Sergio Cofferati lancia una raccolta firme per aderire alla manifestazione. Un documento durissimo contro il Governo sottoscritto da Fausto Bertinotti e Carla Cantone
La temperatura percepita è quella del
grande derby a distanza; la temperatura dichiarata viaggia sui registri del fair play. La Cgil di Susanna Camusso e il Pd di Matteo Renzi si preparano al loro sabato,
tra piazza San Giovanni e Leopolda, senza apparentemente guardarsi troppo in faccia; se il premier, nell’ultima direzione del partito, ha detto che quando “un importante sindacato riunisce centinaia di migliaia di persone” serve “un profondo rispetto indipendentemente dal dibattito che c’è tra di noi”, dalle parti di Corso d’Italia, al solo sentire l’aria di paragone con i leopoldini, mordono con un risoluto: “No, la nostra manifestazione non c’entra niente con loro. Ma proprio niente”.
Sarà, ma la campagna di persuasione stile “vieni via con me” corre dentro e fuori i palazzi della politica, e si traduce in appelli a dirigenti, parlamentari e cittadini comuni. Dal Premier che ci scherza su: “So che sabato in molti avete altro da fare, ma veniteci alla Leopolda”; alla raccolta firme intorno a un pamphlet, promossa dall’ex numero uno di Corso Italia, Sergio Cofferati, dal titolo “Noi sabato saremo in piazza con la Cgil”. Un documento durissimo contro il Governo.
A bordo campo c’è pure chi, come
l’Ncd Renato Schifani, puntualizza che con la Cgil e la minoranza Pd ci sono anche, niente meno, che Forza Italia e Lega, un fronte composito in cui “tutti tifano per lo sfascio”.
Certo è che chi andrà a Roma o a Firenze farà una scelta inequivoca e che non passerà inosservata all’una e all’altra consorteria.
Non che la posta in gioco sia bassa, tutt’altro,
soprattutto per Susanna Camusso. Riuscire a trainare una massa critica di centinaia di migliaia di persone a Roma (il milione, dicono i suoi, è un’idea di massima, non è l’obiettivo) è l’occasione per smarcare il maggior sindacato italiano dal cono d’ombra, schiacciato dalle critiche di Renzi e con il tesseramento in caduta libera; da lì, (ri)trovare la forza di organizzare uno sciopero generale (per consolidare la sintonia con la Fiom di Landini) e sul quale far convergere anche le scettiche Cisl e Uil. Mettere, insomma, il Governo di fronte all’evidenza di un “fronte del No” ampio e coeso in prossimità delle due scadenze chiave per la politica economica: legge di stabilità e jobs act.
Riuscirà a incassare il pienone? Nell’inner circle di Camusso ostentano ottimismo sulla riuscita della manifestazione (“sta andando molto, molto bene” dicono “decisamente meglio del previsto”): tanto bene, per dire, da
dover cercare pullman all’estero per spostare gli iscritti siciliani fino a Roma. I dirigenti intorno al Segretario sono convinti che le adesioni andranno ben oltre i pensionati e gli iscritti, che la gente abbia capito che “l’idea per cui il sindacato sia responsabile della precarietà è una follia, una totale inversione del reale”; e restituiscono il cerino alla politica: “chi le fa le leggi? E’ dal 1998, con Treu, che si destruttura il mercato del lavoro, facendoci ritrovare 52 forme di lavoro precario. Tutte modifiche che ha votato il Parlamento mica il Sindacato”.
Camusso, in attesa di sabato, rimbalza per l’Italia nelle aree di crisi, tra la Ast-ThyssenKrupp di Terni al colosso energetico Tirreno Power di Vado ligure fino al pastificio Agnesi di Imperia, tutte aziende a rischio di chiusura. “Tenete duro”, dice ai lavoratori prendendosi anche qualche fischio, ma poi tra un incontro e l’altro confessa ai suoi di “non aver memoria di un periodo così buio sul fronte dei licenziamenti e delle chiusure delle fabbriche”.
La manifestazione, quindi, si svolgerà sotto il cielo plumbeo delle crisi industriali: quelle che il jobs act dovrebbe contribuire a risolvere, ma che potrebbe finire per aggravare ulteriormente. Lo pensano nella Cgil, ma lo pensano anche alcuni parlamentari Pd, con un testimonial d’eccezione: Cesare Damiano, già dirigente Cgil, oggi minoranza del Pd, Presidente della Commissione lavoro e pure relatore del jobs act. E’ stato lui che, in un recente dibattito al Circolo Pd Parioli di Roma, ha dato il benvenuto alla legge delega sul lavoro appena approdata Camera: “La manovra si muove sulla base delle indicazioni della troika europea, che ha in mente due cose:
tagliare le pensioni e licenziare gli operai” nella falsa convinzione che il mercato del lavoro sia rigido; una posizione che “fa tanto comodo a quelli che fanno speculazione” visto che “il capitalismo finanziario è indifferente al destino delle persone e delle famiglie”.
Nell’intercapedine temporale tra il voto finale sul jobs act alla Camera e l’inizio della discussione della legge di stabilità, la piazza del 25 ottobre servirà a Susanna Camusso per capire se ci sono le condizioni per l’avvio della “stagione che ha bisogno di tutta la fantasia e la capacità di coinvolgere chi oggi non è coinvolto per far crescere la mobilitazione”. Lo sciopero generale unitario, in primo luogo.
Un versante sul quale sta lavorando anche Maurizio Landini: il segretario della Fiom martedì pomeriggio incontrerà le omologhe organizzazioni di metalmeccanici di Uil e Cisl per “l’approfondimento di possibili percorsi organizzativi comuni”. E intanto tuona: “A Renzi dico di venirci a contare sabato in piazza, si accorgerà in quanti siamo. Non si può pensare di fare ciò che si vuole in nome del 40,8% dei consensi alle europee, anche perché' c’è un altro 41% che non è andato a votare”.
I numeri della piazza, quindi, saranno il possibile prossimo terreno di scontro, già da sabato sera; qualcosa che andrà oltre i consueti pallottolieri degli organizzatori e della prefettura.
In ballo c’è anche la conferma del
nuovo incontro previsto il 27 ottobre tra Renzi e i Sindacati; “se n’è parlato, ma ancora non abbiamo ricevuto alcuna convocazione ufficiale” dice un dirigente Cgil.
Da anni l’autunno non s’annunciava così caldo.