Una mostruosa solitudine. Cerimonie interminabili. Spaventosi intrighi da gestire. Insomma, un incubo. E non è certo un mestiere per vecchi. Come spiega uno storico di cose vaticane

La triste condizione di un anziano papa fa tornare alla mente il titolo di un famoso film hollywoodiano interpretato da Tommy Lee Jones, "Non è un paese per vecchi", che racconta la storia di uno sceriffo attempato e non più in grado di comprendere, né di affrontare il ritmo sconvolgente della vita, la venalità e la violenza intorno a lui. Essere papa è un angoscioso incubo che può uccidere. Non è certamente un mestiere per vecchi. Alcuni credono che Giovanni Paolo I, sopravvissuto per poco più di tre settimane dopo la sua nomina nel 1978, sia stato assassinato. Ma è più probabile che sia morto di terrore, schiacciato sotto il peso insostenibile del ministero petrino.

Eppure a molti papi il loro lavoro è talmente piaciuto che non hanno voluto abbandonarlo. Pio XII, che morì a 82 anni, ci teneva così tanto a proseguirlo da sottoporsi alle cure rivitalizzanti del ciarlatano svizzero Paul Niehans. Giovanni Paolo II, che aveva un senso mistico del suo pontificato, perseverò, nonostante l'implacabile avanzare del morbo di Parkinson, fino al punto di addormentarsi durante le funzioni religiose e di dimenticare i nomi dei suoi stretti collaboratori.

Il teologo inglese John Henry Newman, ammoniva che i papi in età avanzata possono impazzire sotto il peso del loro ruolo: «Egli è diventato un dio, nessun lo contraddice, e compie atti crudeli senza volerlo». Pensava a Pio IX, il papa più longevo della storia, che morì, a 85 anni, nel 1878. Quando venne eletto, trentadue anni prima, fu incensato in modo adulatorio. Ma quando la sua bara venne trasportata lungo le strade di Roma, fu ricoperto di insulti e la folla voleva gettare il suo cadavere nel Tevere.

Il fatto di essere l'unico uomo sulla terra ritenuto infallibile (anche se solo in materia di fede e di morale) fa apparire il suo mestiere seducente per i megalomani e i narcisisti, mentre le persone normali lo considerano come un'attività che condanna a una mostruosa solitudine. Paolo VI scrisse di se stesso: «Il mio isolamento è completo e terribile. Di qui lo sconcerto, la vertigine. Mi sento come una statua su un piedistallo: ecco come vivo ora». Benedetto XVI è uno strano miscuglio di dolcezza e severità, umiltà e autocrazia. Un teologo ha osservato che ha «uno sguardo assonnato e una bocca crudele». Si dice che fumi sigarette Marlboro, ed è evidente che non fa alcun esercizio fisico salvo accarezzare il suo gatto. Non porta pesi, mangia come un uccellino, non beve ed è lento e calmo nei movimenti. Probabilmente, ha una pressione sanguigna invidiabile e un basso tasso di colesterolo. Si dice che termini la sua fatica quotidiana alla sei di sera. Uno così vive a lungo, ma è visibilmente esausto, non tanto per il duro lavoro, quanto per l'insostenibile responsabilità del papato.

Joseph Ratzinger conosceva bene quale fosse il suo compito prima di venire eletto. Sapeva come fare, e la prospettiva lo allettava. Il suo vecchio rivale Hans Küng ha scritto che Ratzinger era ancora avido di potere a un'età in cui la maggior parte delle persone vanno in pensione. Sembra che Benedetto XVI abbia ottenuto più di quanto si aspettasse: un miliardo e quattrocento milioni di anime e un problema in arrivo ogni ora da tutte le parti di una Chiesa sempre più centrifuga nel mondo.

Nel corso del XX secolo, inoltre, le pressioni si sono moltiplicate in modo esponenziale grazie ai progressi vertiginosi dei sistemi di comunicazione. È un papa che dava l'impressione di riservarsi uno spazio in cui rilassarsi, suonando un po' di Mozart al pianoforte, prendendo il tè col suo segretario, Georg Gänswein, e scrivendo un altro capitolo della sua vita di Gesù. Ma un breve riassunto delle crisi che scorrono sulla sua scrivania ci racconta una storia diversa. Il papa è il direttore generale della più grande organizzazione del pianeta. È affiancato da migliaia di responsabili di filiale, vescovi, arcivescovi e cardinali, ma si tratta per lo più di yes-men, che non criticano, non forniscono consigli, né condividono responsabilità.

I delegati del Concilio Vaticano II decretarono che il papa doveva agire di concerto con i suoi vescovi, che la Chiesa doveva essere collegiale. Paolo VI ha infranto la regola nel 1968, quando, nonostante i consigli contrari dei suoi vescovi, decise da solo (dopo aver consultato il padreterno), e annunciò al mondo che la contraccezione artificiale era un male grave, in qualsiasi circostanza. Questo verdetto quasi infallibile ha messo in trappola i futuri papi, dimostrando come le decisioni di un pontefice possano condizionare infallibilmente quelle dei suoi successori.

Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati costretti ad accettare una regola che proibisce a una persona sposata malata di Aids di usare un preservativo per tutelare il coniuge.

I problemi di Benedetto XVI e i conseguenti fardelli che gravano sulla sua coscienza, sono stati enormi.

In Germania e in Austria sono emersi nuovi casi recenti di abusi sessuali da parte di sacerdoti, massicce defezioni di laici che si sono allontanati dalla Chiesa, litigi sulla nomina dei vescovi. Negli Stati Uniti, centinaia di suore stanno sfidando l'autorità dei vescovi mentre imperversano crisi provocate dagli abusi sessuali. Ovunque, si levano richieste di un maggior numero di sacerdoti e si auspica che i preti e le monache possano sposarsi. All'interno del Vaticano si fa un gran parlare di scandali finanziari, dubbi investimenti, lotte intestine fra burocrati, e tradimenti nella stessa casa del Santo Padre. In mezzo a tutto questo, il papa deve continuare a esercitare il suo magistero: con omelie sulla santità, la preghiera, i sacramenti, la castità, la pace e la povertà. Fin da quando il primo Codice di Diritto Canonico è stato pubblicato, nel 1917, il papa ha mantenuto il diritto esclusivo di nominare nuovi vescovi, arcivescovi, cardinali.

Si tratta di un processo lungo e laborioso, che grava sulla coscienza del pontefice, col risultato che molte diocesi restano prive di un vescovo mentre il papa riflette sulle decisioni da prendere. Poi ci sono le udienze interminabili, con i capi religiosi, i professori, le autorità politiche dei vari Paesi, gli sportivi, i diplomatici. E le interminabili cerimonie religiose, che si protraggono per ore senza neppure il tempo di andare in bagno. Ma le attività più faticose di tutte sono i viaggi all'estero. Gli addetti ai lavori in Vaticano dicono che al papa sia stato sconsigliato di partecipare alla Giornata mondiale della gioventù in Brasile in programma per la prossima estate.

Benedetto XVI merita le nostre congratulazioni per aver gettato la spugna mentre è ancora in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Ha spezzato una lunga tradizione, rendendo più facile ai futuri papi rassegnare le dimissioni, o addirittura ponendo un limite di età alla loro durata in carica. Per un noto conservatore come lui, questa potrebbe rivelarsi tuttavia la decisione più radicale che un pontefice abbia preso in epoca moderna. Rende il papato meno isolato, meno avulso, meno gravoso e decisamente più umano.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso