
Benito Benedini è uno dei più importante manager milanesi. Nella sua lunga e prestigiosa carriera ha rivestito ruoli direttivi in grandi banche e industrie private. In questi anni ha ottenuto cariche di vertice anche in società pubbliche, su indicazione del centro-destra, in particolare di Forza Italia: tuttora è il presidente della Fondazione che controlla la Fiera di Milano, mentre dal 2004 al 2013 è stato consigliere di gestione di Infrastrutture Lombarde, la centrale regionale dei grandi appalti. Ora, grazie alla nuova maxi-inchiesta su San Marino, la Guardia di Finanza e la Procura di Forlì hanno scoperto anche il suo nome nella lista dei cittadini italiani con depositi bancari nel piccolo paradiso fiscale nel cuore della Romagna. Benedini, secondo i primi accertamenti, risulta aver accumulato a San Marino e poi riportato in Italia, tra il 2009 e il 2010, circa quattro milioni di euro.

Convocato alcune settimane fa nel comando provinciale delle Fiamme gialle, il presidente della Fondazione Fiera si è difeso spiegando che si trattava di redditi personali, che in origine aveva dimenticato di dichiarare all’erario, ma che poi sono stati tutti regolarizzati, proprio in quel biennio, grazie allo scudo fiscale varato dall’ultimo governo di Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Come in tutti gli altri casi di persone che hanno rivestito cariche pubbliche, il nucleo tributario della Finanza sta continuando a indagare, per verificare se quel condono sia stato applicato correttamente: le indagini, coordinate dal procuratore capo di Forlì, Sergio Sottani, e dal suo sostituto Francesca Rago, puntano a individuare l’effettiva provenienza e l’ammontare complessivo delle somme depositate nella piccola Repubblica. Se la spiegazione fornita da Benedini sarà confermata, l’inchiesta verrà archiviata, perché il reato di semplice evasione è stato cancellato proprio dallo scudo. Finora si ignorava che l’uomo forte della Fiera di Milano (e di altre importanti aziende) avesse soldi a San Marino: il suo conto estero infatti era schermato da una società fiduciaria, mentre il condono del 2009-2010 consentiva di regolarizzare i capitali non dichiarati, versando solo il 5 per cento, con la garanzia dell’anonimato.

Gioacchino Gabbuti è un manager romano che ha gestito grosse società pubbliche, come l’azienda dei trasporti Atac e Roma Patrimonio, fino a quando la capitale è stata governata dalla destra dell’ex sindaco Gianni Alemanno. Secondo la Guardia di Finanza, Gabbuti era il titolare effettivo di un conto a San Marino con almeno un milione e 200 mila euro: soldi bonificati all’estero fino al 2009-2010, quando il manager era ancora alla guida di aziende pubbliche, e poi riportati in Italia approfittando dello scudo fiscale. Mesi fa, quando le indagini dei pm di Roma avevano per la prima volta fatto emergere l’ipotesi dei soldi a San Marino, il manager aveva smentito minacciando querele contro i giornalisti. Ora lui stesso ha dovuto spiegare alla Finanza di aver beneficiato del condono anonimo di cinque anni fa. Anche nel suo caso l’inchiesta prosegue per verificare quanti soldi avesse trasferito sul Titano, in totale, su un conto formalmente intestato alla fiduciaria Amphora, e se è vero che si trattava soltanto di redditi in nero, legalmente ripuliti con il condono fiscale.

Franco Lazzarini è un uomo d’affari genovese, azionista e manager del gruppo assicurativo Ital Brokers, amico da una vita di Claudio Burlando, l’ex governatore della Liguria, e di altri esponenti di quella cerchia del Pd che fa capo all’ex premier Massimo D’Alema. Al suo nome la Guardia di Finanza associa una serie di «movimentazioni» per importi non eccezionali, ma considerate molto sospette: secondo i computer bancari, infatti, Lazzarini risulta aver depositato personalmente a San Marino diversi assegni, per un totale di circa centomila euro.
Versamenti eseguiti tra il 2012 e il 2013 evitando di lasciare tracce con i normali bonifici bancari: l’indagine ora punta a scoprire che bisogno ci fosse di usare gli assegni e passare il confine di persona, almeno stando a quanto registrato dalle banche. Nel suo caso lo scudo era ormai scaduto, ma fino a prova contraria non si può escludere che si trattasse di redditi leciti, non tassabili in Italia. Lo stesso manager è per altro citato anche nell’inchiesta della Procura di Milano sul “barone dell’evasione internazionale” Filippo Dollfus: qui i pm indicano Lazzarini come uno dei clienti italiani che sarebbero stati aiutati a «occultare all’estero» non solo «denaro evaso», ma anche bottini di ipotetici reati di «corruzione e riciclaggio». Insomma, un presunto tesoriere di tangenti intascate da altri.

L’inchiesta di Forlì è solo all’inizio e promette molte altre sorprese: la squadra anti-evasione guidata dal tenente colonnello Giuseppe Romanelli è riuscita a schedare tutti i 26.953 soggetti italiani che tra il 2006 e il 2014 hanno esportato a San Marino un tesoro complessivo di oltre 22 miliardi di euro. I computer delle banche ispezionate, in teoria, avrebbero dovuto registrare solo capitali usciti o rientrati in Italia. In qualche caso però, per motivi ancora misteriosi, sono rimaste schedate anche operazioni estero su estero. L’esempio più vistoso, per ora, è un bonifico di tre milioni tondi, accreditati nel 2012 da San Marino in Svizzera a nome di Gerardo Segat, il manager italo-elvetico della Tax & Finance che in questi mesi ha assistito mister Bee nella trattativa per l’acquisto del 48 per cento del Milan di Berlusconi. Dopo l’arresto a Milano di un suo collega della T&F accusato di riciclare i tesori di decine di evasori, per ora Segat non si è presentato a Forlì per spiegare quel bonifico da San Marino e chiarire perché sia stato registrato anche dalla nostra rete bancaria, come se si fosse trattato di soldi italiani.