torino la più vecchia, le altre istituite più recentemente) aiutano le produzioni audio-visive con logistica, selezione location, ottenimento dei permessi necessari sul territorio, accesso ai finanziamenti. I servizi sono a costo zero e poi ogni singola realtà offre per le riprese nella zona un sostegno economico, commisurato a quanto riesce ad ottenere dall'Amministrazione di riferimento.

Roma, da questo punto di vista, è super partes: non eroga fondi aggiuntivi e ha un tale potere attrattivo che la chiama fuori dalla competizione. Senza contare che davvero tutte le strade portano alla Capitale: se non per la post-produzione, almeno per la fase di preparazione. "Spesso è la porta di accesso alle altre regioni, tra le quali c'è una concorrenza totale. Poco dichiarata, ma totale" conferma Cristina Priarone, direttore generale della Roma Lazio Film Commission (2007).

Insomma, la scelta di una location piuttosto che di un'altra può non essere una questione artistica: "I film vengono girati in funzione dei fondi e non c'è da biasimare nessuno – continua - Se lo Stato non aiuta più il settore e tutto è demandato alle Regioni, ovvio è che si facciano scelte di un certo tipo". Così, se nasce un nuovo fondo di finanziamento al Nord, ecco saltar fuori nella sceneggiatura un po' di nebbia e una bella storia invernale.

C'è tuttavia chi ritiene la concorrenza uno stimolo: "Con Puglia e la provincia di Bolzano, che molto investono sul tema, ci strappiamo i film l'uno con l'altro" ammette Steve Della Casa, presidente della Film Commission Torino Piemonte (2000). Anche perché, se prima alle commissioni ci si rivolgeva solo per un permesso di ripresa sul suolo pubblico, adesso fanno parte a pieno titolo nel processo produttivo: "Non siamo più solo prestatori d'opera: ovvio che la capacità finanziaria è una, se non la principale discriminante" spiega Davide Bracco, che della Fctp è direttore.

Quanti fondi e per chi Quando si arriva a parlare di soldi, è quello il contesto in cui sussistono maggiori differenze di possibilità e intenti tra i contendenti: ci sono Film Commission che mantengono una vocazione cine-turistica perché i loro finanziamenti li eroga l'assessorato al turismo, e che quindi promuovono il territorio sopra ogni cosa; altre a cui invece non interessa minimamente che la regione ospite sia riconoscibile nel prodotto finale: anzi, l'importante è far girare l'economia e attivare la macchina industriale che porta lavoro e soldi sul territorio (vedi "Romanzo di una strage", di Marco Tullio Giordana, sulla strage di piazza Fontana a Milano, girato quasi interamente a Torino).

Ma la vera domanda è: di quanti soldi stiamo parlando? Il panorama è vario: per farsi un'idea, in Toscana "La Regione ha deciso di affidare una dotazione economica di 350mila euro, e in questo momento c'è anche il "fondo incoming" per il rimborso di fatture di spese sostenute sul territorio" rivela Stefania Ippoliti, direttrice della Toscana FilmCommmission.

Diversa, e di certo più ricca, la situazione in Puglia, dove l'Apulia Film Commission, diretta da Silvio Maselli (anche presidente del Coordinamento nazionale), conta su un Film fund di un milione e 300mila euro, al quale si somma il fondo per l'ospitalità - altri 700mila euro all'anno - per le spese vive. A occhio e croce, due milioni di euro l'anno in totale a disposizione di chi voglia girare nel tacco d'Italia.

Policy e politica: il rientro economico sul territorio
Il fondo arriva, il territorio accoglie, il film si fa: ma quanti soldi tornano indietro? Non pochi, anche se dipende ancora una volta dalle singole policy (cine-turistiche o industriali). La Tpfc (434 produzioni dal 2001 al 2011 per un totale di investimenti di quasi di 316 milioni di euro) l'anno scorso ha raccolto i frutti di Fip, fondo interamente partecipato dalla Film Commission Torino Piemonte: a fronte di un investimento del fondo di 1,5 millioni di euro in 8 produzioni, la ricaduta sul territorio è stata sei volte superiore. "E' una società che fa attività finanziaria creando un capitale che può investire nei film acquistandone diritti, e quindi cercando di guadagnarci" spiega ancora Steve della Casa, presidente (anche) della Fip.

