Fincantieri, Siram, Grandi Navi Veloci e persino il Vaticano. Erano commesse particolarmente rilevanti quelle a cui mirava l'imprenditore Stefano Bonet. Lui stesso definiva la sua compagine societaria una "stella a cinque punte".
Il comitato d'affari messo in piedi assieme a Belsito, Girardelli e Lombardelli, e disarticolato ora dalla procura della Repubblica di Milano, aveva il compito di lavorare su importi decisamente più cospicui.
L'ex tesoriere della Lega, infatti, sin dal 2004, ha gestito le casse del Carroccio «nella più completa opacità».
Per gli inquirenti Belsito «ha alimentato la cassa con denaro non contabilizzato ed ha effettuato pagamenti e impieghi, anch'essi non contabilizzati o contabilizzati in modo inveritiero». Soldi dalla provenienza sconosciuta che, una volta transitati dai conti del partito leghista, sparivano all'improvviso, per essere riciclati grazie a quel meccanismo societario costruito proprio da Stefano Bonet.
L'imprenditore, del resto, per ammissione di un suo uomo di fiducia, Paolo Scala, «accetta i costi della politica e ha sempre detto che se la politica ha un costo lui paga questo prezzo». Ma la storia insegna che arriva sempre il momento della resa dei conti. Specie dove c'è da spartire una torta particolarmente invitante. E così accade che i rapporti tra Bonet e Belsito iniziano ad incrinarsi.
Il disegno per screditare Belsito e l'ombra delle 'ndrine.
Le frizioni maggiori, come riportato dal gip Gianfranco Criscione, si registrano tra l'ex tesoriere della Lega ed il faccendiere Romolo Girardelli. A Belsito viene rimproverata una poco equa suddivisione dei proventi. E Girardelli non è certo un uomo tenero di fronte agli affari. A preoccupare non è la sua spregiudicatezza. Per la Dda di Reggio Calabria si tratta di un soggetto molto vicino alla cosca di 'ndrangheta dei De Stefano. Tanto che il pm Giuseppe Lombardo ipotizza che ci siano proprio Girardelli, Mafrici e Belsito dietro le operazioni di riciclaggio del denaro per conto dei De Stefano in Calabria.
Il sodalizio, però, inizia a sfaldarsi già dal 2011. Girardelli – meglio conosciuto come l'ammiraglio – cerca di fare il vuoto attorno allo stesso Belsito, proponendosi con Bonet (lo Shampato) come esclusivo procacciatore di affari. Lo strumento per neutralizzare il tesoriere della Lega è l'organizzazione di una campagna di stampa che sbatta in prima pagina fatti e circostanze compromettenti per Belsito. Viene addirittura affidato a Bonet il compito di confezionare un dossier da consegnare alla dirigenza della Lega ed al Vaticano, riguardante i comportamenti di Belsito in danno del partito politico. Si ragiona sui trust dietro i quali si celano i suoi affari. «Ne emerge un quadro davvero squallido, di tradimenti e bassezze» scrive il pm nella sua richiesta. Del resto, la posta in gioco è altissima: si tratta dell'eredità del rapporto con la Lega Nord.
Bonet e Girardelli vogliono a tutti i costi continuare a fare affari nell'orbita del partito. Ed il 27 gennaio del 2012, i due discutono di un incontro che Bonet dovrà tenere con Maroni, Castelli e Calderoli. Si pensa già al dopo-Belsito. Giradelli e Lombardelli allora «si accordano per distruggerlo seguendo una strategia ben precisa (che verrà in effetti attuata) – scrive ancora il pm – e, una volta abbattutolo, rivendicare la loro parte». Bisogna far capire a Bonet che Belsito «è a fine corsa». L'obiettivo è farlo allontanare dalla Lega e far sì che Rosy Mauro e la moglie di Bossi diffidino di lui. Il piano va avanti ed il 20 gennaio 2012, Girardelli dice a Bonet «che occorre prendere le distanze da Belsito perché il nuovo gruppo, di quello (Belsito), non vuole sentir neanche la puzza, dobbiamo prendere delle distanze ufficiali e cominciare a lavorare».
