Dopo la morte assistita di Piera Franchini in Svizzera, si è riaccesa l'attenzione sul fine vita. E mentre i Radicali lanciano una nuova campagna, dalla Chiesa si alza a sorpresa qualche voce a favore della 'libertà di coscienza'

"Perché devo soffrire?", si chiede Piera Franchini nell'ultimo miglio della malattia, tumore al fegato, in un video di tre minuti che ha spiegato le ragioni del suo "suicidio assistito", compiuto in una clinica svizzera.

La sua storia è il labaro che i radicali sventolano sulla campagna "Eutanasialegale" (www.eutanasialegale.it), lanciata insieme all'Associazione Luca Coscioni. Servono 50mila firme per depositare in Parlamento una proposta di legge di iniziativa popolare che regoli testamento biologico ed eutanasia. Accanto alle associazioni che promuovono l'iniziativa - UAAR, Exit Italia, Amici di Eleonora Onlus, Associazione radicale Certi Diritti - si sono mossi anche i primi firmatari: da Umberto Veronesi, direttore scientifico dello Ieo, al regista Marco Bellocchio (qui l'elenco delle adesioni). Il tentativo è di riaccendere un riflettore su una ferita ancora dolorosamente aperta, dopo la drammatica vicenda di Eluana Englaro. L'agenda politica, inghiottita dalla gora contingente, sembra essersi scordata delle promesse di qualche anno fa, quando la battaglia di Peppino Englaro agitava coscienze e giornali.

All'epoca sembrava l'incipit di un percorso che avrebbe condotto a normare una materia così delicata. Superata l'emergenza, però, non se ne è fatto più niente. Anche nell'ultima campagna elettorale i diritti civili sembrano essere scomparsi dai programmi dei partiti. Ma la società segue rotte parallele a quelle politiche, se perfino il cinema torna ad occuparsi di "fine vita", col film "Miele", dove la Golino narra la storia di una giovane infermiera che aiuta i malati terminali a morire.

E la Chiesa? In passato alcune posizioni esplicite, espresse pubblicamente, sono costate piuttosto care anche a parroci non propriamente conservatori. Qualche giorno fa, dalle pagine di Repubblica, il teologo cattolico Vito Mancuso ha spiegato le ragioni del suo sostegno alla campagna: "Alleviare la sofferenza sempre, in ogni caso laddove sia possibile. Rispettare la libera autodeterminazione della coscienza sempre, con senso di solidarietà e di vicinanza umana".

Don Alessandro Santoro, parroco della Comunità delle Piagge, a Firenze, è d'accordo. Finito già al centro delle polemiche, nel gennaio scorso, per aver battezzato i bambini di una coppia gay della provincia di Prato, e aver celebrato il matrimonio religioso tra un transessuale e il suo compagno, era stato sospeso dal suo magistero per un breve periodo. Oggi, anche su queste tematiche, mostra una posizione piuttosto originale. "Farei un distinguo tra eutanasia e testamento biologico", dice all'Espresso. "Una cosa è concedere a tutti il diritto di scegliere se accogliere o meno una terapia – diritto sacrosanto, a mio avviso. Altra cosa è riflettere sul diritto di interrompere la propria storia su questa terra. Io rivendico la mia laicità profonda e credo sia importante, laddove vi sia un vuoto normativo in materia, interrogarsi sul perché e riempire quel vuoto, varando una legge che normi questioni che non possiamo non affrontare. Tanto più che in questo vulnus, come ci insegna il caso Englaro, si rischia perfino di subire conseguenze dal punto di vista penale, agendo in una determinata direzione. È importante affrontare la cosa dal punto di vista legislativo, così come è stato per l'aborto e il divorzio".

Per don Alessandro si tratta di un dibattito sul primato, o meno, della coscienza: "Credo che la coscienza sia il luogo più importante che abbiamo. Luogo in cui la presenza di Dio è forte. Ma questo non esclude che vi sia anche il diritto di ciascuno alla libertà di disporne. Certo, occorre fare una riflessione profonda su cos'è la vita e il fine vita, e su cosa stia dietro ad essa. Sebbene sia un dono e spetti alla natura o al Signore decidere quando si deve restituire, credo che debba anche prevalere la libertà di rifiutarla, se non viene più considerata tale. Non ci deve essere alcuna condanna, né impedimento, per un principio non negoziabile come questo".

L'Espresso ha raggiunto Don Ciotti, fondatore di Libera, che nel 2010 era stato attaccato dal presidente di sezione alla Corte di Cassazione Corrado Carnevale, proprio per le posizioni espresse sull'eutanasia. Ma fa sapere che "è in viaggio" e "Non ha tempo per rispondere su questo".

Don Gino Rigoldi, presidente dell'associazione milanese Comunità nuova, è più possibilista: "La libertà di coscienza è fondamentale. Così come la possibilità che ciascuno ragioni e decida con la propria testa. Nel caso di Eluana Englaro si è trattato – a mio avviso – di una forma di accanimento terapeutico, dunque ho ritenuto legittima la battaglia del padre Peppino per dare una morte dignitosa alla ragazza. È anche giusto considerare che il modo peggiore per trattare alcune tematiche scottanti è non parlarne: il vuoto normativo deve essere riempito. Le mie perplessità, tuttavia, risiedono nel rischio che attorno alla morte assistita sia germinata una speculazione che nutre una macchina d'affari piuttosto preoccupante, come nel caso della Svizzera. Un altro aspetto riguarda il rischio che la depressione, corollario della crisi, trovi una via più facile per far sì che la vita s'arrenda, di fronte alle difficoltà: è un cancro di cui nessuno parla e scrive. Certo, è anche vero che la casistica è complessa. Credo che il modo più equilibrato per affrontare l'argomento sia adottare cautela e qualche accorgimento".

Sguscia via dal quesito Don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità di Milano. Nel 2011 la sua posizione apertamente schierata sul sindaco Pisapia gli costò l'addebito di rinnegare, dal suo magistero, i principi non negoziabili della Chiesa. All'epoca rispose che l'associazione Pisapia-eutanasia era gioco facile e strumentale. E che occorreva una riflessione più profonda delle semplificazioni giornalistiche. Oggi, interrogato in merito, preferisce non rispondere.

Don Antonio Mazzi, presidente della Fondazione Exodus, aggira l'ostacolo: "Non ho letto l'appello dei radicali". Ma quando ci offriamo di girarglielo, blinda la riposta: "Ora non posso. Quando ho tempo lo leggerò".

Anche Don Gallo, infine, si riserva di leggere l'appello dei radicali, ma non risponde.