Dopo più d 50 giorni e 2 mila morti, è arrivato il cessate il fuoco. I contendenti esultano e si proclamano vincitori. Ma i termini dell'accordo non affrontano i veri nodi dello scontro tra Hamas e Israele
Molto rumore per nulla. Questo sembra essere il macabro sottotitolo dell’escalation militare nella striscia di Gaza all’indomani della
tregua siglata da Hamas e Israele. Dopo più di
50 giorni di incursioni militari via terra, mare e cielo delle forze israeliane e migliaia di razzi (perlopiù artigianali) lanciati dalle milizie che controllano Gaza, si è finalmente raggiunto il cessate il fuoco. Ci sono voluti più di
2000 morti, decine di migliaia di feriti e la distruzione totale di interi quartieri della Striscia, per mettere fine al massacro.
Ne è valsa pena?Entrambi i contendenti esultano per la vittoria. Hamas per aver causato il più alto numero di vittime (64) all’esercito “che si definisce invincibile”. Israele, come sostiene un portavoce del primo ministro Benjamin Netanyahu, per aver “infierito il colpo più duro dalla sua creazione” alla fazione islamica. Ma al di là delle boutade propagandistiche dei due campi, le rispettive opinioni pubbliche sembrano pensarla diversamente. I sondaggi danno i
consensi del primo ministro israeliano in picchiata vertiginosa. Netanyahu sta già subendo gli attacchi dell’alleato di governo della destra nazionalista di Focolare Ebraico che parla di “resa al terrorismo”. Dall'altra parte, la popolazione di Gaza non riesce a capacitarsi della mancata
tregua offerta più di due settimane fa sempre dall’Egitto, da parte di Hamas, che avrebbe risparmiato vita e sofferenze a migliaia di palestinesi.
Di sicuro si sa che la carta sulla quale si è firmato l’accordo è egiziana e porta la marca da bollo del “Leone
d’Egitto”, il presidente
Abdel Fattal el-Sisi, il vero vincitore della partita. La vittoria del rais egiziano ha fatto guadagnare punti anche al presidente dell’Autorità palestinese (Anp),
Mahmoud Abbas, anche se il suo ruolo è stato circoscritto nel fare da spola come un anziano sherpa tra il Qatar (protettore politico di Hamas e del suo leader, Khaled Meshal) e la corte del “Leone”.
Gli Usa e la comunità internazionale, i veri assenti-presenti di quest’ultima escalation, salutano l’accordo e sperano nel “preludio di un nuovo processo politico”, o almeno così ha dichiarato il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon.
Ma quali sono i dettagli della tregua? Qual è stata l’offerta a cui Hamas e Israele non hanno potuto dire di no? In pratica, cosa cambia nelle relazioni tra la Striscia e il governo di Tel Aviv? Apparentemente poco o niente, se per poco o niente s’intendono le condizioni minime di sopravvivenza per la popolazione di un lembo di terra sotto assedio da ormai otto anni. Il capo cordata della delegazione palestinese al Cairo, Azzam el Ahmad, sostiene che
il valico di Rafah sarà riaperto per aiuti umanitari, viveri e medicine, e per riparare le infrastrutture idriche ed energetiche della Striscia. Il
limite di tre miglia marine per la pesca sarà aumentato a sei e in un prossimo futuro a 12, mossa che intende dare sollievo a un settore fondamentale per Gaza. Tutto qui. Le principali questioni irrisolte - demilitarizzazione di Hamas,
costruzione di un aeroporto e di un porto commerciale nella Striscia, la questione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliane e soprattutto la fine del blocco commerciale su Gaza - non sono state discusse e sono state rimandate al mese prossimo, per la ventilata ripresa dei negoziati sempre al Cairo.
[[ge:rep-locali:espresso:285502622]]“Che fare adesso?” si è chiesto il Mahmoud Abbas in conferenza stampa a Ramallah difronte alla leadership palestinese riunitasi ieri sera per l’annuncio del cessate il fuoco. “Dobbiamo aspettarci un’altra guerra nei prossimi due o tre anni?”.
Alcuni analisti sostengono che
Hamas intenda ripararsi sotto l’egida dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e provare la via politica offerta da Abu Mazen. La conferma arriverebbe dalla decisione del gruppo militante islamico di sottoscrivere insieme all’Anp la richiesta di unirsi alla Corte Penale Internazionale (CPI) per denunciare i
“crimini di guerra” israeliani, mossa che però potrebbe esporre Hamas stesso sotto la lente d’ingrandimento del tribunale dell’Aia per atti terroristici. Finita la luna di miele con la Siria di Assad e con i Fratelli Musulmani di Morsi, Hamas si è gettato tra le braccia del Qatar, ma non sembra trovarsi a proprio agio all’interno dello steccato offerto dal ricchissimo emirato: alla prima proposta di tregua offerta dall’Egitto, il Qatar avrebbe minacciato di espellere il capo politico Khaled Meshal se non avesse rifiutato l’offerta e continuato le ostilità. Una versione riportata da fonti citate da Haaretz e dal quotidiano panarabo Al Hayat.
Gli abitanti di Gaza intanto devono fare i conti con una
distruzione senza precedenti. La conta delle vittime continua a salire. La spina dorsale delle infrastrutture della Striscia ha ricevuto un colpo devastante, così come la psiche di centinaia di migliaia di
bambini palestinesi, causata da quasi due mesi di continui bombardamenti, morte e disperazione. Non sembra esserci una soluzione in tempi brevi per il dramma della Striscia e dei suoi abitanti: almeno fino a che non saranno considerati esseri umani a tutti gli effetti.