Dopo aver lavorato alla Nasa, un ingegnere torna a Ponticelli. Per progettare velivoli di pura avanguardia. Che ora, grazie ai cinesi, prendono il volo (Foto di Giuseppe Carotenuto)

Ponticelli, periferia di Napoli, esterno giorno. Agli angoli della strada ci sono due venditori ambulanti. Uno offre carciofi, fave e fragole a prezzi stracciati. L’altro, vende giocattoli e poltroncine con impresse le immagini dei personaggi più gettonati dai bambini: ci sono Peppa Pig, l’Uomo Ragno e Violetta. E c’è pure Papa Francesco: «Piace alle mamme. A vulite pure vuje?», dice divertito l’uomo. Sullo sfondo, il Vesuvio domina sulle immense distese di cemento che degradano sui suoi fianchi, senza soluzione di continuità, fino a questo lembo di città. Un deserto post-industriale, con gli scheletri di vecchi stabilimenti incastonati tra nuovi rioni ultrapopolari costruiti alla fine degli anni Settanta. Tutto è di un grigio monotòno. L’unica nota di colore, i murales di un writer metropolitano impressi su un portone in ferro battuto che interrompe una lunga muraglia di mattoni in tufo. Rappresenta la “bandiera” dei Fedayn, uno dei gruppi storici delle curve del San Paolo, lo stadio dove gioca il Napoli: c’è il volto di un tifoso coperto da occhiali scuri e un foulard azzurro e sotto la sigla EAM. È l’acronimo di “Estranei alla massa”. Come lo sono quelli che stanno al di là di quel cancello, sognatori d’altri tempi che a Ponticelli osano sfidare il pregiudizio e la storia. E stanno per prendere il volo. Nel vero senso della parola.
Schermata-08-2456884-alle-12-24-00-png

DAL LEGNO ALLA FIBRA DI CARBONIO 
«Qui dentro, quando ero piccolo, gli operai di mio padre mi costruivano piccoli aerei di legno», racconta Valentino Alaia, 49 anni e un passato da ricercatore universitario in aeronautica con cinque anni di esperienza al Marshall Space Flight Center, in Alabama: «Sì, è quello della Nasa: ho partecipato a due missioni Shuttle». Lui, nato e cresciuto proprio a Ponticelli. Come Luigi Napolitano, ingegnere e scienziato partenopeo con docenze alla University of California di Berkeley e alla Sorbona di Parigi, al quale oggi è dedicato l’Istituto di Aerodinamica dell’Università Federico II di Napoli. Sembrava un predestinato, Alaia, ma dovette tornare dall’America per occuparsi dell’azienda paterna di legnami, da sempre in quello stabilimento senza piegarsi nemmeno davanti a una bomba piazzata dalla camorra negli anni Settanta. «Tornai e mi dedicai all’azienda di famiglia», racconta, «ma non sapevo nemmeno distinguere il noce nazionale dall’abete».

Così, qualche anno dopo decise di regalare i macchinari a quegli stessi operai che gli costruivano giocattoli in legno e affidare loro un pezzo di capannone. Lui, invece, scelse di inseguire la sua leggenda personale: il volo. Nel suo lungo peregrinare, incontra Dario Scalella, manager d’azienda ed ex presidente di Confapi, la confederazione delle piccole e medie imprese. Insieme ad altri tre soci fondano nel 2006 la K4A Knowledge for aviation, ovvero “conoscenza per l’aviazione”. Una società per azioni con ventotto addetti, il 70 per cento dei quali laureato in ingegneria con un’età media sotto i quarant’anni e un sogno nel cassetto: produrre un’innovativa linea di elicotteri leggeri. In Italia, dove non ci è mai riuscito nessuno. A Napoli, in uno dei più grandi quartieri dormitorio del Mezzogiorno dove, raccontano le statistiche, la disoccupazione giovanile sfiora il 50 per cento. Una “mission impossible”, che parte da lontano e che finisce per portarli ancora più lontano, fino alla Provincia dello Jiangxi in Cina, dove quel sogno presto diventerà realtà.

ALI DA PRIMA REPUBBLICA
Quando Dario Scalella e Valentino Alaia incontrano per la prima volta Vladimiro Lidak si guardano perplessi. Ascoltano increduli la sua storia, quella di un ingegnere romano di origini lituane che nei primi anni Ottanta si era messo in testa di voler produrre in Italia una linea di elicotteri leggeri, come quelli che a quel tempo venivano già costruiti negli Stati Uniti. Un visionario, che immaginava l’uso di elicotteri come taxi. Non ci riuscì: «Vede, qui l’ala fissa è gestita dalla Democrazia cristiana, l’ala rotante dai socialisti», si sentì rispondere quando provò a illustrare il suo progetto. Pensò a uno scherzo, purtroppo non lo era. E lui non apparteneva a nessuna parrocchia. Così, ripose ambizioni e progetti in un armadietto e si dedicò ad altro. Fino a quel giorno, fino all’incontro con Alaia e Scalella. Che comprendono di essersi imbattuti nel loro “Alchimista”, come il protagonista del romanzo di Paulo Coelho. E capiscono pure che quel progetto solo a Napoli si potrà realizzare: «Non perché questa sia la nostra terra», spiega Scalella, che di K4A è presidente, «ma perché questo territorio è una miniera: ci sono università d’eccellenza, centri di ricerca e un polo industriale aeronautico avanzato».

La K4A decide di puntare su un pool di laureati anche giovanissimi e su esperti del settore che lasciano i loro impieghi in aziende storiche per buttarsi anima e corpo in questa scommessa. Come Danilo Brullini, 42 anni, capo della progettazione con un passato in giro per l’Italia tra Alenia, Piaggio Aero Industries e Vulcanair. Accanto a lui e altri “senior”, i migliori ingegneri che le università campane hanno prodotto in questi anni si formano e contribuiscono a fare di quell’idea rivoluzionaria dell’ingegner Lidak (nel frattempo scomparso, ndr) un programma all’avanguardia nel settore. In quell’ex stabilimento per la lavorazione del legno riconvertito alla progettazione aeronautica, innovazione tecnologica e ricerca diventano qualcosa di più che sterili contenuti di un programma politico. Prendono forma, diventano sostanza.

Nasce così il progetto del primo elicottero biposto al mondo a due motori, con un innovativo rotore di coda a pompa idraulica e una serie di elementi di sicurezza che ne faranno anche il primo “leggero” a poter volare sui centri abitati. «Presto, molto presto, esisterà un mondo in cui le persone si muoveranno in autostrade del cielo. E noi vogliamo contribuire a questo nuovo modello attraverso elicotteri con un rapporto tra sicurezza, tecnologia e costo alla portata di tutti», spiega Alaia. Tra qualche anno, immaginano, spostarsi in elicottero da Roma a Napoli potrebbe essere davvero una pratica comune: con appena 50 euro di carburante, grazie a quei motori che funzionano con benzina comune, non con il cosiddetto “avgas”, il combustibile utilizzato in aeronautica.

Un futuro molto prossimo, se in altre parti del mondo l’utilizzo di elicotteri leggeri per spostamenti brevi comincia già ad essere una realtà. Negli Stati Uniti, in Australia, in Brasile e in Cina. Non è un caso che proprio dall’Impero Celeste abbiano deciso di scommettere su questa piccola azienda napoletana destinata a diventare grande in breve tempo.

La cinese Changxing Aviation Equipment Corporation, azienda meccanica di primordine, ha deciso infatti di mettere sul tavolo 32 milioni di dollari per assicurarsi la produzione di quegli elicotteri per tutto il mercato asiatico. Non un acquisizione ma una joint venture, grazie a un accordo firmato con tutti i crismi dell’ufficialità presso l’Ambasciata italiana a Pechino, a inizio aprile. Nel sud-est della Cina nascerà la Jiangxi Deli Helicopter Industrial Co., della quale K4A deterrà il 48 per cento delle quote senza sborsare un centesimo. Gli italiani ci mettono le idee e i progetti, lasciando i cervelli a casa loro. I cinesi ci mettono i soldi. Tanti soldi. È la prima volta che accade, per investimenti di questa portata. Questo, anche grazie al fatto che entro il 2020 la Cina avrà bisogno di settemila elicotteri. Per quella data serviranno altrettanti piloti. Per questo, servono “flight school” e trainer per elicottero. E i biposto sono oggi utilizzati proprio per la formazione, oltre che per il pattugliamento aereo. Così l’azienda partenopea metterà a diposizione il suo know-how anche per la realizzazione di scuole di volo.

CINA PIÙ VICINA DI ROMA
Ma la Cina, capace di copiare tutto, non fa paura? «I cinesi stanno puntando su una gallina dalle uova d’oro: perché dovrebbero strozzarla?», dice Scalella. Che spiega: «Il nostro è un accordo di reciproco interesse: a Napoli continueremo a sviluppare il progetto, che prevede anche il quadriposto, in Cina ci sarà l’industrializzazione». A regime, fra tre anni, saranno realizzati 150 elicotteri l’anno destinati all’Asia e al Pacifico. A dicembre di quest’anno, intanto, sarà ultimato il prototipo per le prove a terra. Tra un anno, ci sarà il primo volo e il via alle operazioni di certificazione. Ma il grosso è fatto, dopo anni di studi, di progettazione, di incontri, di soddisfazioni e di paura. Tanta paura: «Otto anni senza emettere una fattura attiva, investendo dieci milioni di euro, col territorio che ti respinge», commenta il presidente di K4A: «Se avessimo solo immaginato quali erano le barriere di ingresso, forse non saremmo qui a raccontare questo piccolo miracolo».

Il telefono ora squilla in continuazione, chiamano dagli Emirati Arabi al Kazakhstan. Ma per anni in Italia nessuno si è fatto vivo, nessun ha puntato una fiche sull’industrializzazione di questo progetto: «Abbiamo bussato a tante porte. Ci dicevano “è bello ma troppo rischioso”», racconta Scalella. C’era il rischio che l’idea di questi Steve Jobs di Ponticelli funzionasse davvero, che fosse un investimento vantaggioso. Anche per le casse dello Stato. In Italia non si può. Anche venti anni dopo la fine di Dc e Psi.