«Il mio modesto parere è che ci sia un errore di prospettiva: uno non è falsa Partita Iva per nascita, lo diventa nel rapporto con un'azienda. Non è che 'L' si comporta da falsa Partita Iva, è l'azienda che gli propone un finto contratto di collaborazione». Scrive così Silvia Bencivelli sul suo blog, in un post dal titolo: "Finte partite Iva: i primi effetti della riforma del lavoro, visti da qua (e non c'è da festeggiare)". Silvia è un medico che oggi lavora come giornalista scientifico. Ha lavorato per Radio3, per importanti case editrici e giornali. Ultimamente l'abbiamo vista in tv come inviata di Riccardo Iacona per il programma Presa Diretta, su Raitre.

Oltre tutte queste cose, Silvia, è anche una lavoratrice a Partita Iva. «Sono una Partita Iva vera, però», tiene a precisare. «Collaboro per la Rai come per altre aziende, e lavoro agli orari che preferisco». Silvia ha scritto sul suo blog per fare chiarezza: per lei, come per tante persone che lavorano a Partita Iva, nei settori dell'informazione e della sanità, la riforma del lavoro non risolve il problema di chi svolge un lavoro 'dipendente' lavorando però a Partita Iva (le cosiddette false Partite Iva). Anzi, la riforma provocherebbe un danno: «Si è disegnato un sistema per individuarle e correggerle che, piuttosto che trasformarle in dipendenti a tempo determinato, rischia di trasformarle in disoccupati». Perché?

Gli strumenti messi in atto dalla riforma del lavoro per prevenire il cattivo utilizzo delle Partite Iva consistono in una serie di condizioni che permettono al lavoratore di dimostrare di essere un dipendente travestito da libero professionista, e quindi di poter intentare causa all'azienda. Condizioni: Uno, il rapporto di committenza deve essere continuativo per più di 8 mesi. Due, il fatturato annuale deve derivare per l'80% da quella unica committenza (monocommittenza). Tre, devi avere una postazione di lavoro fissa. Bastano anche solo due di queste condizioni perché una partita Iva sia considerata falsa, e il lavoratore possa intentare causa.

Per Silvia, però, l'azienda potrebbe facilmente eludere queste condizioni: «Se negli anni ti ha ridotto il compenso a un livello davvero da fame, nel dubbio ti potrebbe anche fare un contratto corto corto, sotto agli otto mesi, così da far saltare i requisiti perché tu possa fare causa». E ancora, sul reddito: «È quasi ovvio e auspicabile che il lavoratore abbia trovato il modo di guadagnare un po' di più di diciottomila euro lordi all'anno, che si sia trovato altri lavori. Solo che questa è una conseguenza del fatto di essere una finta Partita Iva senza possibilità di contrattazione, mi sembra un po' ingiusto che diventi causa della sua impossibilità di dimostrarlo».

Per Silvia l'errore - che da scienziata definisce "errore di parallasse" - è interpretativo. «Si cerca di dire che è la partita Iva ad essere sbagliata, ma non è così. È l'azienda che la rende sbagliata». Il lavoratore molto spesso si trova sotto ricatto: o lavori a Partita Iva o non lavori. È sul rapporto del lavoratore autonomo con l'azienda, quindi, che si dovrebbe intervenire.

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