Al centro della ricerca, che “l'Espresso” ha potuto leggere in anteprima, c'è la coltivazione di olio di palma effettuata in una zona in cui da anni combattono alcuni gruppi paramilitari. E tra gli accusati c'è un nome noto in Italia: Agostino Re Rebaudengo, presidente dell'associazione che rappresenta i maggiori produttori nostrani di energie rinnovabili (Assorinnovabili), membro del Consiglio generale di Confindustria nonché creatore, insieme alla moglie Patrizia Sandretto, della fondazione artistica Sandretto Re Rebaudengo.
LA GUERRA CIVILE
In oltre mezzo secolo la guerra civile in Colombia ha causato oltre 200 mila morti e 6 milioni di profughi. Ad affrontarsi sul campo sono diverse forze: il governo di Bogotà, i cartelli della droga, gruppi paramilitari di destra e ribelli filo-comunisti tra cui le Farc, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia. I motivi fondamentali del conflitto restano legati alla distribuzione dei terreni agricoli, e proprio su questo si concentra il rapporto delle due ong.
L'esodo di massa dei colombiani dalle zone di combattimento ha infatti lasciato liberi 8,3 milioni di ettari di terra, in gran parte messi a frutto dai guerriglieri che controllano le aree. Non solo per la produzione di cocaina, di cui la nazione sudamericana è notoriamente il numero uno al mondo, ma anche per quella agroalimentare. In questo contesto è iniziato il boom dell'olio di palma.
PALME E COCAINA
Secondo Fedepalma, l'associazione colombiana del settore, Bogotà è oggi il quarto produttore mondiale, e l'Unione europea è il principale mercato di destinazione. Sfruttato principalmente dall'industria cosmetica e dal quella alimentare, negli ultimi anni l'olio di palma è entrato a far parte ufficialmente dei biocarburanti, che per legge dovranno rappresentare il 10 per cento di tutta la benzina e il gasolio usati nella Ue entro il 2020. Una direttiva che ha scatenato le proteste degli ambientalisti, secondo cui la coltivazione intensiva di queste palme è in realtà dannosa per l'ecosistema.
Fatto sta che il governo colombiano ha deciso di sfruttare l'occasione e la regione della Altillanura, nella zona centro-orientale della Colombia, è diventata una delle aree di maggior produzione di questa sostanza, oltre a essere tra quelle in cui la guerriglia impazza da decenni, con una presenza particolarmente rilevante delle Farc. Proprio qui ha deciso di investire la Poligrow, che secondo il rapporto delle due ong ha però ottenuto alcuni terreni in modo irregolare.
«Non è stata l'unica società a farlo, ma noi abbiamo scelto di concentrarci su di lei perché ha il quartier generale in Spagna, un Paese Ocse, e volevamo applicare proprio le linee guida dell'Ocse per valutare l'attività di una multinazionale», spiega Karlijn Kuijpers, ricercatrice di Somo e membro del team che ha realizzato il report. L'accusa di essersi accaparrata i terreni illegalmente è supportata dagli atti della Contraloría General de la República, il massimo organismo di controllo fiscale in Colombia, che a febbraio dell'anno scorso ha pubblicato un rapporto sul tema includendo fra gli acquisti oggetto di indagine anche quelli effettuati dalla Poligrow.
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UN TERRENO GRANDE COME BERLINO
La società è arrivata nel Paese nel 2008 scegliendo come luogo dei suoi primi investimenti Mapiripán: è la cittadina teatro di uno dei massacri più cruenti della guerra civile colombiana, avvenuto nel 1997 per mano dei paramilitari di destra delle Auc, che a colpi di machete e motoseghe uccisero un numero tuttora imprecisato di persone e costrinsero alla fuga circa 10 mila abitanti.
Nell'area della città, secondo i media locali, sono ancora attivi almeno quattro gruppi paramilitari. Non facile fare affari lì, eppure la Poligrow ci è riuscita. Secondo il rapporto di Somo e Indepaz, dal 2009 a oggi la multinazionale ha comprato circa 70mila ettari di terreno, cui se ne aggiungono altri 11mila di proprietà di aziende e privati considerati alleati del gruppo. Significa, per capirci, controllare una superficie grande come la città Berlino.
DIRITTO ALLA TERRA
Il problema è che oggi quegli appezzamenti sono fonte di tensione con le popolazioni locali. Il rapporto cita 700 famiglie della zona, costrette alla fuga negli anni scorsi, quando i combattimenti erano particolarmente violenti: ora hanno fatto richiesta ufficiale al governo di Bogotà per poter tornare nei loro territori, ma lì ormai c'è la Poligrow con le sue palme da olio, che impedisce loro il rientro costringendoli a una vita da profughi. Fra questi ci sono anche alcune popolazioni indigene, come i Sikuani e i Jiw, i cui diritti alla terra sono stati riconosciuti a livello internazionale ma non in Colombia.
Una situazione esplosiva, insomma, da cui la multinazionale cerca di tenersi al riparo offrendo supporto all'esercito e alla polizia di Mapiripán. «La Poligrow», si legge nel rapporto, «avrebbe dovuto fare indagini sulla storia della guerra, sul ruolo dei militari e sui possibili impatti del supporto offerto all'esercito. Non facendolo, invece, rischia di alimentare il conflitto armato e le violazioni dei diritti umani nella regione».
