Ha iniziato come Howard Beale, il protagonista del film 'Quarto Potere'. Poi si è trasformato in Napoleon, il maiale della 'Fattoria degli Animali'. E da due mesi ricorda molto Antanas Mockus, il visionario ex sindaco di Bogotà
Dopo la fase televisiva Beppe Grillo ha cambiato pelle almeno tre volte.
Ha avuto la "
fase Beale" fino al 2011, poi la "
fase Napoleon" fino a novembre 2012, e adesso la "
fase Mockus".
Le prime due sono legate a personaggi di invenzione, l'ultima a un personaggio reale. Sono interpretazioni che cercano di definire il fenomeno Grillo, ma andiamo per ordine.
Vi dice niente il nome
Howard Beale? È il personaggio che nel film Quinto potere di Sidney Lumet urlava dallo schermo della UBS, tv di Los Angeles: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più". Beale è un anchor man televisivo di circa sessant'anni che i dirigenti della tv stanno per mandare in pensione.
Lui non accetta questa messa in disparte e nel corso di una delle sue ultime trasmissioni, mentre dovrebbe cominciare a prendere congedo dagli spettatori, annuncia invece il proprio suicidio in diretta tv.
La notizia fa estremo scalpore e il programma ha un grande successo di pubblico. Così una giovane e cinica funzionaria della UBS si convince che è il momento di sfruttare l'incauto presentatore per risollevare gli ascolti televisivi e lascia mano libera a Howard Beale, ormai senza freni. In pochi giorni e nelle settimane successive egli diventa una specie di predicatore mass-mediatico che sprona le folle televisive, fino a spingere chiunque verso una specie di irrefrenabile desiderio di mandare tutto affanculo. Una sera istiga gli spettatori ad affacciarsi alle finestre di casa, nel preciso momento in cui lui li esorta in diretta tv, e urlare: "Sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più". E la gente lo fa.
Era il 1976 e il cinema americano ci mostrava un esempio propedeutico ai successivi VaffaDay di Beppe Grillo e al suo ultimo e azzeccato slogan, rivolto ai politici nostrani: "Tutti a casa".
Beppe Grillo ha avuto una carriera piuttosto tradizionale nel mondo dello spettacolo. Arrivò al grande pubblico per mezzo di Pippo Baudo e
Domenica In, per poi affacciarsi con grande popolarità a molti programmi Rai, fino a condurre sue trasmissioni (come
Te la do io l'America) e partecipare al Festival di Sanremo. Poi l'anatema del Partito Socialista di Craxi, che Grillo aveva criticato, lo ha messo fuori dalla tv generalista. Da quel momento Grillo ha saputo reinventarsi come vero uomo di satira, arrivando a compiere tournée da tutto esaurito e conquistandosi l'appellativo di Lenny Bruce italiano.
Successivamente la sua intelligenza è stata quella di aver cominciato a studiare a fondo i temi di cui parlava nei suoi spettacoli. Temi ambientali, sviluppo sostenibile, questioni globali, critica e interesse verso la tecnologia: questi gli argomenti che Beppe Grillo ha affrontato per oltre un decennio.
Da qui lo sbarco in rete con il suo blog personale che nel giro di qualche anno è diventato luogo di confronto e di inseminazione di nuovi concetti molto vicini ai temi politici. La capacità poi di interrogare e collaborare con grandi nomi dell'economia, del mondo accademico e della cultura internazionale l'hanno portato a gettare le basi di una sorta di laboratorio ideale on-line che soltanto negli ultimi tre anni è cresciuto anche come movimento politico di base.
Il passaggio dai palcoscenici alle piazze non è stato soltanto uno slittamento avanguardista o velleitario di Grillo, ma anche l'esondazione del bisogno di discussione pubblica nel vuoto della politica di professione. Unendo gli incontri in piazza, i gazebo nelle città al quotidiano lavoro di elaborazione delle notizie e dei fatti nazionali e globali sul suo blog Grillo è riuscito a diventare il collettore di tanti malesseri, di tante smanie lecite di protagonismo dei cittadini, con un seguito che ha portato il suo sito web tra i primi dieci blog più cliccati al mondo.
Mentre la politica italiana si imbrigliava nel berlusconismo e nell'antiberlusconismo Grillo ironizzava su queste maschere contrapposte del teatrino partitico e, al tempo stesso, dava la possibilità ai cittadini di discutere di nuovo, liberamente, senza dover fare lunghi e tortuosi percorsi dentro i chiusi apparati dei partiti tradizionali.
Col crescere della sua influenza in larghe parti di società italiana, all'inizio soprattutto tra i giovani ben scolarizzati e in seguito anche tra le fasce più deboli del Paese, Grillo ha trovato naturale puntare sulla sua esperienza di affabulatore satirico per porgere e insinuare le sue idee politiche.
Questa accoppiata si fonda su due cose che insieme sono diventate seducenti: una capacità di semplificare gli argomenti politici non distogliendo l'attenzione dalla complessità della globalizzazione; una rappresentazione di sé come cittadino tra cittadini, disinteressato ai giochi di potere e anzi, indignato come tutti noi di fronte a quella che Berlinguer criticava come "occupazione della società da parte dei partiti".
