L'attivismo di Andrea Agnelli. L'influenza di Giraudo. La squadra di big del foro. In tribunale la sfida più dura per la Vecchia signora

Contropiede alla Juve

Un bravo allenatore sa adattare il gioco della squadra alle fasi della partita. E la partita del calcioscommesse si stava trasformando in un disastro per la Juventus, che con le partite tarocche c'entra zero. Andrea Agnelli ha rischiato la goleada prima di cambiare schema e di decidere che Antonio Conte, Leonardo Bonucci e Simone Pepe sono abbastanza cresciuti da rispondere di quanto fatto - o non fatto - quando erano tesserati del Siena, del Bari e dell'Udinese.

Il presidente della Juventus, 37 anni il prossimo dicembre, vive il calcio con un tale trasporto emotivo che ci ha messo mesi prima di indietreggiare in nome di un "chi me lo fa fare", italico e catenacciaro. Alla fine, si è convinto che nel calcio la squadra viene prima del singolo e che sulle partite truccate non ci saranno solo le sentenze della giustizia sportiva in assise al Foro Italico. La Procura di Bari, in particolare, ha indagato Bonucci e forse sentirà anche Conte come persona informata dei fatti. Trasformare il caos delle scommesse in una lotta tra il Bene (la Juve) e il Male (il resto del mondo) sarebbe stato un autogol clamoroso, evitato di poco alla vigilia della prima stagione in Champions league dopo l'onta della retrocessione con due scudetti cancellati nel luglio del 2006.

Quello che meglio spiega Andrea Agnelli è il suo atteggiamento in tribuna. Ai tifosi bianconeri che si rivolgono a lui con il titolo di presidente, lui risponde: «Chiamatemi Andrea». Suo padre Umberto, che pure è diventato presidente della Juve a 21 anni, non lo avrebbe mai fatto. Figurarsi lo zio Gianni, che era l'Avvocato e basta. Il rampollo di casa Fiat, unico maggiorenne a portare il cognome della dinastia, ha cambiato qualche abitudine della ditta dei 28 scudetti ma non troppe. E quando sbandiera 30 vittorie in campionato, proclama che nel 2006 ingiustizia è stata fatta.

Dal giorno in cui è diventato presidente del club (29 aprile 2010), Andrea ha tentato di recuperare il maltolto a colpi di ricorsi al Tar, cause al tribunale ordinario, richieste di risarcimento da 400 milioni di euro alla Federcalcio e continue schermaglie con l'arcirivale Massimo Moratti, padrone di un'Inter che, nella vulgata antagonista bianconera, è stata protetta da arbitri venduti, da commissari straordinari nerazzurri (Guido Rossi) e dalla bestia nera per eccellenza, la Procura federale di Stefano Palazzi.
A maggio, lo scudetto vinto da Conte, il mister che era capitano ai tempi di Antonio Giraudo e Luciano Moggi. Il corto circuito nasce lì, e anche lì l'emotività ha un ruolo primario. Giraudo, per cominciare. L'ex amministratore delegato della Juventus ha quotato il club al listino e ha lanciato il progetto dello stadio di proprietà realizzato solo nel settembre del 2011. Condannato in primo grado dal tribunale penale di Napoli a tre anni, vive in esilio dorato a Londra in vista dell'appello previsto in autunno. Secondo la frase di Andrea, «per me è stato un punto di riferimento, come un padre».

È stato inoltre l'amministratore immobiliare di fiducia di Umberto Agnelli, dello stesso Andrea, della sorella Anna e della madre Allegra Caracciolo. Vicino di casa, anche. Sulla collina torinese, in via principessa Felicita di Savoia, c'è una residenza principesca così divisa. Il pianterreno e il primo piano sono della Flm75 di Andrea, una società gestita da Giraudo fino al novembre 2006 quando, con la Juve in B, l'ex manager si è dimesso davanti al notaio Antonio Maria Marocco, consigliere dello Ior e professionista di fiducia della Fiat. Il secondo piano è occupato da Beatrice Merz, direttrice del Museo Castello di Rivoli e figlia dell'artista Mario Merz. Al terzo e quarto piano ci sono i Giraudo con le loro immobiliari che Antonio ha girato alla moglie Maria Elena e al figlio Michele in via prudenziale. Sono infatti in corso le cause per risarcimento dei danneggiati di Calciopoli contro la dirigenza juventina del tempo.