Oltre a citare le irregolarità nell'acquisto dei terreni evidenziate dalle autorità colombiane, il rapporto delle ong accusa la multinazionale di mettere a rischio il diritto alla terra sancito dalla Costituzione colombiana. «In totale», si legge, «la Poligrow e le società che fanno parte della struttura societaria possiedono una quantità di terra cinque volte superiore al limite fissato dalla legge colombiana. Se a questa aggiungiamo quella controllata dai suoi partner strategici e usata dalla Poligrow, il totale arriva a superare di tredici volte il limite. Una situazione che mette a serio rischio il diritto costituzionale alla terra per i piccoli agricoltori».
PESTICIDI E SALARI DA FAME
Attraverso visite sul campo, interviste con gli agricoltori e con i responsabili della multinazionale, le due ong hanno cercato di ricostruire in quali condizioni lavorano gli addetti della Poligrow nella zona di Mapiripán. Risultato? La maggior parte dei dipendenti – si legge nel rapporto – ha contratti precari, senza coperture sanitarie e assicurative, con stipendi di gran lunga inferiori ai minimi salariali colombiani. Parecchi vivono all'interno delle stesse piantagioni, in capanne fatte di plastica, dove manca l'acqua potabile.
Un quadro desolante, a cui si aggiunge quello ambientale. La zona di Mapiripán è caratterizzata da grande biodiversità, spiega la ricerca, ma la monocoltura delle palme da olio, che richiede un uso massiccio di acqua e pesticidi, la sta mettendo seriamente a rischio, con danni già evidenti per le popolazioni, in particolare per gli indigeni Sikuani che vivono vicino alle piantagioni di palme.
PARADISI FISCALI
La ricerca delle due ong cerca di far luce anche sulla struttura finanziaria della Poligrow: ne fanno parte una ventina fra società di capitali, trust e fiduciarie sparpagliate in mezzo mondo, da Panama alle Isole Vergini Britanniche, dal Lussemburgo all'Isola di Man. Risalendo la catena di controllo si arriva a due nomi. Uno è quello della Serlick, cui fa capo il 90 per cento delle quote del gruppo: la società è registrata in Uruguay e non si può quindi sapere l'identità dei soci beneficiari, visto che il Paese non divulga queste informazioni. L'altro 10 per cento è invece in mano ad Agostino Re Rebaudengo.
Torinese, 56 anni, Re Rebaudengo ha un curriculum ricchissimo. È azionista e fondatore di Asja, gruppo che produce energia rinnovabile in Italia e all’estero. È presidente di Assorinnovabili, l'associazione che promuove lo sviluppo delle energie green in Italia, con 500 imprese associate e oltre 1.300 impianti installati. A Londra ha fondato Reba Capital, che dice di investire in «progetti di energia pulita» e di «agricoltura sostenibile e socialmente responsabile».
È anche membro di giunta del consiglio direttivo dell’Unione Industriale di Torino, del Consiglio generale di Confindustria e del cda della Ewea, l'associazione europea dei produttori di energia eolica. In più, presiede il Museo A come Ambiente di Torino, il primo in Europa interamente dedicato alle tematiche ambientali. E ha fondato, insieme alla moglie Patrizia Sandretto, l'omonima Fondazione nota per la promozione dell'arte contemporanea.
RE REBAUDENGO: «ACCUSE FALSE»
Impossibile sapere con certezza se sia proprio Re Rebaudengo il proprietario dell'intero gruppo Poligrow. Lui, interpellato da “l'Espresso”, dice di essere in società con un gruppo di imprenditori di cui non rivela il nome, ma aggiunge di «essere in trattativa avanzata con loro per acquisire, entro fine anno, la totalità delle quote di Poligrow».
Le accuse contenute nella ricerca pubblicata da Somo e Indepaz? «Sono totalmente false», dice Re Rebaudengo. Che ribatte punto per punto: «Poligrow non ha assolutamente ottenuto terreni in modo irregolare, sono tutti contratti legali e registrati, come dimostrano i documenti in nostro possesso. Il progetto è certificato da Rainforest Alliance, una delle società del settore più famose al mondo, fatto che ne testimonia la sostenibilità ambientale. Per quanto riguarda i lavoratori, non c'è niente di più falso. Tutti sono assunti in modo diretto: parliamo di 500 persone, pagate un po' più del minimo salariale, in una regione in cui prima del nostro arrivo non c'era nemmeno l'elettricità».
I MISTERI OFFHSORE RIMANGONO
C'è solo un punto su cui Re Rebaudengo non risponde. Chi sono i soci nascosti nella società uruguaiana Serlick? Di certo i nomi più ricorrenti fra le varie società che costituiscono la catena di controllo di Poligrow sono italiani. C'è Carlo Vigna Taglianti, amministratore delegato di Poligrow Colombia; Enrico Maria Roveda, direttore di una controllata brasiliana ora in liquidazione; Tito Tettamanti, cittadino svizzero citato nel report come direttore e azionista della Sterling Strategic Value, società che nel 2013 controllava l'uruguaiana Serlick.
«Sebbene non sia possibile dimostrare che la Poligrow abbia creato queste società sussidiarie per evadere il fisco o per ragioni di segretezza», dicono le ong nel rapporto, «i dirigenti del gruppo dovrebbero per lo meno essere trasparenti sulle ragioni di questa complicata struttura. Questo è particolarmente importante dato che i narcotrafficanti e i paramilitari colombiani hanno riciclato denaro e condotto operazioni finanziarie illecite usando società legali coinvolte nel settore dell'olio di palma».
Aggiornamento del 13 novembre ore 15,26 - Riceviamo e pubblichiamo la precisazione di Agostino Re Rebaudengo: "Quel rapporto contiene accuse false"
Aggiornamento del 13 novembre ore 17.45
Sterling Strategic Value: nessun rapporto con la società Serlick S.A.