La Toscana dal canto suo offre location capaci di attrarre turisti meglio delle sirene di Ulisse, ed è così che si traduce il suo ritorno sugli investimenti (o Roi): i primi dati 2011 evidenziano un +50% nelle presenze, con aumento a due cifre per il turismo proveniente da Brasile (+53,6%), Cina (+57,3%), India (+32,5%) e Russia (+45,1%). Tutto ciò dopo il successo della soap brasiliana "Passione", dell'indiano "Rajapattai" e di "The China Story", che guarda caso sono tutte produzioni girate tra le colline toscane (nel 2010 sul territorio sono stati spesi oltre 8,7milioni di euro). "I soldi del fondo vengono dalle risorse del turismo, quindi è corretto agire sulla promozione del territorio - precisa Stefania Ippoliti - così come è importante lo scambio culturale: il Korea Film Festival, come altri, consente visibilità all'estero".

Certo, non è facile imporsi su un mercato globale, quando è già tanto se si sopravvive a quello locale: "L'intelligenza sta nel capitalizzare il patrimonio di attività e relazioni, non buttarlo all'aria ad ogni cambio di Giunta– ammonisce la Priarone– il vero sviluppo è quello che nasce quando un set si chiude".

Purtroppo le sensibilità politiche non sono sempre all'altezza e alla fine, per dirla con Federico Poillucci, presidente dalla Friuli Venezia Giulia Film Commission, anche se sono soldi "non spesi, ma investiti", tocca "ogni anno lottare con i propri assessori per ottenere qualche soldo in più all'anno".

E si finisce sempre lì, al ruolo fondamentale della politica. Non ha dubbi Maselli: "I territori decidano se essere carne o pesce, se sostenere l'audiovisivo in maniera episodica, o organica - afferma - La politica deve fare delle scelte, come decidere dove usare le risorse di natura straordinaria: per le strade, o per l'immateriale?". Già, basta scegliere.

Mali comuni Se c'è una cosa capace di mettere tutti d'accordo, anche nei contesti altamente competitivi come questo, sono i problemi. In primo luogo le aziende italiane che ignorano i vantaggi fiscali derivanti da un investimento nel settore cinematografico (tax credit). Il coro delle Film Commission è piuttosto unanime sul tema: gli imprenditori italiani non lo conoscono, se lo conoscono non si fidano, se si fidano (rarissimo) non ci investono molto.

L'altro problema che a detta di tutti minaccia il settore è ancora una volta la delocalizzazione delle produzioni, specie televisive. I broadcaster riducono gli investimenti e i produttori risolvono andando a girare dove la manodopera costa meno. "Se a farlo è l'industria privata, è un problema serio, ma soprattutto etico: se invece si tratta di azienda pubblica, allora è molto più grave" commenta Pellegrini sintetizzando bene le voci di tutti. Quali ricadute abbiano le produzioni in Paesi a basso costo lo sa bene Corrado Volpicelli della Slc-Cgil: "Oltre alla perdita occupazionale, c'è una perdita materiale, il mancato uso dei teatri di posa e i soldi detratti alla collettività in termini di contributi". Dopo la denuncia forte arrivata nel 2010 dalla stessa Slc-Cgil, si è registrata una flessione della pratica, ma non troppo: nel 2011 sono stati 19 i prodotti "delocalizzati". Il risultato? 12.420 giornate di lavoro perse. Così, mentre in Italia ci si accapiglia con lo Stato (invano) e le Amministrazioni per far valere i prodotti culturali come investimenti economici, si assiste all'ennesima migrazione all'estero di maestranze, lavori, e fatturati.

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