Alla Camera dei deputati impegnata a eleggere Mattarella al Quirinale, la lode in memoria di quel che fu Silvio Berlusconi come politico, il requiescat del berlusconismo insomma, si onora nel centrodestra coi sorrisi, la compostezza, una specie di allegria di naufragi. Non si capisce se sia dissimulazione o sollievo, intanto si spargono le ceneri.
“Certo che è stato proprio un suicidio, si è fatto spianare da Renzi”; “Lui sì, ma pure Alfano”: ecco, si sentono sussurri così. Nessuno comunque ostenta ottimismo, tenta una difesa, racconta un “vedrete adesso”. Molto nero negli abiti, tra il lutto e l’elegante; al limite si vira nel feticismo del rosso, come la camicia in seta di Mariarosaria Rossi e i pantaloni fiammanti di Michela Biancofiore, abbinati a scarpe di vernice nera con tre giri di stringhe.
Crocicchi che si stringono fra loro, come parenti vicini e lontani nei momenti importanti: in un cerchio del Transatlantico ci sono Giovanni Toti, Angelino Alfano, Renato Schifani, Nunzia De Girolamo; due partiti un sorriso solo, e la cosa suona talmente strana che uno degli astanti alza il telefonino e dice “vi spiace se vi faccio una foto?”. E loro si stringono ancor di più per stare nell’inquadratura. Sconfitti ma sereni, intenti a non far vedere la fatica della rincorsa, la gara a non restare del tutto fuori da una partita a cui non hanno saputo opporre alternativa. Un altro nome, una strategia: niente. Né da dentro il governo, l’Ncd. Né da fuori, Forza Italia. E domani che si farà?
L’unico che si sforza ancora è Maurizio Gasparri. Instancabile, forse ottimista, in fondo indifferente. Della genìa di quelli buoni a resistere pure alle carestie, alle malattie, alla guerra nucleare. Impermeabile: “Guardate che alla fine i voti per Mattarella, dei nostri 140, saranno stati dieci, quindici, non di più: comunque ho fatto registrare la votazione, la vedrò subito. Faccio il moviolone, tanto fino alla partita della Roma non ho niente da fare”. Più in là, nascosto dai cronisti, Sandro Baldelli, vicepresidente della Camera e grande imitatore, si esercita a recitare Denis Verdini e il suo toscano: “Il patto del Nazareno è morto? Il Nazareno si sa, dopo tre giorni risorge”.
Spietatezza e sortilegio. Del resto in questa dissolvenza finale chi può azzardarsi ormai a nominare il futuro? Anche il famoso Patto, nel Transatlantico, è diventato oggetto di domande spicce, tipo quelle che si fanno al mercato. “Mi dà un chilo di mandarini?” oppure “Il patto del Nazareno è morto?”, il tono è lo stesso.
D’altra parte, il solo segno vivente dell’ex premier è un telegramma, le congratulazioni al nuovo capo dello Stato. Silvio Berlusconi comunica per iscritto. Quello in carne ed ossa è lontano, relegato a Milano dalla sentenza di condanna e dai suoi addentellati. Contrito, offeso, arrabbiatissimo, dicono. Ha lasciato la Roma politicante giovedì, un evo fa. Il resto sono telefonate, urla, ordini e contrordini. L’ultimo per Forza Italia alla fine è stato quello di votare scheda bianca: una resa doppia, anzi tripla. Non è l’Aventino immaginato, non è quell’immediato intestarsi il sì a Mattarella che in molti gli avevano consigliato, e non è nemmeno un modo per tenere unito il partito, giacché un parlamentare su quattro gli ha comunque disobbedito (votando per Mattarella).
Una sconfitta assoluta. Di quel che è stato Berlusconi per un ventennio, con i parlamentari comprati, le furbate, l’autoritarismo, i volemose bene, le lucide follie, sembra non esserci rimasto nulla: niente conigli dal cilindro, e perfino di botox pochissimo. Pure Daniela Santanché sembra oltre, il tempo non la scalfisce anzi la migliora. Pare aver fatto un patto col diavolo, e non di Arcore.
Il disastro è ancora più palmare dalle parti di Alfano: costretto anche in questo caso, nella tragedia, a recitare il ruolo minore. Tirato prima da Berlusconi e Casini in un verso (rompere con Renzi) e poi da Renzi e Casini in un altro (ricucire su Mattarella), ha prodotto tali e tanti ondeggiamenti nel suo partito che la foto finale è da panico: il capogruppo al Senato Maurizio Sacconi si è dimesso, la portavoce Barbara Saltamartini pure; Nunzia De Girolamo, la presidente dei deputati, ha evitato per polemica di applaudire all’elezione di Mattarella, e come lei anche Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello. Alfano ha detto che chiederà un chiarimento con Renzi, che nulla nella maggioranza sarà armonioso come prima. Ma intanto deve stare attento che sia il partito, a non scoppiargli in mano. Quella sua difesa finale per votare Mattarella “in quanto cattolico e siciliano” viene già ripetuta qua e là come fosse una barzelletta, la prova del nove del suo spessore politico.
Da adesso, il centrodestra dovrà cominciare a ripensare come mettersi in piedi. Quali parole, quali alleanze, quali persone. Ma sembra l’anno zero, tutto da ricominciare. E tra le macerie fumanti del berlusconismo, gli unici a saltellare sono gli ex democristiani. Del resto, fa notare il forzista Gianfranco Rotondi, “ai vertici dello Stato, ora, i democristiani sono diventati due”.