Prendere le distanze dalla propria storia è poco consono ai meccanismi di potere torinesi, per quanto in declino possano essere, e lo svecchiamento di Andrea è più formale che di sostanza. Come quando in panchina c'era Giovanni Trapattoni, l'attenzione alla fase difensiva è fondamentale. Per la vicenda Conte, Andrea Agnelli ha scelto la tradizione e si è affidato agli avvocati Luigi Chiappero e Michele Briamonte.

Chiappero lavora allo studio Chiusano, fondato da Vittorio Caissotti di Chiusano, penalista degli Agnelli scomparso nel 2003 dopo essere stato per 13 anni presidente della Juventus. L'organigramma dello studio legale mette in evidenza come consulente esterno un'altra eminenza grigia del sistema. È Franzo Grande Stevens, civilista napoletano di fede juventina trapiantato a Torino e definitosi «l'avvocato dell'Avvocato».

Grazie alla difesa del suo giovane di studio, il trentacinquenne Briamonte, Grande Stevens è uscito indenne da due buriane giudiziarie che minacciavano di avvelenargli la pensione, semmai uno come lui andrà in pensione. Il primo processo riguardava gli equity swap di Exor, la finanziaria che controlla la Fiat e la Juve. Grande Stevens, a giudizio insieme a Gianluigi Gabetti, si è trovato di fronte il procuratore capo Giancarlo Caselli, torinista sfegatato. Gli imputati sono stati assolti. Con lo stesso risultato si è conclusa la vicenda che ha visto Grande Stevens e Gabetti accusati da Margherita de Pahlen, figlia di Gianni Agnelli e Marella Caracciolo, nella vicenda dell'eredità dell'Avvocato.

Briamonte, consigliere della Juventus di Andrea, è un enfant prodige in un ambiente dove manca la generazione di mezzo. Già presente nel collegio juventino al processo sportivo del 2006, il legale torinese ha un curriculum professionale in rapida espansione. Per conto della Fiat ha vinto la causa da 5 milioni di euro di danni contro la trasmissione Rai Annozero. Grazie al notaio Marocco, è diventato consulente dello Ior, la banca vaticana alle prese con la nuova normativa antiriciclaggio. Essendo in quota ai bertoniani e socio della camera di commercio italo-israeliana, Briamonte è stato inserito nella mitica lobby giudo-pluto-massonica da Ettore Gotti Tedeschi, defenestrato presidente dello Ior.

Interessante anche il percorso che ha portato Briamonte nel cda di It holding prima e del Monte dei Paschi di Siena poi. In entrambi i casi, il professionista ha rappresentato fondi di investimento con basi offshore e proprietà italiana. Nel caso di It holding, era in carica per conto del finanziere cuneese-monegasco Luigi Giribaldi, tifoso del Toro come del resto era Giraudo prima della conversione al culto gobbo. L'avventura è finita con l'amministrazione straordinaria per il gruppo tessile fondato da Tonino Perna.

Al Montepaschi Briamonte è stato nominato amministratore in rappresentanza, tra gli altri, del fondo Timelife di Raffaele Mincione, finanziere italo-americano con sede a Londra. Il "triplete" dell'avvocato si chiude con un posto nell'advisory board del londinese Tarchon capital management. Fondato da Alberto Marolda, Tarchon è noto per avere riempito le casse di alcuni enti previdenziali delle note Anthracite, prodotti finanziari tossici. A chiudere la lista, c'è l'incarico nell'Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo, presieduto da Allegra Caracciolo Agnelli.

Con una difesa così, la Juve di Andrea sogna di nuovo in grande. Chi ha conti da pagare, soprattutto se non vestiva in bianconero, si accomodi alla cassa.

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