Quei poliziotti? Mai più in divisa

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E' una questione di civiltà: chi ha ucciso di botte Aldrovandi non può e non deve tornare in servizio. Il governo attuale e quello futuro se ne facciano garanti. E licenzino subito quelli che hanno manifestato in loro favore

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Spesso in Italia far valere i propri diritti è una corsa a ostacoli. Prevale quell'immobilità che un Parlamento in perenne stallo alimenta. Accade così che sull'assunzione di sostanze stupefacenti, per fare un esempio, ci sia una "letteratura" costantemente smentita dai fatti che però consente al politico di turno di raccogliere consensi assumendo che se si è stati picchiati - anche a morte - dalle forze dell'ordine e si era in stato di ebbrezza o sotto effetto di oppiacei, in qualche modo la colpa è del "drogato" e non di chi lo ha manganellato a morte. Scontiamo gli effetti della peggiore ottusità nata negli anni Ottanta. Ottusità superata da studi, superata dai fatti: uno spinello non è l'anticamera della tossicodipendenza, un bicchiere di vino o un cocktail se in corpo a un diciottenne non sono prova di mancanza di senno.

Assunzione di alcol e droghe non possono in nessun caso - non dovrebbero, ma spesso lo sono - essere usate per giustificare morti dovute ad abusi di potere. Ed è assurdo che quando quattro poliziotti uccidono di botte un diciottenne, ci vogliano 11 anni per avere una sentenza definitiva di condanna. È assurdo avere la certezza che scontata la pena, quei quattro agenti saranno reintegrati ai loro posti. Assurdo che i quattro poliziotti che hanno ucciso con calci, pugni e manganellate Federico Aldrovandi possano tornare a fare il loro lavoro. Il carcere può riabilitarli ma non saranno mai più idonei a difendere la collettività che si è dovuta difendere dalla loro follia, dalla loro spietata violenza.

La versione integrale dell'Antitaliano è in edicola sull'Espresso del 5 aprile 2013


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