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luglio, 2013

Neanche Carlo paga le tasse

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Una commissione parlamentare è stata incaricata di indagare sui magri contributi all'erario britannico dei colossi della web economy (da Google a Facebook). Ed è venuto fuori che il principe di Galles  su un profitto di 19 milioni di sterline ne ha versati soltanto quattro

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Il principe di Galles renitente alle tasse? È la controversa impressione che una commissione parlamentare britannica – la stessa incaricata di far luce sugli scheletrici contributi dei colossi della web economy all'erario di Sua Maestà - ha riportato lunedì, dopo aver sottoposto il segretario particolare di Charles, William Nye, a un assai poco cerimonioso interrogatorio.

Succedeva mentre il principe, nonno in pectore del più atteso evento natale della società dello spettacolo - quello del figlio di un noto elicotterista e di sua moglie, al momento ancora noto solo come Baby Cambridge -, svolgeva la più routiniera tra le sue incombenze: baciare bambini biondi in visita ufficiale nell'insolita calura della Cornovaglia.

Il tutto mentre la Cornovaglia, che dà il nome al Ducato di cui lui stesso è titolare, la Duchy of Cornwall Estate, diventava il nocciolo del pubblico scrutinio inflitto al povero Nye, visibilmente a disagio davanti ai membri della commissione. L'Estate consiste nella somma di vari appezzamenti e immobili fra la Cornovaglia, l'Herefordshire, il Somerset e naturalmente il Galles, per un estensione di 540,9 chilometri quadrati, il cui valore complessivo ammonta a 847 milioni di sterline (poco più di 1 miliardo di euro).

Le operazioni immobiliari e le speculazioni operate dal fondo hanno fruttato nell'anno 2012-13 al futuro monarca un profitto di diciannove milioni di sterline (circa 22,4 milioni di Euro), un corroborante 4 per cento in più rispetto all'anno precedente. Di quei diciannove milioni, Charles nel 2012 ne ha pagati solo 4.4.

Questo perché non ha dovuto pagare un penny in tasse sui capital gains. La motivazione, come Nye ha ripetutamente sostenuto, è che il fondo - in quanto privato - non è soggetto alla corporation tax, oltre al fatto che il principe deduce dalla somma l'(ignoto) ammontare delle sue spese personali. Inoltre, non riceve personalmente tutti i guadagni dell'Estate: questi vengono reinvestiti per garantire gli introiti e le spese della sua famiglia. Imporre un balzello su questi profitti equivarrebbe a un draconiano tassarlo due volte.

La cosa non ha mancato di generare una certa perplessità anche nei più solidi bastioni della propaganda monarchica. Nemmeno il Daily Mail, quotidiano di non sospette simpatie socialiste, ha potuto esimersi dal citare Austin Mitchell, un membro laburista della commissione che tuonava che il principe "paga meno tasse dei suoi servitori". Affermazione non mendace, giacché in proporzione Charles ha pagato un'aliquota del 24 per cento sui suoi introiti personali mentre costoro, che guadagnano immensamente meno, pagano il 38 per cento sui propri.

Non pago delle contorsioni che di certo stava innescando nello zelante segretario, Mitchell ha continuato nella requisitoria proclamando il Ducato "un'anomalia medievale", con la quale si travestiva un impero edilizio commerciale né più né meno assimilabile a una grande corporation come Starbucks, Google, Apple, Facebook ed Amazon, grandi elusori ultimamente nel mirino del fisco britannico.

Affermazione che Nye non ha potuto che confermare: si tratta in tutto e per tutto di un'istituzione medievale, fondata dal re Edoardo III nel '300 per foraggiare se stesso e la propria discendenza. Aggiungendo poi coraggiosamente che si tratta di una "forza per il bene sociale" e non di una qualsiasi impresa commerciale.

Ma si sa, è tutto per il futuro di baby Cambridge. Dopotutto, in inglese l'espressione "To feather the nest" significa anche questo: rendere il proprio nido di 540,9 chilometri quadrati il più accogliente possibile per l'avvento del nascituro.

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