Nonostante i 23 avvocati del Campidoglio, nel 2009 l'ex sindaco incarica due legali esterni che per una causa chiedono 486 mila euro. Per l'avvocatura comunale il lavoro ne vale 20 mila. Uno dei due professionisti è la sorella del deputato Fabio Rampelli. Che dopo “parentopoli” si tira indietro. Alla fine il Comune paga la metà. Le carte trovate dai Cinque Stelle

Mezzo milione di euro per una memoria difensiva e due udienze. È il conto salato che il Comune di Roma con Alemanno ha pagato per difendersi in tribunale. In una sola causa, risolta in poco tempo a favore dell'amministrazione. I due avvocati esterni, incaricati dal sindaco nonostante i 23 legali alle dipendenze del Campidoglio, avevano chiesto quasi il doppio. Lui, Filippo Lubrano, è un noto amministrativista romano. Lei, Elisabetta Rampelli, penalista che su Twitter si definisce «nemica degli approfittatori», è responsabile del dipartimento giustizia della fondazione di Alemanno "Nuova Italia", sorella del deputato di Fratelli d'Italia Fabio Rampelli e già collaboratrice dell'assessorato ai Lavori Pubblici. Si tirerà indietro dopo lo scoppio di "parentopoli".

Gli stessi avvocati, nel 2010, curano anche il ricorso del Pdl contro l'esclusione dei candidati alle regionali del Lazio. E in quello stesso periodo, Lubrano, mentre reclama la liquidazione dell'onorario al Comune di Roma, gli fa causa per conto di un altro cliente. Un'orgia di conflitti di interesse e inopportunità cui nessuno sembra far caso. L'incarico non è tra quelli pubblicati sul sito del Comune, ma i due consiglieri del Movimento Cinque Stelle, Marcello De Vito e Virginia Raggi, se ne sono accorti da una delibera del 2012, votata a ranghi compatti dal centrodestra per sanare la spesa iscrivendola tra i debiti fuori bilancio del Campidoglio.


I FATTI
Il centrodestra appena insediato in Campidoglio nel 2008 vuole annullare il mega contratto da 635 milioni di euro per la manutenzione stradale, affidato alla Romeo Gestioni spa nel 2006. Elisabetta Rampelli è già della partita: per l'assessorato ai Lavori Pubblici firma un documento per la riconsegna del patrimonio stradale. Solo una settimana più tardi la Romeo ricorre al Tar, chiedendo il ripristino del contratto o un indennizzo di 100 milioni.

Il Comune deve difendersi in tribunale e dispone di un nutrito gruppo di 23 avvocati. Data l'importanza della causa, ne vengono scelti due tra i più esperti: Nicola Sabato e Pietro Bonanni, che è anche il capo dell'avvocatura capitolina. A loro vengono affiancati due esterni, Rampelli e Lubrano, quest'ultimo in causa contro il Comune fino a poco tempo prima.

Ai consiglieri Cinque Stelle, che ora chiedono come sia avvenuta la nomina, l'avvocatura risponde: «Non è avvenuta osservando il Regolamento degli Uffici e dei Servizi», che prevede proprio il parere dei legali interni. Alemanno invece firma l'incarico sull'atto di costituzione in giudizio, senza definire un onorario, né stabilire il criterio per come calcolarlo.

I due collegi difensivi nel febbraio 2009 preparano una memoria ciascuno e la causa si risolve rapidamente. Il 30 maggio i due avvocati esterni spiccano una parcella da 350 mila euro a testa, più tasse e contributi, per un totale a carico del Comune che sfiora i 900 mila euro. Pietro Bonanni deve dare l'ok. Invece convoca i due per contestare la richiesta: «Erronea ed oltremodo onerosa per l'amministrazione».


L'AVVOCATURA FA MURO
Bisogna convincere Bonanni. Il 10 settembre 2009 Lubrano gli scrive che la parcella è un «trattamento di favore», perché calcolata, secondo il tariffario, sui 100 milioni di richiesta danni. Da pagare entro 80 giorni, perché altrimenti sarà ricalcolata sul valore dell'intero contratto che è di cinque volte maggiore.


Non accade nulla fino al febbraio 2010, quando una lista del Pdl rischia l'esclusione alle elezioni regionali del Lazio. A curare i corsi al Tar e al Consiglio di Stato sono proprio Lubrano e Rampelli. La vicenda si conclude il 20 marzo. Dieci giorni più tardi Lubrano torna a scrivere al capo di gabinetto Sergio Gallo e poi ad Alemanno, chiedendo di essere pagato per quella somma concordata con Bonanni, ora aumentata di altri 50 mila euro. «Non mi risulta, affatto, di avere concordato», gli risponde il capo dell'avvocatura, venuto a conoscenza della missiva. Secondo lui, tariffario alla mano, quel lavoro per il quale chiede 486 mila euro, ne vale circa 40 mila. Aggiunge poi che agli avvocati del Comune «è attribuibile buona parte del lavoro». L'attuale capo dell'avvocatura Rodolfo Murra, convocato in commissione dai Cinque Stelle, confermerà tutto, spiegando oltretutto che per il concorso degli avvocati interni, di quei 40 mila sarebbe spettata la metà.


