Il 2015 sembra già destinato a essere l’anno più caldo della storia. E se si vogliono evitare conseguenza catastrofiche su sicurezza alimentare, riserve d’acqua, stabilità economica e pace internazionale bisogna fare di più e in fretta

Tre giorni fa, proprio alla vigilia del vertice climatico attualmente in corso a Parigi, l’Organizzazione meteorologica mondiale, uno dei bracci scientifici delle Nazioni Unite, ha comunicato al mondo due brutte notizie. La prima: a un mese dalla sua conclusione, il 2015 sembra già destinato a essere l’anno più caldo della storia, nonché il quinto anno più caldo consecutivo. La seconda: proprio quest’anno, l’aumento della temperatura media planetaria valicherà la soglia di un grado centigrado, rispetto all’era pre-industriale.

Un grado di differenza, sembra poca – o pochissima – cosa. Ma non per chi conosce la distinzione fra la meteorologia (lo studio giornaliero delle condizioni atmosferiche in particolari aree geografiche) e la climatologia (lo studio nel lungo periodo e su scala planetaria). Se in meteorologia, come sappiamo dalla nostra esperienza quotidiana, un grado di differenza in più o in meno è del tutto risibile, nella climatologia si tratta di un valore macroscopico. Ecco perché quella che arriva dalle Nazioni Unite è una pessima notizia.

Qui a Parigi, nel centro congressi di Le Bourget trasformato in un fortino protetto dalle forze dell’ordine, i diplomatici di 195 Paesi del mondo sono appena all’inizio del tour-de-force negoziale che dovrebbe portarli a sottoscrivere il tanto atteso Accordo di Parigi, o chissà come verrà chiamato. Tutto ruota intorno alle 183 concessioni volontarie fatte da altrettanti Paesi  (inclusa l’Europa a nome dell’Italia e dagli altri 27 Stati dell’Unione), che sono state riaffermate ieri dai rispettivi leader o teste coronate.

«È un buon inizio», ha commentato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban-ki Moon. «Però, se vogliamo limitare l’aumento della temperatura globale entro i due gradi, dobbiamo andare molto più avanti e molto più rapidamente. La scienza è chiara: anche un aumento di 2 gradi, avrà serie conseguenze sulla sicurezza alimentare e le riserve d’acqua, sulla stabilità economica e la pace internazionale».

Nei solenni discorsi davanti ai rappresentanti della diplomazia climatica di tutto il mondo, i leader della Terra hanno fatto più di una volta esplicito riferimento all’obiettivo dei due gradi, che ormai ha assunto il ruolo di punto fermo della politica internazionale.

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Ne ha parlato il presidente russo Vladimir Putin (non esattamente un paladino del climate change). O il presidente dell’Ungheria, János Áder, che si è lanciato in un appassionato, ipotetico discorso al nipote che deve ancora nascere, il cui futuro è appeso a un tenue filo di speranza: che quel grande consesso di presidenti e primi ministri apparso ieri davanti ai microfoni del mondo, faccia per davvero quello che dice.

Tutto è cominciato in sordina con la Rivoluzione industriale, che ha alimentato il crescendo rossiniano dell’economia planetaria con il carbone, il petrolio e il gas naturale. Una volta bruciati, rilasciano carbonio che si lega con l’ossigeno dell’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. La quale – lo sappiamo dall’Ottocento – trattiene la radiazione infrarossa della Terra e la riscalda.

E qui compare un altro numero, anche stavolta apparentemente risibile e insignificante: nell’èra pre-industriale, la concentrazione di CO2 era di 280 parti per milione. Oggi, abbiamo superato la soglia dei 400. Cosa possono fare solo 400 molecole di anidride carbonica in mezzo a un altro milione di molecole? Anche in questo caso, molto. Già superare la soglia di 450, garantirebbe il temuto avvicinamento ai famosi due gradi.

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Ieri, i numerosi rappresentanti degli Stati-isola del mondo, minacciati dall’innalzamento dei mari, hanno chiesto a gran voce ai Paesi industrializzati di non superare il tetto del grado e mezzo. Un tetto che, anche qualora gli impegni solenni annunciati ieri dai leader del mondo  venissero rispettati, è destinato ad essere sfondato. E non di poco: i calcoli dicono +2,7 gradi.

Quel che sembra chiaro però, è che la corsa verso un mondo a basso impatto di carbonio è ufficialmente cominciata. La banca Barclays stima che, solo per mantenere quelle promesse, ci sarà bisogno di 21.500 miliardi di dollari di investimenti in energie alternative e in efficienza energetica, da qui al 2040. E questa cifra, una volta tanto, non appare per nulla insignificante.