“Manovratori occulti” e “note vicende di mozzarelle”, il “linciaggio” e il “bar dello zio”, Kafka e le raccomandazioni. Il ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo interviene in Aula alla Camera, chiamata da un’interpellanza del Pd a difendersi sul caso delle nomine dell'Asl di Benevento, e sembra un Giano bifronte: il politico che urla al complotto, il politico che conosce ogni bega del suo territorio.
Ha l’estetica curata di una Maria Rosaria Rossi, e un uso di parole alla Clemente Mastella. Una specie di Ogm della Terza repubblica. Nel suo discorso, si vede la mano del suo avvocato Gaetano Pecorella, già parlamentare e legale di Berlusconi, ora seduto in alto tra gli ospiti: puntualissima, ad esempio, la parte sull’illegittimità delle intercettazioni. Ma si vede anche la mano della sua terra: “famiglia”, “figlia”, “cuore”, “amore”, “combattere per la gente”, il “fitto”, il parlamento “casa degli italiani”, la “giustizia che trionfa sempre”, lo “spirito e animo onesto”.
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Picchi che rasentano la sceneggiata napoletana: lei che “ogni giorno si inchina davanti al tricolore”, lei che ha sempre “detto no” alle raccomandazioni “e forse oggi mi fanno pagare anche questo”. Lei che “mai e poi mai, e poi mai” ha violato la legge, “abusato del ruolo di deputato”, guidato un “direttorio”, è stata coinvolta “nella truffa alla Asl di Benevento”. Dunque si difenderà: non solo “con tutte le forze che ho”, ma precisamente “con tutte le forze che ho in corpo”. E’ chiaro che intenzioni di dimettersi non ne avrebbe, se non ce la costringono Enrico Letta e gli equilibri della maggioranza, o eventuali sviluppi dell’inchiesta.
La cerimonia è lunga, la De Girolamo parla più di cinquanta minuti, eppure si svolge in fretta, quasi alla chetichella, in una specie di disagio generale. Mattina presto del venerdì, aula semideserta, segno che nessuno aveva interesse a una gran partecipazione: cinquanta parlamentari all’inizio, un centinaio alla fine, i gruppi più consistenti quelli del Pd (ma sono poco più di quaranta) e del Nuovo centrodestra (una quindicina). Nei banchi di Forza Italia sono in cinque: di tutte le donne che pure De Girolamo ha frequentato nel corso degli anni in cui stava nel cerchio magico berlusconiano, solo Mariastella Gelmini.
Enrico Letta è assente, segnale chiarissimo (ai tempi dei i casi Alfano e Cancellieri c’era eccome). Accanto alla De Girolamo, all’inizio c’è solo Angelino Alfano, vicepremier e capo partito. Due quarantenni, le nuove leve: sembrano fuscelli, fuscelli composti. Così come Francesco Boccia, il marito democratico, seduto in alto tra i banchi del Pd e quasi immobile per tutto il tempo, a far finta di non conoscerla: niente applausi, niente scambi evidenti di messaggi, solo un lungo sguardo alla fine, mascherato d’aria assente. Dal Pd, anche dopo le spiegazioni, si continuano a sottolineare perplessità e “zone d’ombra”, ma oltre al disagio è chiaro che la faccenda si gioca sul piano del governo. Da Scelta civica fanno infatti sapere che non si faranno passi formali (“la valutazione sulla sua permanenza deve farla il presidente del Consiglio”), mentre i parlamentari Cinque stelle chiedono ai democratici di firmare la loro mozione di sfiducia: vorrebbero discuterne in Aula al più presto. Ma non sembrano in folta compagnia.