Nemmeno Berlusconi l'ha usato tanto. Ecco tutti i dati sul primo anno del nuovo esecutivo

Quando il 22 febbraio spegnerà la prima candelina, Matteo Renzi farebbe bene a tenere a mente le graffianti parole del linguista americano Noam Chomsky: «Il ruolo del Parlamento è di approvare senza chiedere troppe spiegazioni». Perché se è vero che la rivoluzione non è un pranzo di gala, chi pretende di cambiare verso all’Italia dovrebbe almeno cercare di distinguersi in meglio dai predecessori.

Analizzando il dossier preparato dall’associazione OpenPolis per valutare l’attività del governo in questo primo anno - che l’Espresso presenta in anteprima - a saltare agli occhi è infatti proprio l’abuso del voto di fiducia, che di fatto stronca la discussione in Parlamento e fa decadere qualunque proposta di modifica: su 67 leggi varate dall’insediamento a oggi, ben 30 sono state approvate in questa maniera. In media una ogni dodici giorni considerando anche i fine settimana, la pausa estiva e le vacanze di Natale. E se si escludono le ratifiche dei trattati internazionali, che sono un mero atto formale, la percentuale sale fino al 68 per cento.

QUESTIONE DI FIDUCIA



Numeri che fanno impallidire perfino chi, come Silvio Berlusconi, fu tacciato di autoritarismo dal centrosinistra per esservi ricorso in proporzione assai meno. A eccezione di Mario Monti, che si trovò a fronteggiare una situazione eccezionale di emergenza, nessun governo nell’ultimo ventennio ha utilizzato la fiducia in misura così massiccia. Nemmeno il secondo governo Prodi, alle prese con una maggioranza così ballerina da dover far affidamento sui senatori a vita. Il governo Renzi la fiducia l’ha chiesta 14 volte al Senato e 16 alla Camera, nonostante a Montecitorio disponga di un’ampia maggioranza. A conferma del fatto che, oltre alle ragioni del “fare presto”, resta uno strumento per superare divisioni nella maggioranza e, sempre più spesso, nello stesso Pd. Per carità, nulla di nuovo sotto il sole.
Sono trent’anni che i governi estendono i loro poteri a scapito del Parlamento.  Tanto che già ai tempi di Bettino Craxi l’allora presidente della Camera, Nilde Iotti, tuonava contro «l'abuso da parte del governo» ed esprimeva «vivissima preoccupazione per l'altissimo numero di decreti presentati». Il salto di qualità impresso da Renzi e il suo esecutivo è tuttavia innegabile, tale da configurare una sorta di presidenzialismo di fatto, privo peraltro di qualunque contrappeso. Il canovaccio è quasi sempre lo stesso e prevede di liquidare in appena un paio di giorni e mezzo la discussione in Aula: si inizia il martedì pomeriggio e si vota il giovedì mattina. La frequenza è ormai tale che la capogruppo di Sel a Palazzo Madama, Loredana De Petris, ha tracciato un sarcastico parallelo con la tradizione gastronomica romanesca: «Ormai in Parlamento il giovedì c’è la fiducia, come gli gnocchi». Del resto il sincronismo è a volte davvero perfetto, come mostra il doppio salto mortale incrociato cui il governo ha costretto il Parlamento ad agosto: lunedì 4 fiducia sul decreto Competitività alla Camera, martedì 5 sul decreto sulla Pubblica amministrazione al Senato. Mercoledì 6 e giovedì 7 copione identico ma a parti inverse.

UN ANNO IN NUMERI



UN PARLAMENTO SEMPRE PIÙ IRRILEVANTE

LAVORI IN CORSO - I DDL DEL GOVERNO



VIETATO CHIEDERE AL MINISTRO
C’è anche un altro indicatore che conferma una sostanziale “disinvoltura” nei confronti delle Camere: il sindacato ispettivo, con cui deputati e senatori hanno modo di controllare l’attività del governo. Peccato che solo un’interrogazione parlamentare su quattro in media ottenga risposta.

INTERROGAZIONI PARLAMENTARI NEL VUOTO



MINISTERI E RISPOSTE


Fra i dati non proprio esaltanti, spicca il cruciale ministero dell’Economia, il cui tasso di risposta è maggiore rispetto a quando in via XX Settembre c’era Fabrizio Saccomanni (2,7 per cento) ma molto lontano dai tempi di Vittorio Grilli (20,56 per cento) e Giulio Tremonti (28,11 per cento). E non manca il paradosso del ministero dell’Interno, dei Trasporti e della Salute, le cui performance sono molto peggiori dell’era Letta. Nonostante, allora come adesso, alla guida dei tre dicasteri siedano le stesse persone: Angelino Alfano, Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin. Che il turbo-renzismo provochi il lassismo dei ministri Ncd?

O SI RIFÀ LO STATO O SI MUORE
Ma quale è stata l’agenda che in questi 12 mesi ha improntato l’azione del governo e, di conseguenza, del Parlamento? In base ai provvedimenti varati da Palazzo Chigi e all’avanzamento dei progetti di legge nelle commissioni parlamentari, OpenPolis ha stilato la top-20 delle priorità politiche. Si scopre così che, in conformità con la manifestata intenzione di rinnovare della macchina pubblica e far ripartire l’occupazione, in vetta alla classifica si piazza il tema dell’ordinamento dello Stato e subito dopo il lavoro (solo settimo con Letta). Al terzo posto l’economia, che con Berlusconi e Monti era prima. Il dato più interessante riguarda tuttavia le tematiche relative alla giustizia, all’ottavo gradino: otto posizioni in più del governo precedente. È tuttavia ancora presto per un’analisi qualitativa sugli effetti dei provvedimenti e vedere se gli ambiziosi traguardi fissati dal premier saranno raggiunti. Anche per chi gioca tutto sulla velocità, ci sono tempi tecnici da rispettare prima di poter trarre un bilancio. Magari quando si tratterà di spegnere la prossima candelina.

LA TOP 20 DELLE LEGGI