Di carattere i due sono come il giorno e la notte: Fo è appassionato, esuberante, disponibile, pronto a mettersi in gioco pure ora alla soglia degli 87 anni e, visto che il Grillo vittorioso parla col contagocce, disposto persino a fare «il portavoce del portavoce» del Movimento 5 stelle, come dice scherzando. Casaleggio all’opposto è, nella descrizione di Dario, «un tipo molto schivo, che impiega un po’ di tempo a entrare in sintonia con le persone, un uomo che non vuole apparire».
Magari è riservato per calcolo, stare acquattato e non concedersi è una strategia conveniente e lui è appunto un esperto di strategie di comunicazione. «No, no, è proprio così, è il tipo che non sbroda, non invade. Ma immagino che se uno non cattura subito la sua simpatia e considerazione sia poi difficile stabilire un rapporto: si chiude a riccio, non media». Tra loro due, invece, è filato tutto liscio fin dal primo incontro, a inizio dicembre dell’anno scorso, a Milano a casa di Dario Fo e Franca Rame.
Grillo, amico da quarant’anni e compagno di battaglie in quel di Forlì contro un impianto che devastava il territorio, gli aveva proposto un libro insieme, a tre voci. Diventerà, titolo scovato da Fo, “Il Grillo canta sempre al tramonto”, Chiarelettere, al momento 40 mila copie e «altre ristampe in vista ora che a seguito della vittoria elettorale gli ordini dei librai sono raddoppiati da un giorno all’altro»: come racconta Lorenzo Fazio, di Chiarelettere direttore editoriale e socio al 30 per cento, presente alle tre giornate di conversazione in casa Fo da cui il libro è nato, del testo finale il meticoloso ricucitore.
Di Grillo e Casaleggio, due anni fa Fazio aveva già pubblicato “Siamo in guerra”, 20 mila copie più qualche migliaio in digitale, insomma buono ma non un bestseller. «Ci siamo subito messi all’opera», racconta Dario: «Inventiamoci un viaggio dal Pireo ad Atene, ho proposto, sulla falsariga di Luciano di Samosata. Ci vuole ritmo, servono stacchi, il lavoro sta in piedi se c’è invenzione, se diventa un fatto quasi magico». Leggi il libro e ti accorgi che la narrazione è Fo a impostarla, ma gli stacchi di ragionamento, i passaggi da un tema all’altro, l’irruzione dei contenuti chiave toccano, assai più che a Grillo, quasi sempre a Casaleggio. «Sì, lui è uno che ogni volta ti fa delle improvvisate, anche nel modo di raccontare i fatti», certifica Dario. Sul gioco dei ruoli tra Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio c’è un curioso siparietto: «GC. Beppe e io scriviamo insieme i testi sul blog. BG. Gianroberto ha la sintesi, io l’analisi. Io parlo, parlo, parlo. GC. Ogni tanto parlo anch’io. BG. Ogni tanto lo lascio parlare. GC. Grazie».

Sulla storia, figuriamoci, ci sono andati a nozze, Fo e Casaleggio: il primo con Leonardo da Vinci, il secondo con Gengis Khan, «non era sempre facilissimo riportarli a parlare dell’attualità, che da editore volevo fosse ben presente nel libro», racconta Fazio. Lui Casaleggio lo interpellò la prima volta su suggerimento di Marco Travaglio nel 2006 quando si stava inventando Chiarelettere: «Volevo una forte presenza in Rete ma all’epoca non potevo permettermi un esborso elevato. Dal 2010 però è lui il nostro referente per tutta la parte Web». Poco ci manca che scatti il conflitto d’interessi, con Casaleggio che prevede la fine non solo dei giornali, ma anche dei libri e dei diritti d’autore: «L’ho interrotto: “Scusa, e io che faccio?”. “Una brutta fine anche tu”, mi ha risposto, “se non ti inventi un modo per giustificare la tua funzione e identità sei destinato a soccombere”». Radicale o brutale che l’uomo appaia, libri e giornali non sono le uniche cose di cui Casaleggio preconizza la scomparsa o auspica la cancellazione. Il carcere: «Se lo elimini, non c’è più il problema, io lascerei soltanto gli istituti di massima sicurezza per chi è pericoloso». Le auto: «Io le voglio abolire, il telelavoro non è una chimera». Le regole del traffico: «A Bombay è il traffico del più forte. Funziona! Senza regole vige comunque una regola». Quella del più forte, appunto, nel traffico stradale come nei rapporti sociali: che mai ne dirà Fo? «Ma no. Sembrano paradossi, poi però quando ti spiega capisci che vale la pena di provare. Ha studiato. Conosce i problemi. Leggo il libro e sento la sua voce, i suoi timbri, il suo linguaggio: lui mi piace perché è l’uscita dagli schemi, è il salto mortale. Più giovane di noi, ha capito che questa è una falsa democrazia. Che la nostra cultura politica è il disastro italico del furbacchione abituato a rimandare sempre per non risolvere mai, a riempire le leggi di trucchi e postille per invalidarle. E che quella nostrana è una falsa sinistra, tessuta di ipocrisia, gabule sui posti di potere, scannamenti e sgambetti, furberie alla maniera di Scapino, il servo che ha appreso le tecniche del padrone e le usa per il suo tornaconto».

Qualche pagina dopo Casaleggio lo corregge, o lo ribalta, e spiega che «l’organizzazione del disordine è molto importante, la creatività spontanea va combinata con un’organizzazione curata nel dettaglio, dove nulla è lasciato al caso». Teniamo buona questa? O quell’altra dove Casaleggio teorizza «comunità leaderless» che «associano intelligenze senza bisogno di riferirsi a un capo supremo, come gli Amish, Occupy Wall Street, M5S»? Dario Fo taglia corto: «Escono dai luoghi comuni, inventano un linguaggio, e ciò provoca una rivoluzione. Andrà bene o male, vedremo, ma la loro ha tutti i crismi di una rivoluzione».