Mafrici, Girardelli e via Durini 14
Ma nel frattempo c'è da sistemare la questione tra i due storici soci. L'ammiraglio affronta l'ex tesoriere a muso duro: «Mi devi dare il mio; tu ti sei preso la gente e ti sei fatti i cazzi tuoi... sono stato 10 anni con te muto come un cane». Girardelli è inferocito poiché Belsito lo avrebbe lasciato fuori dai benefici ricevuti da Bonet e Mafrici. Quest'ultimo è tenuto molto in considerazione dal leghista, tanto che nel 2011 pensa di farlo entrare stabilmente nel sodalizio.
Bruno Mafrici, detto l'avvocato, è un giovane professionista che non ha mai preso l'abilitazione ma, pur avendo una laurea in giurisprudenza, ha ottenuto una importante collaborazione nello studio Mgim di Lino Guaglianone, ex tesoriere dei Nar. Ed è proprio l'ufficio di via Durini 14, a Milano, a rappresentare la sede ideale per le riunioni del gruppo. Secondo l'accusa, infatti, Mafrici apre le stanze ovattate di Mgim, così che i soci possano discutere in libertà. Non sfugge come Mafrici, reggino d'origine, risulti tra gli indagati in Calabria nell'ambito dell'inchiesta sul riciclaggio di denaro per conto dei De Stefano. La figura dell'avvocato è poliedrica: oltre ai contatti con le lobby affaristiche, può vantare conoscenze istituzionali anche molto importanti, come quella con il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti. E proprio a casa di Mafrici, infatti, che il leader del Pdl calabrese si reca durante uno dei suoi soggiorni milanesi a guardare in tv una partita di calcio. Nulla d'illecito, per carità, ma di certo la testimonianza di una buona conoscenza tra concittadini. Del resto, lo studio Mgim si occupa di importanti consulenze per diverse società calabresi, fra cui anche la Multiservizi, società mista del Comune di Reggio di cui Scopelliti è stato sindaco, ed oggi sciolta per infiltrazioni mafiose, poiché una quota del socio privato sarebbe di proprietà dei Tegano, cosca assai vicina ai De Stefano.
Le commesse Fincantieri, Siram e Vaticano.
Dalla Calabria alla Lombardia il rimbalzo è veloce. Mafrici, infatti, attraverso il pagamento di una consulenza da 54mila euro, sarebbe stato inserito in uno degli affari più importanti di Bonet, ovvero quello di Siram, cui diede un contributo non indifferente anche Francesco Belsito.
A raccontarlo ai magistrati è Luciano Campagnaro, responsabile risorse umane della Polare, la società di Bonet: «Il ruolo di Belsito, oltre che finalizzato ad agevolare i rapporti con Siram, era destinato ad agevolare, in virtù del suo ruolo politico, la nascita di nuove opportunità di lavoro per Polare. In proposito ricordo che molto spesso le riunioni del lunedì vertevano sul fatto che di lì a poco sarebbero arrivate, in Polare, commesse da Fincantieri, propiziate dall'attività di lobbying di Belsito». Parole che fanno il paio con quelle raccontate dal faccendiere Paolo Scala: «Il cliente principale di Bonet era comunque la Siram di Milano».
Ma come entra il colosso dell'energia in tutto questo? Per gli investigatori, Belsito e Bonet avrebbero simulato la realizzazione di spese per investimenti nel campo della ricerca e dello sviluppo, consentendo alla Siram, attraverso falsi contratti e fatture, di beneficiare di agevolazioni sotto forma di credito d'imposta per un importo di 8 milioni di euro circa. Per gli inquirenti, quelle somme investite in ricerca rientreranno pressoché totalmente nelle casse della Siram, attraverso apposite fatture, inducendo a ritenere che si tratti di operazioni fittizie. Il colosso energetico, però, già ieri ha smentito seccamente qualunque rapporto con Belsito.
Finita qui? Non proprio. Perché a sentire Paolo Scala, Stefano Bonet aveva anche altre importanti commesse su cui lavorare: università di Napoli e Ferrara, Grandi Navi veloci e Vaticano.
«Con il Vaticano – spiega – Bonet voleva ottenere la gestione del sistema di ottimizzazione sotto il profilo dell'organizzazione ed efficienza, dell'intero settore sanitario facente capo al Vaticano stesso; il quale, per quanto Bonet riferiva, era esteso a livello internazionale con migliaia di strutture. Bonet aveva individuato un soggetto che avrebbe dovuto consentire l'accesso ad un alto prelato in quel settore». Progetti rimasti quasi certamente nel cassetto, perché lo scandalo Belsito, di fatto, ha travolto l'intero gruppo d'affari.