La vecchia Europa, dove nacque la rivolta degli anni Sessanta e Settanta, oggi è distratta. Non sembra neppure accorgersi dei giovani che da quindici giorni a Sofia protestano contro corruzione e criminalità organizzata

Dal 25 gennaio 2011, dalla "giornata della collera" contro il regime di Hosni Mubarak, sono trascorsi ormai più di due anni, ma nessuno poteva pensare che una piena democrazia potesse realizzarsi nel volgere di una stagione. La realtà è cosa distinta dai generosi auspici dei telespettatori che hanno archiviato l'interesse per i fatti egiziani quando è calato l'interesse dei media. Eppure, nel corso di questi due anni, molti morti e moltissimi feriti hanno segnato il cammino iniziato con la caduta di Mubarak. Vittime di una dialettica politica accesa, della mancata accettazione dei risultati delle prime elezioni democratiche e del malcontento per l'azione di governo dei Fratelli Musulmani, che quelle elezioni avevano vinto.

Questi sono giorni in cui – mentre l'Europa langue, priva di idealità politiche forti e stretta in logiche di bilancio che poco spazio lasciano alla discussione sui diritti – diversi focolai di rivolta si accendono in luoghi fisicamente lontani tra di loro, ma così vicini e simili. Certo, i politologi di professione storceranno il naso: la scienza è professione di distinzione e l'analogia è una trappola sempre pronta a scattare. Ma questa primavera adesso estate unisce le piazze e le strade turche, brasiliane ed egiziane più di quanto possa sembrare. E noi europei lo dovremmo sapere bene, perché questo fermento, generazionale, sociale, in una parola politico, è quello che ha attraversato l'Europa tra gli anni Sessanta e Settanta. Se non avesse smarrito il proprio senso e la propria prospettiva, nell'affanno costante di far quadrare i conti, chiedere più disciplina o pietire indisciplina, forse il vecchio continente potrebbe guardarsi alle spalle, scoprire e osservare le sue strade e le sue piazze, invase da volti e corpi, tanto simili a quelli che hanno occupato piazza Taksim, tornano a Tahrir e non accennano a rientrare nelle case di San Paolo, Rio, Brasilia. E dobbiamo dire che l'Europa è tanto distratta da non accorgersi che a pochi chilometri dai propri Uffici politici – o contabili? – la Bulgaria, i giovani bulgari sono in piazza da quindici giorni, contro la corruzione e la criminalità organizzata, che sono strettamente annodate come ha ben spiegato Misha Glenny nel suo importantissimo "McMafia". La rivolta non è un'esigenza estetica ma la genesi della democrazia: il tiranno può avere il volto di Mubarak o quello di oligarchie nascenti dall'incancrenirsi di un potere durato troppo a lungo, come in Turchia e Brasile. O può avere il volto di una classe politica, di un presidente, che seppure democraticamente eletto non ha idea di cosa sia o sia diventato il suo popolo e ne determina la sollevazione, come nel caso di Morsi.

I vecchi sono importanti , perché l'esperienza del passato che dai loro racconti promana si fa regola di condotta, capacità di comprensione, possibilità di vicinanza, di tolleranza. Negli ultimi venti anni, l'Europa ha perduto il senso della sua stessa definizione: vecchio continente. E oggi non riesce ad abbracciare quelle piazze, non riesce a offrire quella comprensione politica che, sola, può permettere a quelle strade di diventare luogo fondativo di democrazie che si facciano strumento di diffusione dei diritti e non focolai di guerre civili. I nostri anni Settanta, gli anni Settanta dell'Europa, sono stati anni di guerre civili, monopolizzati dalla lotta tra chi credeva di essere erede della tradizione partigiana, quelli che avevano mantenuto drammaticamente intonsa l'ideologia fascista e ambienti dello Stato asserviti a interessi stranieri se non direttamente criminali. Di mezzo lo Stato, di mezzo i tanti cittadini che qualche anno prima avevano invaso le piazze, le strade, con i propri volti, i propri corpi, le proprie istanze nonviolente. Ecco, oggi l'Europa, se fosse Europa, dovrebbe giocare da protagonista questa partita, che è politica. Perché a queste piazze piene, a queste strade traboccanti di energia non seguano storie già viste, di gente tornata nelle case e di vuoto democratico.

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