Loro e tanti altri hanno rivendicato il diritto di decidere del proprio destino. Spingendo il Paese a cambiare leggi o a farne di nuove. Ma la lotta non è ancora finita

18 gennaio 1992: Eluana Englaro ha un incidente mentre sta tornando a casa. Ha ventuno anni e non si sveglierà più: è in stato vegetativo persistente. Alcuni anni più tardi il padre Beppino chiede di poter interrompere la nutrizione e l’idratazione, perché Eluana non avrebbe voluto essere tenuta in vita in quelle condizioni, perché non c’è alcuna possibilità di miglioramento, perché i danni sono irreversibili e gravissimi. Ci vorranno dieci anni e un lungo elenco di orrori, forse inarrivabili i riferimenti al «bell’aspetto» e alle mestruazioni. La difficoltà, in casi simili a quello di Englaro, sta nel ricostruire le volontà della persona prima che quelle volontà non possano essere più espresse.

 

21 settembre 2006: Piergiorgio Welby scrive al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ha la distrofia muscolare e non ce la fa più, vuole morire. «Fino a due mesi e mezzo fa la mia vita era sì segnata da difficoltà non indifferenti, ma almeno per qualche ora del giorno potevo, con l’ausilio del mio computer, scrivere, leggere, fare delle ricerche, incontrare gli amici su Internet. Ora sono come sprofondato in un baratro da dove non trovo uscita», scrive. Napolitano gli risponde tre giorni dopo. «Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera comprensione e solidarietà. Esso può rappresentare un’occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi, di particolare complessità sul piano etico, che richiedono un confronto sensibile e approfondito, qualunque possa essere in definitiva la conclusione approvata dai più. Mi auguro che un tale confronto ci sia, nelle sedi più idonee, perché il solo atteggiamento ingiustificabile sarebbe il silenzio, la sospensione o l’elusione di ogni responsabile chiarimento».

Il confronto non ci sarà, se intendiamo quello politico. Perché la migliore risposta è fare finta di niente. Ci vorranno 88 giorni per esaudire la richiesta legittima di Piergiorgio Welby: staccare il respiratore, cioè interrompere un trattamento.

 

27 febbraio 2017: Fabiano Antoniani muore in Svizzera. Ha 40 anni, è cieco, tetraplegico, ha dolori intollerabili e spasmi muscolari. Lo ha accompagnato Marco Cappato che poi si denuncerà. Grazie ad Antoniani e a Cappato si arriva alla sentenza della Corte costituzionale del settembre 2019 (di cui si scrive sotto).

 

22 dicembre 2017: viene approvata la legge 219, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento. È una legge che ci permette di decidere per quando non potremo più farlo e ribadisce princìpi già esistenti e costituzionali: in una parola, la nostra autodeterminazione. Una delle parti più importanti è il comma 5 dell’articolo 1: «Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte […] qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento […] il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici».

 

25 settembre 2019: la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) in riferimento al caso di Antoniani. Si esclude l’istigazione perché lui ha deciso liberamente e si dichiara incostituzionale il resto «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».

Bene, ma il requisito del sostegno vitale è ingiusto e insensato perché distingue tra malattie e quindi discrimina le persone.

 

Tra il 2019 e oggi, altri decidono di trasformare la loro scelta personale in una decisione pubblica e politica. Perché non è che non si muoia se non lo sappiamo, che non si stacchino macchinari o che non si decida di farsi sedare fino alla eliminazione della coscienza, fino alla morte. La differenza sta tra il farlo e il rivendicarlo, tra la pratica e il diritto.

 

Federico Carboni (il 16 giugno 2022, dopo due anni di denunce e di mancate risposte, riesce a morire a casa sua) e Fabio Ridolfi (il 13 giugno 2022 decide di farsi sedare perché non ne può più di aspettare, dopo più di 18 anni d’immobilità totale). Elena Altamira (2 agosto 2022), Romano (25 novembre 2022), Massimiliano (8 dicembre 2022) e Paola (8 febbraio 2023): tutti vanno in Svizzera perché non rientrano in senso stretto in quel requisito che la Corte ha stabilito come necessario per far sì che aiutare qualcuno a morire non si configuri come un reato.

 

Accompagnare Elena, Romano, Massimiliano e Paola è disobbedienza civile e la denuncia ha l’intento di sottolineare l’ingiustizia del requisito del sostengo vitale, meccanico, cioè come un macchinario e non anche un trattamento farmacologico o sanitario o un altro tipo di assistenza manuale ma necessaria. Nel frattempo, il Parlamento rimanda e s’incarta.

 

* Chiara Lalli è autrice di “Sei stato felice? Mina e Piero Welby, una lunga storia d’amore”, disponibile su Spotify e su tutte le piattaforme, prodotto da Miyagi Entertainment in collaborazione con l’Associazione Luca Coscioni. 

 

 

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