Oltre tutte queste cose, Silvia, è anche una lavoratrice a Partita Iva. «Sono una Partita Iva vera, però», tiene a precisare. «Collaboro per la Rai come per altre aziende, e lavoro agli orari che preferisco». Silvia ha scritto sul suo blog per fare chiarezza: per lei, come per tante persone che lavorano a Partita Iva, nei settori dell'informazione e della sanità, la riforma del lavoro non risolve il problema di chi svolge un lavoro 'dipendente' lavorando però a Partita Iva (le cosiddette false Partite Iva). Anzi, la riforma provocherebbe un danno: «Si è disegnato un sistema per individuarle e correggerle che, piuttosto che trasformarle in dipendenti a tempo determinato, rischia di trasformarle in disoccupati». Perché?

Per Silvia, però, l'azienda potrebbe facilmente eludere queste condizioni: «Se negli anni ti ha ridotto il compenso a un livello davvero da fame, nel dubbio ti potrebbe anche fare un contratto corto corto, sotto agli otto mesi, così da far saltare i requisiti perché tu possa fare causa». E ancora, sul reddito: «È quasi ovvio e auspicabile che il lavoratore abbia trovato il modo di guadagnare un po' di più di diciottomila euro lordi all'anno, che si sia trovato altri lavori. Solo che questa è una conseguenza del fatto di essere una finta Partita Iva senza possibilità di contrattazione, mi sembra un po' ingiusto che diventi causa della sua impossibilità di dimostrarlo».
Per Silvia l'errore - che da scienziata definisce "errore di parallasse" - è interpretativo. «Si cerca di dire che è la partita Iva ad essere sbagliata, ma non è così. È l'azienda che la rende sbagliata». Il lavoratore molto spesso si trova sotto ricatto: o lavori a Partita Iva o non lavori. È sul rapporto del lavoratore autonomo con l'azienda, quindi, che si dovrebbe intervenire.