Quando la politica esaurisce le sue forze negli eterni bracci di ferro tra maggioranze e opposizioni. Quando l'unica preoccupazione è scegliere il portavoce meno impresentabile da mandare in televisione. Quando non guarda fuori dal palazzo, ma sempre dentro, accade che a far valere i propri diritti e a lottare per quelli degli altri debbano pensarci i cittadini. In questi anni sono molti gli italiani che hanno fatto per la nostra democrazia più delle centinaia di parlamentari eletti. Con la politica avevano poco o nulla a che fare prima che i loro casi divenissero talmente esemplari da essere un precedente su cui costruire battaglie per l'acquisizione di nuovi diritti. Beppino Englaro e Mina Welby hanno fatto comprendere con impegno e amore quanto sia fondamentale poter scegliere una morte dignitosa. Quando mi sono avvicinato alle vicende di Eluana Englaro e di Piergiorgio Welby non immaginavo quante persone condividessero quello stesso destino e non sapevo quanto lo Stato fosse assente dalle loro vite. Pronto solo a difendere un teorico diritto alla vita, senza garantirne la dignità.
Spesso in Italia far valere i propri diritti è una corsa a ostacoli. Prevale quell'immobilità che un Parlamento in perenne stallo alimenta. Accade così che sull'assunzione di sostanze stupefacenti, per fare un esempio, ci sia una "letteratura" costantemente smentita dai fatti che però consente al politico di turno di raccogliere consensi assumendo che se si è stati picchiati - anche a morte - dalle forze dell'ordine e si era in stato di ebbrezza o sotto effetto di oppiacei, in qualche modo la colpa è del "drogato" e non di chi lo ha manganellato a morte. Scontiamo gli effetti della peggiore ottusità nata negli anni Ottanta. Ottusità superata da studi, superata dai fatti: uno spinello non è l'anticamera della tossicodipendenza, un bicchiere di vino o un cocktail se in corpo a un diciottenne non sono prova di mancanza di senno. Assunzione di alcol e droghe non possono in nessun caso - non dovrebbero, ma spesso lo sono - essere usate per giustificare morti dovute ad abusi di potere. Ed è assurdo che quando quattro poliziotti uccidono di botte un diciottenne, ci vogliano 11 anni per avere una sentenza definitiva di condanna. È assurdo avere la certezza che scontata la pena, quei quattro agenti saranno reintegrati ai loro posti. Assurdo che i quattro poliziotti che hanno ucciso con calci, pugni e manganellate Federico Aldrovandi possano tornare a fare il loro lavoro. Il carcere può riabilitarli ma non saranno mai più idonei a difendere la collettività che si è dovuta difendere dalla loro follia, dalla loro spietata violenza.
Assurdo che dopo le scuse del capo della polizia Antonio Manganelli alla famiglia Aldrovandi, dopo una sentenza di condanna per omicidio colposo, ci sia ancora chi scenda in piazza in solidarietà dei quattro assassini. Assurdo che a scendere in piazza siano poliziotti (rappresentanti del Coisp), che hanno giurato fedeltà alla nostra costituzione. Sono certo che, se fosse stato ancora vivo Manganelli, sarebbero stati più prudenti a fare questa orrenda sceneggiata squadrista. Assurdo che non si rispetti la decisione di un tribunale. Assurdo che si abbia tanto in spregio la vita umana e il dolore di una madre. Assurdo che i protagonisti di tutto questo siano rappresentanti delle forze dell'ordine. I casi Aldrovandi, Cucchi, Uva, Gugliotta, sono casi di abuso di potere nei quali i famigliari - quando ci sono riusciti - hanno dovuto lottare con tutte le forze umane ed economiche per vedere ristabilita la verità. Ogni giorno si effettuano migliaia di controlli, centinaia di arresti. Non dirò di come molti poliziotti, carabinieri, finanzieri lavorino senza mezzi adeguati in territori difficili, non lo farò perché sarebbe superfluo e non lo farò perché è importante che le forze dell'ordine si difendano da sole prendendo nettamente le distanze da quei colleghi che con i loro comportamenti macchiano intere categorie.
È fondamentale che si battano perché i quattro assassini di Federico Aldrovandi, scontata la pena, non vengano reintegrati nella Polizia. Che si battano perché chi il 27 marzo 2013 ha manifestato in solidarietà ai quattro assassini venga allontanato dalla Polizia. Chi difende degli assassini non può difendere la società.