Tuttavia se è stato possibile garantirsi nel tempo, con l'esempio e il comportamento, questa specie di "incontaminazione" dalla grigia atmosfera della politica nazionale, è pur vero che la crescita impetuosa e costante della sua popolarità l'ha confermato nell'umano desiderio di potere che ciascun essere umano prova di fronte ai propri successi personali. Un desiderio anche legittimo – si badi bene – ma che alla lunga logora quanto e più di chi quel potere non lo assapora mai (checché ne pensasse Andreotti).
È così che, a poco a poco, dall'Howard Beale di
Quinto Potere, Grillo è diventato più simile a un altro personaggio, stavolta letterario e non cinematografico:
Napoleon del libro
La Fattoria degli Animali di George Orwell.
La storia dell'apologo di Orwell era cucito addosso alla tragica escalation di disastri e tragedie che Stalin aveva prodotto nella Russia Sovietica. Lungi da pensare a somiglianze tra Grillo e Stalin, possiamo però intravvedere (tolto ogni riferimento storico e analogico) nel personaggio dell'intelligente maiale Napoleon che, insieme agli altri animali, caccia gli uomini dalla fattoria per impiantare finalmente una struttura sociale più egualitaria, un tratto comune con il penultimo Beppe Grillo. Vale a dire la fase di conduzione quasi dittatoriale del Movimento 5 Stelle.
Questo mutamento in Napoleon è avvenuto negli ultimi due anni, tra il 2011 e il 2012. In questo periodo Grillo ha sconfessato esponenti del suo movimento che erano riusciti ad occupare posti di responsabilità nelle giunte locali di varie città e regioni italiane, per aver preso decisioni amministrative a suo dire inopportune, arrivando a redarguirli con grande durezza. E, soprattutto, quando ha cacciato dal movimento due esponenti di spicco in Emilia-Romagna soltanto perché erano apparsi in tv a discutere di politica in alcuni talk-show, cioè Giovanni Favìa e Federica Salsi.
In questi due ultimi casi si è trattato di una sorta di epurazione che ricorda gli anatemi anni '50 del Comitato centrale del Pci contro alcuni intellettuali poco ortodossi. E certamente ricorda il forzato esilio cui il maiale Napoleon, capo della fattoria degli animali, costrinse il maiale Palla di Neve che desiderava forse più democrazia interna. È proprio in questo libro che George Orwell mira a dirci che "nessun uomo riuscirà mai a debellare il desiderio di potere".
Ma dal dicembre 2012 a oggi è salito in cattedra un terzo Beppe Grillo, più esperto e più determinato. È questa attuale la terza fase da quando il comico-predicatore si è fatto politico-predicatore. Oggi Grillo è diventato come
Antanas Mockus.
Chi è costui? Una specie di genio della comunicazione politica della Colombia, che spesso si presenta con maschere o cappelli improbabili.
Antanas Mockus, di origine lituana, ha studiato filosofia in Europa, con Juergen Habermas e Jean-Francois Lyotard è stato rettore dell'Università di Bogotà, sindaco nella capitale colombiana e poi candidato dei Verdi alle politiche.
Durante la prima campagna elettorale per le comunali di Bogotà fece impazzire il suo avversario e le televisioni locali e nazionali. Aveva fatto incontri serratissimi con tutte le parti sociali della capitale, tanto che i commentatori politici non sapevano se presentarlo come un candidato di destra o un candidato di sinistra. Due giorni prima del voto dette appuntamento al suo avversario per un decisivo confronto televisivo in diretta, ma non si presentò, lasciandolo da solo insieme al conduttore.
Nessuno aveva scommesso sulla sua vittoria, vista l'eterodossia dei suoi comportamenti e lo scherno che dimostrava per le abusate maniere della politica tradizionale. La sua lotta politica si basa oggi sull'abolizione dei privilegi della casta e sulla lotta alla corruzione che anche in Colombia, come da noi, è un problema serio per l'economia emersa. I punti di contatto con Grillo sono evidentemente molti.
Beppe Grillo ha avuto successo, per una certa inconsistenza comunicazionale dei politici di professione e per la loro sostanza o apparenza di uomini di potere. Beppe Grillo ha successo perché è soprattutto un uomo di spettacolo, una sorta di icona pop (non diverso da Steve Jobs o da Adriano Celentano).
In questo modo è riuscito a imporre la sua immagine all'Italia. Parole semplici, messaggi univoci, battute, e una capacità di dispensare speranza e ottimismo per la nazione e disprezzo per l'avversario.
Questa è la ricetta che lo ha elevato prepotentemente a capopopolo mediatico. Il Movimento 5 stelle ha vinto perché Grillo è l'idolo pop della maggioranza degli italiani e perché i grillini sono sul territorio, vicini ai cittadini in carne e ossa, com'era una volta la Lega.
Viviamo in un'Italia pop. Non popolare, ma commerciale, semplificata dal mercato e da internet. Un'Italia pop, dove vige la regola della performance, dove i cittadini vincono o perdono, dove si operano scelte sulle indicazioni dei sondaggi. Oggi la politica è performance, è diventata una grande narrazione da veicolare attraverso Facebook e Twitter, oppure nelle piazze che allo spettacolo comico hanno sostituito quello politico, ma sempre di spettacolo si tratta.
È l'Italia di oggi, in cui la spettacolarizzazione della politica e della vita quotidiana ha surrogato la concretezza delle esperienze. In questo scenario hanno séguito coloro che riescono a rendere semplici i discorsi sul mondo, coloro che parlano ai sentimenti elementari.