Claudia Cardinale: 'Il mio cinema da donna libera'
In Italia per festeggiare i 50 anni del film 'La ragazza di Bube', l'attrice parla a ruota libera. Dei grandi registi con cui ha lavorato, da Visconti a Fellini, e della crisi della nostra industria cinematografica, dove "ci sono gli autori ma manca la capacità produttiva internazionale". E scopre di essere stata, a sorpresa, la musa di Bob Dylan
Se la bellezza fosse un’interminabile domenica Claudia Cardinale vivrebbe eternamente nel settimo giorno. Ci cascò anche Bob Dylan. Era il 1966. Il menestrello di Duluth pubblicò un doppio vinile, Blonde on Blonde, al cui interno c’era un ritratto di Claudia Cardinale. Era giovane, bellissima e già sotto contratto con la Vides di Franco Cristaldi, e nessuno aveva chiesto l’autorizzazione per l’utilizzo di quella foto, così l’etichetta discografica Cbs fu costretta a togliere l’immagine dell’attrice italiana e ripubblicare l’album senza di lei. Il cantautore, in quel periodo, si era invaghito di due donne europee: la francese Francois Hardy e la Cardinale appunto.
Mentre Bob Dylan sta chiudendo la sua ennesima tournée in Italia (venerdì a Padova), abbiamo incontrato Claudia Cardinale ad Anghiari. È partita da Parigi per venire nel borgo toscano, dove cinquanta anni fa girò il film 'La ragazza di Bube' di Luigi Comencini. Qui l’attrice scopre la sua immagine sul disco di Dylan da una ragazza che le chiede un autografo proprio sopra quel doppio album. “Incredibile – dice – non sapevo di questa foto, ma è un’emozione vedere che Dylan mi aveva scelto. All’epoca non lo conoscevo, io venivo da Tunisi e in Italia la fama del cantautore non era diffusissima. Eppure tutto questo significa che il cinema italiano contava qualcosa nel Mondo. Non era soltanto perché io o la Loren eravamo belle, ma perché c’erano Visconti, Fellini, Germi e tanti altri registi”.
Stiamo camminando verso il Teatro comunale dei Ricomposti. La Cardinale tiene a braccetto un carabiniere. Saluta tutti, nella calca che si è formata al suo arrivo. Sorride, stringe mani, riceve mazzi di fiori e si intuisce che ci sono nomi indissolubili; che nessun talent show riuscirà mai a creare un personaggio tanto potente per l’immaginario collettivo.
La Cardinale racconta che ancora adesso riceve lettere di ammirazione da giovani cinefili che forse non si rendono conto della sua età anagrafica e le disegnano dei cuoricini: “È solo ammirazione perché il cinema è esso stesso un’infatuazione che passa per gli occhi. Per un’attrice la bellezza è un aspetto importante ma non prioritario. Ciò che davvero serve è ciò che l’attrice riesce a trasmettere con lo sguardo. Non ho mai fatto un lifting e resisto perché sono rimasta molto attiva. Per fare l’attrice si deve avere molta forza: davanti alla macchina da presa devi essere l’altra, fuori dal set devi essere te stessa. Io ho sempre cercato di avere una vita normale. A Parigi vado in giro da sola, vado a fare la spesa e passeggio molto. Tutti mi conoscono e mi rispettano, rispettano quello che sono, una donna libera”.
Oggi però la condizione della donna sembra di nuovo in bilico rispetto all’avanguardia degli anni Sessanta, con la questione grave di tanti femminicidi. E la Cardinale su questo è tranchant: “Ho fatto bene a non sposarmi”. Con una frase dimostra la sua capacità di sintetizzare il problema profondo dei rapporti di coppia forzati o malati, lei che ancora minorenne subì un rapporto (in Tunisia, dove è nata) che le dette la prima figlia.
Arrivando in Italia con la madre cominciò a girare per il produttore Franco Cristaldi che era già incinta e per dieci anni la sua maternità fu tenuta segreta per non compromettere la carriera di attrice. Una carriera che nel 1963 esplose con prepotenza: “Quell’anno uscirono tre film dove avevo lavorato con grande impegno. 'La ragazza di Bube' di Comencini, '8 ½' di Federico Fellini, 'Il Gattopardo' di Luchino Visconti. Con Luchino era come fare teatro. Invece con Federico non c’era copione, si metteva al posto di Marcello Mastroianni e mi faceva recitare. Lui parlava e io gli rispondevo, a ruota libera. Girava le mie battute improvvisate sul set e poi girava le battute di Marcello. Mi veniva a prendere in auto a casa e lungo la strada mi diceva: ‘Tu sei la terra. Vieni dall’Africa e mi porti energia e creatività’. Era affamato di creazione”.
Per una star del cinema che ha scelto da quasi quaranta anni la Francia per vivere fa tenerezza che continui a interessarsi con scrupolo al cinema italiano che oggi soffre una condizione di inferiorità industriale, rispetto al passato: ci sono autori ma manca la capacità produttiva internazionale. “Negli anni Sessanta l’Italia era il faro del cinema. Avevamo grandi registi, riconosciuti tali in tutto il Mondo. Oggi è difficile perché non ci sono finanziamenti. Sembra che l’arte e la cultura non abbiano alcun riconoscimento. Non si può fare cinema senza un sistema produttivo importante alle spalle. Non so perché stia accadendo questo all’Italia, ma il declino esiste. Per questo continuo a lavorare e lo faccio con registi esordienti, per aprire nuove possibilità”.
Seduta da circa mezz’ora su un divano del Teatro di Anghiari fuma una delle sue lunghe sigarettine e sorride. Poi abbassa gli occhiali sul naso, gira lo sguardo e fa: “Io non lo volevo nemmeno fare il cinema. Era mia sorella Blanche che voleva fare l’attrice; io immaginavo di fare l’esploratrice. È finita che Blanche vive in Polinesia e io… Beh, in fondo con 140 pellicole ho girato lo stesso il mondo”.