Il regime siriano può restare in sella. Oppure ritirarsi nell’enclave a nord-ovest. O ancora può cominciare una transizione pilotata

Sedici mesi dopo la rivolta contro Assad, la Siria è in bilico tra fallimento dello Stato e guerra civile. Il regime e le sue forze armate dimostrano una notevole coesione, seppur scalfita dalla defezione del primo ministro Riad Jabib e del ministro delle finanze Muhammad Jleilati, e mantengono ancora un predominio militare sui ribelli. Ma il governo ha perso il controllo di gran parte delle aree rurali e di molte città e zone di frontiera. E nelle scorse settimane ha dovuto faticare per non perdere quello su Damasco e su Aleppo, il più grande centro urbano del paese. Sebbene divisi e male armati, i ribelli sono riusciti a compiere progressi sorprendenti e a colpire al cuore il regime.

Nel prossimo futuro si potrebbero aprire diversi scenari. Una prima possibilità è che il regime riesca a imporre un nuovo equilibrio mantenendo il controllo delle grandi città e delle autostrade e lasciando ai ribelli altre zone. Se il governo continuerà a essere sostenuto da fedeli alleati in campo regionale e internazionale, uno Stato indebolito potrebbe convivere a lungo con un'ampia insurrezione. Come accadde a Saddam Hussein dopo la prima guerra contro l'Iraq e la perdita delle regioni curde del nord o allo yemenita Alì Abdallah Saleh.

UN SECONDO SCENARIO potrebbe essere quello di una ritirata e di una concentrazione delle forze del regime nell'enclave alawita nel nord-ovest della Siria, trasferendo in quest'area la maggior parte dei mezzi e dei sistemi d'arma in dotazione all'esercito. Si verrebbe così a creare una roccaforte sostenuta dall'Iran, simile alle enclavi degli Hezbollah nel Libano: non sarebbe uno Stato indipendente, ma farebbe parte della Siria del dopo Assad, con gli alawiti che controllano il nord-ovest, i curdi confinati nel loro cantone settentrionale e un debole governo centrale dominato dai sunniti che cercherebbe di mantenere la stabilità reggendo le fila da Damasco.

UN TERZO SCENARIO è una semplice sconfitta del regime senza il suo trasferimento a nord-ovest, con la rapida perdita di controllo su Aleppo e/o Damasco, l'uscita di scena di Bashar Assad, costretto a cedere il potere e le manovre di alcuni esponenti del governo per restare in sella anche dopo l'estromissione di Assad.
In tutte e tre queste eventualità, la Siria sembra destinata ad attraversare una fase devastante di guerre intestine con grandi perdite di vite umane, ampi flussi di profughi dentro e fuori i suoi confini, un crollo dell'economia e uno sgretolamento dello Stato e dell'infrastruttura economica. Anche se più libera e democratica, la Siria che emergerà da questo conflitto sarà pertanto più povera, più debole, divisa al suo interno e soggetta a pesanti ingerenze esterne, come è già accaduto ad altri suoi vicini quali il Libano e l'Iraq. Al pari di questi due paesi, sarà dilaniata da antagonismi etnici e religiosi e diverrà fertile terreno di guerre per procura che coinvolgeranno l'Iran, l'Arabia Saudita, il Qatar, gli Stati Uniti e la Turchia.

Teoricamente, però, vi è ancora la speranza di un esito positivo della crisi siriana, sempreché Assad ceda alle pressioni internazionali favorendo l'avvento di un governo di transizione dopo una crisi pilotata. Come nel caso dell'Egitto, della Tunisia e dello Yemen, le dimissioni del presidente potrebbero essere il prezzo indispensabile per placare temporaneamente l'opposizione e creare in tal modo le condizioni propizie a un passaggio pacifico dei poteri. In questo caso, il "vecchio Stato" continuerebbe a svolgere un ruolo importante, con un governo che includerebbe tutti i partiti, in attesa di libere elezioni che spianerebbero la via verso una nuova costituzione e un nuovo ordinamento politico.

IL PROCESSO DI TRANSIZIONE potrebbe svolgersi secondo il modello egiziano, con il presidente costretto ad abbandonare il potere, mentre lo Stato e le forze armate continuerebbero a esercitare le loro funzioni. In questo modo, contribuirebbero a garantire la stabilità, consentendo regolari elezioni che porterebbero in parlamento e forse anche alla presidenza i rappresentanti dell'opposizione.

C'è ancora spazio per una soluzione di questo tipo in Siria, e qualsiasi perdita che il regime dovesse subire renderebbe i suoi leader più propensi a un compromesso del genere. La comunità internazionale non dovrebbe smettere di esercitare pressioni sul regine di Assad, pur continuando a prospettare l'opportunità di una soluzione politica per la Siria.

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