L’attico del cardinale Bertone è solo l’ultimo caso. I potenti italiani cascano tutti sull’abitazione. Segno di un vizio molto triste: il provincialismo

Dicono le statistiche che l’80 per cento delle famiglie italiane vive in una casa di proprietà. Tradizionale via italiana al risparmio. Sempre che non si assaggi il potere, si sfiori la nomenklatura, ci si avvicini alla Casta. Perché a quel punto la tentazione si fa irresistibile e la Casa diviene smania, ossessione, malattia. Capace di accecare politicanti, grand commis e cardinali, che dio li perdoni. Difficile spiegare perché, sarà forse questione di status, o arrogante esibizione di potere, io so’ io e voi… Certe volte la faccenda si tinge di codice penale; altre la brama immobiliare si trasforma in spettacolo politico-mediatico. Alimentando l’antipolitica.

E il bello è che ci cascano tutti, prima e seconda repubblica, laici e preti, destra e sinistra. Inguaiandosi. È di un lontano passato l’Affittopoli che crocifisse Massimo D’Alema, allora leader del Pds, reo di un equo canone in una casa di un ente previdenziale, che alla fine dovette lasciare. Ma è storia di oggi (svelata da “Avarizia”, di Emiliano Fittipaldi) l’appartamento nel centro di Roma affittato da Propaganda Fide, a 366 euro al mese, a Monica Cirinnà, combattiva senatrice Pd impegnata sul fronte delle unioni civili. Ci cascò pure Renata Polverini, presidente della Regione Lazio, alloggio pubblico e canone irrisorio. Ed è per colpa della casa a Montecarlo che cominciò a tramontare la stella di Gianfranco Fini. Si citò la foto, scattata a Napoli da Luciano De Crescenzo, del mendicante che mostra il cartello: «Ridotto in questo stato dal cognato».

Nel lungo elenco dei dopati della casa c’è chi ha proprio esagerato. Ciriaco De Mita, conquistato Palazzo Chigi, trasformò un attico Inpdai a equo canone in una reggia con terrazzone. Claudio Martelli si installò con il suo cerchio magico in un villone sull’Appia Antica che Ottaviano Del Turco ribattezzò «l’Appia dei popoli»; Lamberto Dini finì sui giornali dopo le proteste dei condòmini per una piscina («Ma è solo una vasca!») fatta costruire in terrazza. A Tonino Di Pietro “il Giornale” contestò i troppi appartamenti a Montenero, Bergamo, Milano, Roma e Bruxelles e lavori di ristrutturazione pagati, scrisse, dall’Italia dei Valori. E c’è chi ha minimizzato. Claudio Scajola, protagonista della mirabile fiction dell’appartamento al Colosseo pagato da altri «a mia insaputa», si affrettò a definirlo «un mezzanino un po’ buio»; il cardinal Bertone, invece, fattosi geometra, si è speso a ridurre la metratura del suo immobile (macché 400, i metri quadri sarebbero 296) e a declassare il terrazzo a condominiale. Sperando in un’indulgenza almeno parziale.

C'è poi chi ha abusato, come Josefa Idem, canoista medaglia d’oro e ministro del governo Letta, spinta alle dimissioni per una palestra non condonata; o Gabriele Moratti, di Letizia e Gianmarco, che invece si è visto sistemare ope legis, con provvedimento ad hoc della giunta di famiglia, 440 metri quadri di capannoni ristrutturati in stile casa di Batman. E c’è chi ha fatto un affarone. Come Filippo Patroni Griffi che, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, comprò dall’Inps cinque stanze al Colosseo per 177mila euro e le rivendette cinque anni dopo a 800mila. Spiccato senso del business. O come Pietro Lunardi, ministro e grande progettista di tunnel e trafori che, reduce da un anno di affitto gratuito, acquistò da Propaganda Fide, mediatore il cardinale Sepe, un palazzotto di un migliaio di metri quadri nel centro di Roma a poco più di 4 milioni, prezzo stracciato.

Infine, c'è pure chi non compra e non è in affitto, ma gode di generosa ospitalità, o almeno così dice. Sorte toccata a Giulio Tremonti, che poi fu smentito in tribunale dal presunto padrone di casa, l’amico e sodàle Marco Milanese; a Matteo Renzi, ospite a Firenze di Marco Carrai; e a Guido Bertolaso, ospitato in via Giulia da quei santi di Propaganda Fide, anche se i pm attribuiscono il magnanimo gesto a Diego Anemone, uno della cricca degli appalti.

Galeotta fu la casa, insomma, anche se più di una volta i giudici hanno archiviato e i protagonisti dimenticato. Per contrasto la memoria corre a Oscar Luigi Scalfaro che visse in una casa di cooperativa; a Sandro Pertini che dormiva in un bilocale; o a Beniamino Andreatta, che la sera si ritirava in un convento. Non è moralismo, ma nostalgia di una stagione in cui non trionfava ancora il più triste dei peccati: il provincialismo.

Twitter @bmanfellotto

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