Interrogandosi su un partito nuovo per un buon governo, Fabrizio Barca, nell'aprile del 2013, si chiedeva se il percorso per giungere al nuovo assetto sarebbe potuto essere «graduale o brusco».

Ora dopo un viaggio di migliaia di chilometri utile a conoscere la situazione del Partito democratico e discutere il suo modello di partito, Barca è giunto alla conclusione che «i processi hanno bisogno di tempo» e che « il Pd ha davanti una lunga marcia» prima di compiere un decisivo salto evolutivo nella direzione da lui sperata.

È forse questo il vero motivo per il quale Barca ha deciso di non candidarsi alla segreteria del Pd pur avendo acquisito un certo riconoscimento tra i militanti.

È questa constatazione, per certi versi amara, che si ritrova nel suo volume appena uscito La traversata (Feltrinelli, Milano, 2013) nel quale alla Memoria diffusa ad aprile e qui rivista si aggiungono altri materiali frutto di questi mesi di viaggio e riflessione: una lunga intervista con Stefano Feltri, i contributi di Piero Ignazi, Alberto Schena, Chiara Giorgi, Salvatore Biasco e i commenti ricevuti nei vari circoli visitati.

La Memoria riportata nel volume ribadisce i due assi portanti del partito nuovo immaginato da Barca: l'allontanamento del partito dallo stato (e dunque un suo avvicinamento alla società) e la traduzione discorsiva della sua funzione. Un doppio movimento avvicinabile alla costruzione del concetto di sfera pubblica da parte di Habermas. Riprendendo il termine di Raffaele Mattioli, catoblepismo, Barca denuncia la perversa fratellanza siamese che si è venuta a creare tra lo Stato e il partito. Con quest'ultimo orientato con forza ad invadere la macchina amministrativa per garantire a sé stesso (ai suoi gruppi dirigenti) incarichi pubblici e finanziamenti statali.

Un meccanismo che blocca qualsiasi dinamica di confronto («di sfida») tra Stato e partito e qualsiasi innovazione tanto negli assetti burocratici-amministrativi che partitici. Questo rapporto parassitario nei confronti dello Stato ha una serie di conseguenze nefaste sulla forma-partito: rafforza indebitamente il ruolo degli eletti nelle istituzioni rispetto ai dirigenti politici, agevola interessi particolaristici, comportamenti abusivi e connivenze clientelari, inibisce un rinnovamento delle classi dirigenti.

Porre a base del proprio modello di partito la denuncia di una deriva nefasta non significa fare nessun passo indietro rispetto alla necessità del partito per garantire il buon governo della cosa pubblica. Necessità che Barca, già uomo di governo, rivendica con forza come fine ultimo di un partito capace di offrire «una visione del futuro del paese e la connessa potenza di mobilitare conoscenze per disegnare il "che fare"».

Questa capacità di mobilitazione cognitiva emerge come idea strategica per ripensare in positivo il partito politico. Un'organizzazione indirizzata a sviluppare un tratto che nei partiti di massa tendeva a rimanere circoscritto alle "avanguardie": l'elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l'azione pubblica.

Il partito diventa una «palestra politica» utile a «raccogliere, confrontare, selezionare, aggregare e talora produrre conoscenza sul "che fare" dell'azione di governo attraverso un confronto pubblico, informato, acceso, aperto e ragionevole, nei luoghi del territorio, fra iscritti, simpatizzanti e "altri" singoli o membri di associazioni, genuinamente indipendenti». Dal partito di massa capace di rappresentare e confrontare solo bisogni al partito utile a «costruire "assieme" una visione del futuro» attraverso un confronto di conoscenze mediato da un principio di ragionevolezza.

L'idea strategica della mobilitazione cognitiva impone però una domanda più generale che rischia di mostrarne la parzialità: un cittadino che non sa leggere e scrivere, che non è «convinto di avere idee da confrontare con altri» perché e come dovrebbe riconoscersi e impegnarsi nel partito nuovo delineato da Barca? Storicamente l'impegno nei partiti politici è stato legato a due tipi di incentivi: ideali o tangibili. Il secondo tipo molto spesso si è rivelato mero perseguimento di interessi particolaristici (dall'accaparramento degli incarichi sintetizzato dal sopracitato catoblepismo al minuto job patronage).

Rimane il primo tipo di incentivi: quelli legati al senso di appartenenza che contrassegnava i partiti ideologici novecenteschi. In tempi post-ideologici è possibile riattivare questo secondo tipo di incentivi? Probabilmente una sinistra capace di ridisegnare un proprio orizzonte ideale (o almeno progettuale) potrebbe dare motivi per un rinnovato impegno (si pensi alle mobilitazioni sui beni comuni o sui diritti civili, nonché alle più che mai necessarie lotte per il lavoro oggi assente o precarizzato).

Barca è ben consapevole della necessità di riattivare questo tipo di impegno e lo dimostra sia sottolineando che «un'accentuata procedura deliberativa ha bisogno di un aperto e regolato conflitto sociale» sia volendo promuovere il partito come spazio di «connessione sentimentale».

Proprio questa consapevolezza e il forte interesse manifestatosi per la questione dell'identità del partito di sinistra, ha spinto Barca a riscrivere quello che ad aprile era un addendum alla Memoria e che ora ne è parte integrante: a reimpostare quei convincimenti generali che possono costituire l'identità della sinistra nel XXI secolo.

Uno sforzo utile a passare da quella che pareva essere una mera ripresa della Costituzione a qualcosa si più delineato e partigiano: eguaglianza, lavoro, libertà, partecipazione costituiscono, ne La traversata, i quattro pilastri fondamentali dell'identità del partito di sinistra.

È possibile pensare che il partito nuovo di Barca possa emergere dall'attuale Pd? Il Pd attuale ha ancora il tempo di sperimentate il modello di Barca senza prima subire una inesorabile decomposizione?

A conclusione del suo volume, Barca cita Francesco Saverio Nitti: «La moltitudine degli uomini non si sposta se non quando le idee si trasformano in sentimenti. Ora perché le idee si trasformino in sentimenti occorre uno stato di eccitazione, che deriva solo dalla lotta». Ma nulla nel Pd attuale pare suscitare sentimenti, eccitazione, voglia di lottare. Forse occorre una sorta di elettroshock per risvegliare sentimenti, eccitazione e voglia di dare battaglia. Forse, più che di un modello per il futuro, occorre suscitare nell'immediato quell'entusiasmo che manca sempre più spesso negli stessi militanti democratici.

D'altronde, oltre a una mobilitazione cognitiva, i partiti politici hanno sempre innescato una mobilitazione emotiva. Senza riavviarla, per il Pd rischia di non esserci nessuna ulteriore marcia, né breve né lunga, nessun futuro nel quale sperimentare il partito nuovo di Barca.

twitter @antonio_tursi

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso