
Tutto merito del boom dei consumi privati, dall’abbigliamento agli autoveicoli, dagli elettrodomestici ai prodotti alimentari (l’export della nostra pasta è salito in un anno del 157 per cento). «Contrariamente a quanto si può immaginare ricordando certa propaganda di Gheddafi, il marchio Italia ha grande capacità di attrazione in Libia, basti pensare alle centinaia di insegne di negozi o caffè che qui hanno nomi italiani o pseudo-tali», ci spiega da Tripoli Marco Pintus, direttore dell’ufficio libico dell’Ice, l’Istituto per il commercio estero.
Oltre a quelli legati all’industria energetica, rimangono problemi nel settore pubblico, dove gli appalti sono bloccati: quello per la famosa autostrada promessa dall’Italia se l’è aggiudicato, nella prima tratta dal confine egiziano a Barca, un consorzio di nostre aziende capitanato da Salini-Impregilo, ma non si sa quando inizieranno i lavori.
Dietro l’Italia, che rimane il primo fornitore del Paese, crescono la Cina e soprattutto la Turchia, i cui prodotti, spiega Pintus, «sono considerati di qualità mediamente buona e hanno un prezzo inferiore a quello italiano».
Ankara è l’unico altro Paese ad avere iniziato ad addestrare le forze di sicurezza libiche (l’Italia lo sta facendo a Cassino e Persano), e dovrebbe inoltre organizzare la prossima conferenza internazionale sulla Libia, l’ultima delle quali si è svolta lo scorso marzo a Roma.