Quindi dimenticate gli ombrosi sottoscala delle malfamate periferie metropolitane col rischio anche di essere rapinati dallo stesso spacciatore. Nei “cannabis club” che, nella sola Catalogna, hanno aperto in trecento tra la fine del 2011 e l’estate 2014, consumare marijuana per scopo terapeutico o ricreativo non è né un reato né una vergogna da nascondere.
A patto di rispettare poche ma inflessibili regole, come ci spiega uno dei fondatori de “La Maca”, il primo “cannabis club” ad aprire nel 2006. «Otto anni fa eravamo sette amici, tutti abituali fumatori di cannabis. Volevamo un luogo tranquillo e intimo dove farci un porro (uno spinello, ndr), ma soprattutto avevamo il desiderio di produrre noi stessi la marijuana, perché stanchi di erba troppo costosa e di cattiva qualità. Oggi siamo 650 soci - prosegue - che coltivano e consumano un ottimo prodotto naturale a un costo trasparente. Abbiamo una lista di attesa lunghissima per nuovi iscritti, così al momento accettiamo solo chi fuma per motivi terapeutici».
“La Maca” ha un ambiente caldo e famigliare, pulito, da circolo privato. Divani in pelle, poltrone dove rilassarsi, tavolini con carte da gioco, luci soffuse, scaffali pieni di libri, non solo sull’erba, una macchinetta del caffè, una colonnina di cd sopra uno stereo. «C’è chi viene anche per lavorare al computer, per leggere un romanzo, fare due chiacchiere. Qui si fa un uso responsabile, non solo perché la quantità è modica per tutti e non ci si sballa, ma ci si rilassa. Noi sconsigliamo di guidare dopo avere fumato, invitiamo a prendere un taxi per tornare a casa». Il costo annuale dell’abbonamento a un Cannabis Club per i soci va dai 50 i 70 euro più i costi della “consumazione”.
Barcellona e la Catalogna non sono però il paradiso per chi ama l’erba. Né si può dire che la Spagna abbia deciso, seppure in sordina, di legalizzare la marijuana. Semplicemente i “cannabis club” approfittano del vuoto legislativo spagnolo per permettere «il diritto di assumere a uso esclusivo personale sostanze psicotrope naturali», come recita lo statuto che deve avere ogni associazione registrata alla CatFAC, la Federazione della Associazioni di Cannabis della Catalogna.
In Spagna come in altri Paesi europei, la legge sanziona e persegue chi produce e spaccia marijuana per scopi di lucro. In compenso, l’articolo 368 del Codice penale spagnolo non sanziona il consumo personale di una modica quantità.
Inoltre, in Spagna già da un decennio è legale la marijuana terapeutica: per ottenerla basta la ricetta del medico curante che permette di acquistarla, portarla con sé e consumarla in casa. Esiste anche un’ampia casistica di sentenze giuridiche che riconoscono il diritto al consumo privato di cannabis. «Il nostro club ha regole molto precise», spiega Emma, che lavora al “Floors” di Girona. «Per essere socio devi avere 21 anni, risiedere in Spagna ed essere un consumatore abituale d’erba. Non tesseriamo chi vuole soltanto provare per curiosità. I nuovi iscritti devono essere presentati da un socio, non accettiamo sconosciuti e ci riserviamo il diritto di rifiutare».

E se in Spagna c’è il fai da te (basta un minimo di tre soci per aprire una “asociación cannabica”, si paga una tassa comunale, ci si registra all’agenzia delle entrate che richiede registro iscritti, bilancio e libri contabili), in Italia invece il consumo di cannabis rimane un’attività clandestina, confinata nell’illegalità.
Non aiuta il dibattito sulla depenalizzazione l’attuale legge Fini-Giovanardi, dichiarata «illegale» dalla Consulta, che equipara la marijuana all’eroina e affolla le carceri di consumatori/spacciatori. Così, mentre i cugini iberici con i “cannabis club” creano posti di lavoro e riempiono le casse dell’erario, a Montecitorio si litiga.
A riaccendere recentemente la discussione è stato il professor Umberto Veronesi dalle pagine de l’Espresso, dichiarandosi a favore del libero uso della cannabis. «Io mi batto pubblicamente da decenni contro il proibizionismo – ha scritto il direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia - e in questo mio impegno ho ripetuto all’infinito che, come medico e come padre, sono un convinto oppositore di tutte le droghe, pesanti e leggere, compreso fumo e alcol, perché creano assuefazione clinica e danni spesso irreparabili e talvolta letali. Sono però altrettanto convinto che proibire e punire non serve, anzi può peggiorare la situazione».
Peccato che a tutt'oggi in Italia il dibattito sia fermo al palo e chi vuole fumarsi uno spinello sia costretto a violare la legge, comprando da uno spacciatore e sostenendo così gli affari della criminalità.
(ha collaborato Federica Tadiello)