Il presidente della Repubblica è l’erede di una cultura politica figlia più del Concilio Vaticano II ?che della Balena Bianca. Parla lo storico Umberto Gentiloni
Dopo l’elezione di Sergio Mattarella in molti hanno tradotto: moriremo democristiani. Con soddisfazione o con timore. Ma lo storico Umberto Gentiloni, cattedra alla Sapienza di Roma, allievo di Pietro Scoppola, nega il ritorno «all’orgoglio identitario dc. La sua è una cultura politica che non può essere schiacciata solo sulla Dc. L’ho ritrovata nel primo messaggio da presidente. Lo Stato-comunità, la responsabilità individuale al servizio del bene comune. Mattarella fa parte del filone del cattolicesimo democratico, una corrente di minoranza della Dc e tipica di intellettuali esterni al partito, molto sensibili a quello che si muoveva nella società italiana. Mattarella è uno di loro, entra in politica in una stagione di crisi, è stato eletto deputato per la prima volta nel 1983, in quelle elezioni la Dc perse sei punti e cominciò la sua fase calante».
Professor Gentiloni, quando comincia la crisi? «Gli anni Settanta sono il punto di arrivo e l’inizio della fine. «Il futuro non è più nelle nostre mani», avverte Aldo Moro dopo il ’68. Uomini come Mattarella o un intellettuale come Pietro Scoppola frequentano il pensiero di Moro. Ma per alcuni di loro, i cattolici democratici figli del Concilio Vaticano II, dopo il referendum sul divorzio del 1974 si può considerare l’ipotesi di rompere l’unità dei cattolici nella Dc, di fondare un secondo partito cattolico con la Lega democratica. Mentre per Moro lo stare insieme nella Dc è il perno di ogni azione politica. Moro pensava che all’incontro con il Pci, il compromesso storico o la solidarietà nazionale, la Dc doveva arrivare tutta insieme, compresa la destra, altrimenti sarebbe stato rischioso. D’accordo con Enrico Berlinguer sull’altro versante. Moro e Berlinguer sono figli di una democrazia difficile, condizionata dai fattori internazionali e dalle debolezze interne. Il 1978, il sequestro e l’omicidio di Moro, è l’epilogo drammatico di quella storia».
Negli anni Novanta la Dc si frantuma. Mattarella da che parte sta? «Quando c’è il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario nel ‘91-’93, alcuni cattolici democratici scelgono il bipolarismo come loro orizzonte, altri si oppongono perché nella loro cultura c’è la proporzionale, l’idea che tutti devono essere rappresentati. Mattarella, con la legge elettorale che porta il suo nome, prova a costruire una riforma che rispetti le novità ma che non butti via il passato. Rifiuta la logica del o di qua o di là, in linea con il Ppi di Mino Martinazzoli. L’operazione dell’Ulivo di Romano Prodi supera questa posizione: l’accettazione del bipolarismo, la nascita di un centrosinistra in cui i cattolici siano fermento».
Operazione riuscita? «Non mi pare. È stata mortificata la speranza che dalla fine della Prima Repubblica nascesse un incontro fecondo tra le culture del cattolici e dei post-comunisti. Il processo che ha portato alla nascita del Pd è stato condizionato da mille contraddizioni. La transizione italiana non si è mai chiusa. E gli eredi delle due tradizioni, il Pci e i cattolici democratici, si sono indeboliti a vicenda in un compromesso al ribasso. In questi venti anni si è indebolito lo spessore democratico del Paese. Ha contato anche un altro fattore. Uomini come Mattarella hanno espresso una cultura invisa Oltretevere, perché la Cei del cardinale Camillo Ruini coltivava un’idea della presenza cattolica in politica come scambio conveniente per la Chiesa, come scrisse Scoppola».
Oggi il bipolarismo appare in crisi. Si sta imponendo al centro del sistema politico un nuovo partitone di governo, il Pd di Renzi. Nell’impossibilità di uno schieramento alternativo, perché tutti gli altri partiti sono divisi. I dc dicevano di sé: «siamo l’architrave», Renzi parla di Pd come «partito infrastruttura» della politica italiana. Ha qualcosa a che fare con Mattarella al Quirinale? «È vero che oggi il Pd appare l’architrave del sistema, ma il problema è a destra. Nella Prima Repubblica il blocco era a sinistra, oggi la questione è la fuoriuscita dal berlusconismo. In questi venti anni Berlusconi è stato il centro di tutto, il bipolarismo è stato segnato dal suo nome. La competizione tra gli schieramenti ripartirà fisiologicamente quando il centrodestra scioglierà questo nodo. L’Italicum, nelle intenzioni, con il doppio turno mantiene la competizione tra i poli».
Berlusconi ha messo un veto su Mattarella e non l’ha votato, mentre era disponibile a votare per i nomi ex Pci. Perché questa storica avversione per la sinistra cattolica? «C’è un’irriducibilità tra la rivoluzione vincente del berlusconismo e la cultura cattolico democratica. Perché la manifestazione di potenza e di ricchezza è il contrario di quella tradizione che ha sempre avvertito come un problema l’avanzare di una secolarizzazione priva di valori, denunciata da Scoppola già negli anni Ottanta. Uomini come Leopoldo Elia si sentono i custodi delle regole, soffrono moltissimo quando vedono che le regole possono essere stracciate in nome di uno scambio tra Berlusconi e i vertici ecclesiastici».
Che presidenza sarà quella di Mattarella? «La presidenza della normalità istituzionale. Abbiamo vissuto anni di emergenza. Quando Berlusconi strappava le regole e mirava a costruirsi una Costituzione materiale su misura, i presidenti Ciampi e Napolitano hanno svolto una funzione di supplenza della politica. Normalità istituzionale significa chiudere con quella fase simboleggiata dal prolungamento del mandato di Napolitano. Si fa Stato-comunità solo se sono chiare le funzioni di ognuno. Il gesto di Mattarella di visitare le Fosse Ardeatine con il riferimento al nuovo terrorismo internazionale è un’indicazione. La rivendicazione delle radici anti-totalitarie dell’Europa, un’operazione repubblicana come quella di Hollande dopo la strage di Parigi».
Mattarella sembra lontano dal modello Renzi: si tradurrà in una distanza tra i due presidenti? «La scelta di Mattarella è un segno di grande intelligenza politica da parte di Renzi. I due sono molto diversi, dal punto di vista generazionale e antropologico. Uno dei terreni di dialettica sarà il ruolo dei corpi intermedi, per Mattarella sono da promuovere, Renzi li vorrebbe superare. È la figura del sindaco d’Italia spesso rilanciata dal premier. Ma le differenze possono spingere tutti a fare un passo in avanti. La nuova presidenza è la possibilità per Renzi di non apparire più come un giocatore di poker che rilancia a colpi di tweet. E per Mattarella l’occasione per gli eredi del cattolicesimo democratico di aprire una nuova fase della loro storia».