
Ma intanto Percassi ha stabilito un suo personalissimo primato. Nel giro di soli nove mesi, tra dicembre 2013 e settembre 2014, il costruttore bergamasco, meglio noto come presidente dell’Atalanta, è riuscito a bruciare per intero i 15 milioni investiti per comprare una partecipazione del 3,9 per cento del capitale Alitalia.
Che cosa c’entra Intesa? C’entra, eccome, perché a dicembre del 2013 il gruppo bancario milanese ha concesso una linea di credito di 20 milioni a Percassi. Ebbene, con una coincidenza di tempi che non sembra casuale, proprio in quei giorni lo stesso Percassi si è imbarcato nell’avventura ad alto rischio di Alitalia. Come dire che la banca ha finanziato per intero l’investimento del suo cliente. Un investimento ad alto rischio, a dir poco. I dettagli dell’operazione, compreso il prestito targato Intesa, sono riportati nell’ultimo bilancio di Odissea, la holding dell’imprenditore lombardo con la passione dei centri commerciali (ne ha costruiti in tutta Italia, dalla Sicilia a Orio al Serio) e del calcio. L’intervento di Percassi matura nelle ultime settimane del 2013. In quei giorni la compagnia aerea presieduta da Roberto Colaninno era alla disperata ricerca di 300 milioni per evitare il crac. E mentre la cordata dei soci imprenditori perdeva pezzi per strada, tipo i Riva o i Ligresti travolti da disavventure giudiziarie, si attivò prontamente il pronto soccorso di Stato e quello bancario.
Da una parte le Poste, all’epoca guidate (ancora per pochi mesi) da Massimo Sarmi, dall’altra i grandi istituti creditori. In primis Intesa, che oltre a comprare azioni Alitalia per 76 milioni, ha accordato circa 320 milioni di nuovi crediti alla compagnia aerea. Tutto questo senza contare i 15 milioni girati a Percassi, che è un cliente di lunga data della grande banca milanese. È stata Intesa, infatti, a guidare e organizzare il pool di finanziatori che nel 2013 ha concesso un prestito di 150 milioni alla Kiko, il marchio di cosmetici che è di gran lunga l’attività di maggior successo del presidente dell’Atalanta, con fatturato e utili in grande crescita negli ultimi anni. Non si può dire lo stesso, invece, di Alitalia. Com’era prevedibile, l’intervento varato alla fine del 2013 si è rivelato una manovra buona al massimo per prendere tempo.
Al ritmo di oltre 50 milioni di perdite al mese (156 milioni nel primo trimestre del 2014) l’unica via d’uscita per evitare il fallimento era mettersi nelle mani di un nuovo azionista forte, in grado di finanziare il rilancio. L’accordo definitivo con Etihad è stato firmato ai primi di agosto e, da quanto si è appreso finora, solo un gruppetto di soci italiani ha deciso di partecipare all’ultima edizione del salvataggio. Ne fanno parte, oltre a Intesa e Unicredit, anche le Poste, l’Atlantia dei Benetton, l’Immsi di Colaninno, e poi la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e i Gavio.
Di Percassi nessuna traccia. Il suo investimento di nove mesi fa ormai si è ridotto a un pugno di azioni di valore prossimo a zero. Resta quel prestito di 15 milioni concesso da Intesa, un prestito che, prima o poi, dovrà essere restituito. Tutto sommato non è un gran problema per una banca che nei 18 mesi tra l’inizio del 2013 e il giugno 2014 ha dovuto mettere in bilancio quasi 250 milioni di perdite alla voce Alitalia