La zona tra Caserta e Napoli è diventata famosa per i continui roghi di rifiuti e per le discariche abusive ma, nonostante l'alto numero di tumori registrato, il ministero nega l'esistenza di un allarme sanitario. E adesso la popolazione deve lottare contro l'apertura di un nuovo stabilimento inquinante

Provate a immaginare quasi 200 campi di calcio uno accanto all'altro, poi provate a pensare a 6 milioni di metri cubi di rifiuti, leciti e illeciti, urbani e tossici, sepolti lì sotto. Se riuscite a figurarvi la scena, avrete di fronte l'area 'Lo Uttaro' di Caserta.

Su questi terreni, un tempo terra buona per coltivare, trent'anni fa qualcuno cominciava a utilizzare le numerose cave sorte 3 secoli prima per estrarre il materiale usato per costruire la Reggia di Caserta, riempiendole di rifiuti. Da queste parti, come in altre parti della Campania dove le bonifiche dei terreni sono state molte volte annunciate, e spesso disattese, le parole del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, fanno più male che altrove, e provocano sdegno e rabbia.

In visita in quella che ormai è tristemente nota come Terra dei Fuochi, il ministro ha ribadito il concetto, per il quale non vi sarebbe alcun allarme sanitario nelle popolazioni tra Caserta e Napoli, ma preoccupazione per gli stili di vita, spesso causa dell'aumento di alcune patologie. Frasi che hanno provocato una sollevazione tra i comitati impegnati da anni contro quello che definiscono «biocidio»: l'avvelenamento dei terreni, e il conseguente forte aumento di malattie spesso mortali, specialmente tumori. Don Maurizio Patriciello definisce «una mannaia» le parole della Lorenzin, parole che «pesano più di un macigno che cade sulla testa di un bambino».

L'arrivo dei camion
Circa trenta anni fa camion sempre più numerosi cominciarono a transitare sulla via Appia, per giungere fino ad una zona denominata Lo Uttaro, trasportando ogni sorta di rifiuto, senza che vi fosse alcun tipo di controllo sul materiale da scaricare o sulla permeabilità dei terreni in questione. Un via-vai sempre più intenso, che continuava anche la notte, quando, come riportano alcuni cittadini del posto, i camion diventavano talmente tanti da incolonnarsi e rimanere fermi, in attesa di poter entrare e scaricare il loro contenuto velenoso e anonimo. Per anni. Col passare del tempo la normativa ambientale si fa stringente, ma la situazione non cambia molto. Chiude la discarica privata Migliore Carolina nasce l'Ecologica Meridionale. Chiude l'Ecologica Meridionale arriva l'emergenza rifiuti del 2006-2007, e con lei il Commissario all'emergenza rifiuti Guido Bertolaso e quindi una nuova discarica che Bertolaso definì tra le proteste sicura e priva di rischi. Discarica poi chiusa un anno dopo dalla magistratura per disastro ambientale e inquinamento della falda acquifera; «una bomba chimica» come la definì il Presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti Roberto Barbieri durante la puntata di Annozero del 21 febbraio 2008.



Sito di interesse nazionale
L'intera area Lo Uttaro dista non oltre 300-400 metri dal Policlinico in costruzione, ed è stata definita Area Vasta dall'Agenzia Regionale per la protezione ambientale, aree "nelle quali i dati esistenti inducono a ritenere che la situazione ambientale sia particolarmente compromessa, a causa della presenza contemporanea, in porzioni di territorio relativamente limitate, di più siti inquinati e/o potenzialmente inquinati", aree che "necessitano in molti casi anche di interventi di messa in sicurezza d'emergenza". Gli annunci di stanziamenti, accordi e protocolli d'intesa per le bonifiche ormai non si contano più, bonifiche che in alcuni casi si sarebbero già dovute completare da anni, ma è quasi tutto ancora lì.

Non nel mio giardino. Ma il giardino non c'è più
Ma non ci sono solo i rifiuti. Allargando lo sguardo pochi metri più in là, nelle aree adiacenti alle discariche, si scorgono i resti di decine di attività inquinanti ormai dismesse, e alcune industrie insalubri ancora attive. Capannoni abbandonati, camini, scheletri di acciaio e cemento armato, sono ciò che resta delle attività industriali che qui risiedevano negli anni '70. In tutto centonovantotto ettari secondo una stima dell'Arpac, inseriti dal 2000 nel Sito di interesse nazionale Litorale Domitio Flegreo e Agro Aversano da bonificare con urgenza. E' in questo contesto che l'acronimo inglese Nimby (Not in my back yard - Non nel mio giardino), con cui spesso si etichettano le proteste delle comunità contro la costruzione di una discarica o l'insediamento di un impianto inquinante, perde di senso e valore. Il giardino di cui parliamo è grande quasi quanto 200 campi di calcio, ed è già colmo fino all'orlo. Colmo di Arsenico, Floruri, Ferro, Manganese, 1,2 dicloroetano, 1,2 dicloropropano, 1,4 diclorobenzene, Solfati, Cloruro di vinile, Berillio, Tricloroetano, Benzo(a)pirene, Trialometani, Nitrati, Ammonio, Piombo, Alluminio, Antimonio, Nichel, Selenio, nei terreni e nelle falde acquifere, secondo le indagini dell'Arpac.


La protesta delle lenzuola
Dopo decenni di promesse e speranze disattese, tra Caserta e i comuni di San Nicola la Strada, San Marco Evangelista e Maddaloni, comitati e associazioni respingono l'idea di un nuovo impianto, una nuova industria insalubre che dovrebbe nascere in quella stessa zona, per il trattamento dei rifiuti, la New Ecology. Al di là della legittimità degli atti, delle discussioni sulle particelle catastali che sulle cartine ne legittimerebbero la presenza l'idea pare inaccettabile finché non si provveda a bonificare i veleni che già ci sono. Così nasce l'ultima delle proteste; lenzuola bianche e sacchetti neri appesi alle finestre e sulle porte. Il candore e l'intimità della propria casa "sporcati", contaminati, dal sacchetto nero che ne viola la sacralità. Una protesta racchiusa nelle parole del Vescovo emerito di Caserta, Raffaele Nogaro: «La nostra gente non può più sopportare la minaccia terroristica della devastazione della madre terra».

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