LA SVOLTA
Alla fine del 2010 Bonanni va in pensione. Negli stessi giorni scoppia "parentopoli", lo scandalo che travolge Alemanno per le assunzioni dei parenti del suo entourage nelle aziende del Comune. Tra questi i cosiddetti "rampelliani", coloro che gravitano nell'orbita del deputato di Fratelli l'Italia Fabio Rampelli. La sorella, poco dopo, firmerà una lettera scritta da Lubrano, il quale dice che la sua parcella «può intendersi come relativa all'intero collegio di difesa esterno costituito da me e da Elisabetta Rampelli […] che rinuncia a ogni pretesa nei confronti del Comune di Roma». A patto che lui sia liquidato entro il 31 maggio 2011.

Dopo aver nominato Andrea Magnanelli nuovo capo dell'avvocatura, il 15 febbraio Alemanno sostituisce il capo di gabinetto con Sergio Basile, ex consigliere della Corte dei Conti. È lui a sbloccare la vicenda. In una lettera «urgente» a Magnanelli scrive che la parcella è «congrua» e «vantaggiosa per l'Amministrazione comunale». Conferma che «la pratica a suo tempo non era assistita da preventivo atto di impegno in quanto gli incarichi sono stati affidati da Ufficio diverso da codesta Avvocatura», e gli chiede di esprimere comunque il parere favorevole.


COLPI DI CODA
Il 5 agosto la Rampelli torna a farsi viva reclamando il suo compenso. «Apprendo con vivo stupore e non senza rammarico» scrive Magnanelli, che «l'avv. Rampelli dimostra di essere ancora interessata al pagamento delle proprie prestazioni professionali nonostante rinuncia espressa [...] sulla base della quale è stata istruita la procedura [...] di debito fuori bilancio». E respinge la richiesta. Il 13 dicembre 2012 l'Assemblea capitolina approverà con i soli voti del centro destra il debito fuori bilancio in favore di Lubrano, che sarà l'unico a riscuotere. A seguire, scriverà all'avvocatura, che il governo ha aumentato l'Iva e lui ci ha rimesso l'uno per cento. Che si riserva di recuperare.


LE REAZIONI
«Mezzo milione dato via così, con 23 avvocati a disposizione. Senza nessun parere di congruità», ha commentato Virginia Raggi, la consigliera dei Cinque Stelle che ha scovato la parcella insieme a Marcello De Vito. Il quale, in commissione Trasparenza, chiede perché l'onorario non sia stato stabilito prima. Giovanni Quarzo (Fi), presidente della commissione, giustifica la “dimenticanza” come «superficialità» di gestione, minimizzando: «Con quello che passa in Consiglio, queste cifre sono niente». «Due atti non valgono 400 mila euro - gli controbatte Murra -, però l'avete votata tutti». L'avvocato Lubrano, interpellato da "l'Espresso" ha preferito non commentare la vicenda per «dovere di riservatezza».

LA REPLICA DI ALEMANNO
L'ex sindaco ha rivendicato la scelta girando le responsabilità della gestione sul suo ex capo di gabinetto, «un magistrato».

Perché l'avvocato Rampelli?
«Perché aveva seguito volontariamente e gratuitamente l'assessorato Lavori Pubblici. Mi risulta non sia stata pagata».

Per Lubrano il Comune ha speso 486 mila euro
«È inferiore al prezzo di mercato. In genere questi contenziosi vengono pagati a percentuale. Il costo normale di quest'operazione è di circa 720 mila euro, e invece si è risolta con molto di meno».

Con gli avvocati interni il costo sarebbe stato zero.
«C'era un conflitto di interessi dell'avvocatura comunale, che aveva avallato il contratto con la Romeo, per cui il mio gabinetto aveva ritenuto corretto avvalersi di avvocati esterni. Con l'avallo dell'avvocatura».

Avvocatura che però dice di non essere stata interpellata.
«Si vede che il gabinetto non li ha coinvolti».

Lo richiedeva il regolamento comunale.
«È stata una procedura decisa dal capo di gabinetto, che era un magistrato ordinario. Io non ne so nulla, non ho firmato nessun atto».

La procura però l'ha firmata lei.
«Il sindaco firma sempre perché riguarda il Comune, ma questo non significa che li abbia scelti io».

Non avete chiesto il parere di congruità al Consiglio dell'Ordine?
«Questo non lo so. Io non ho nessun potere diretto su una cosa di questo genere».

L'avvocato Lubrano prima e dopo questo incarico ha curato diverse cause contro il Comune di Roma. Non c'era conflitto d'interesse o motivo di inopportunità?
«Sono materie che non conosco. A me interessava revocare quel contratto con la Romeo e ci siamo riusciti senza pagare penali».