Si chiama Keystone XL e dovrà attraversare Canada e Stati Uniti. Mettendo a rischio l’ambiente. Contro i diritti ?delle popolazioni. Storia di un’opera che imbarazza Obama

Proteste contro la realizzazione dell'oleodotto
"Non fa alcuna differenza”. Da quando tre anni e mezzo fa si è acceso il dibattito sull’oleodotto Keystone XL, i liberali fautori del progetto hanno ragionato in questi termini: è vero, dicono, rispetto al greggio tradizionale il petrolio estratto dalle sabbie bituminose dell’Alberta che il Keystone trasporterebbe potrebbe incidere da tre a quattro volte di più sulle emissioni di gas serra. Ma non dipende dal Keystone XL, affermano. Perché? Perché se TransCanada non riuscirà a costruire il Keystone verso sud, si dovrà costruire in ogni caso un oleodotto che andrà verso ovest o verso est. In caso contrario, quel greggio sporco dovrà essere trasportato su rotaia. Da tempo ci dicono infatti di non nutrire false illusioni: tutta quell’anidride carbonica seppellita sotto la foresta boreale dell’Alberta in un modo o nell’altro sarà estratta. A prescindere da ciò che deciderà il presidente.

Fino a poco tempo fa, sembrava impensabile che il boom dello sfruttamento delle sabbie bituminose potesse finire. Le proiezioni di settore continuavano a prospettare una produzione raddoppiata e poi triplicata in tempi molto brevi, e l’arrivo di investitori stranieri che avrebbero fatto a gara per costruire nuove miniere gigantesche. Di questi tempi, invece, nell’aria di Calgary, prima spumeggiante d’entusiasmo, si va diffondendo il panico. In meno di un anno Shell, Statoil e la compagnia petrolifera Total hanno tutte tagliato drasticamente i loro progetti più importanti di estrazione e di sfruttamento delle sabbie bituminose. E, all’improvviso, su uno dei più grandi – e più “sporchi” – depositi al mondo di anidride carbonica incombe un grosso punto interrogativo.

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Tutto ciò cambia in maniera radicale i calcoli con i quali è alle prese Barack Obama. La sua decisione non riguarda più un unico oleodotto, ma se il governo degli Stati Uniti debba o non debba lanciare una cima di salvataggio a un progetto industriale che rende sempre più instabile il clima e che è soggetto al convergere di molteplici pressioni che provocano una crisi reale. I motivi fondamentali per i quali le sabbie bituminose oggi risultano meno attraenti di prima sono quattro:

1. I prezzi petroliferi sono ai minimi. E questo conta, perché è molto dispendioso estrarre il bitume semisolido dalle sabbie bituminose. Il settore aveva iniziato a decollare quando sembrava che 100 dollari fosse diventato il prezzo usuale per un barile di petrolio. In effetti, i prezzi potrebbero tornare acrescere, ma il loro calo repentino è stato un monito efficace del rischio che si corre nello scommettere su un metodo di estrazione così dispendioso.

2. Gli oleodotti che trasportano greggio estratto da sabbie bituminose attirano malcontento come le calamite il ferro. I fautori del Keystone affermano spesso che se il petrolio non andrà a sud attraversando gli Stati Uniti, sarà semplicemente spedito a ovest attraverso la Columbia Britannica, e raggiungerà le petroliere in questo modo. Ma i sostenitori del Keystone farebbero bene a prestare attenzione a quanto sta accadendo a ovest delle Montagne Rocciose: dal 20 novembre fuori Vancouver sono stati arrestati oltre sessanta manifestanti decisi a impedire la costruzione di un oleodotto per sabbie bituminose di proprietà di Kinder Morgan. Più a nord, la realizzazione dell’oleodotto Northern Gateway della Embridge, altra possibile via di transito, ha trovato opposizioni ancora maggiori. In effetti, le proteste contro il traffico in aumento di petroliere in transito lungo le loro amate coste ha unito come non mai gli abitanti della Columbia Britannica.

Che cosa accadrebbe nel caso in cui l’oleodotto si dirigesse verso est? I governi di Ontario e Québec hanno firmato un accordo che prevede gli ostacoli da opporre alla costruzione dell’oleodotto Energy East progettato dalla TransCanada che, se fosse ultimato, potrebbe far arrivare le sabbie bituminose fino alla Costa Est.

3. Nei ricorsi in tribunale i diritti delle popolazioni indigene continuano a predominare e avere la meglio. A rendere ancora più incerte le cose, in realtà, c’è il fatto che tutti questi progetti hanno un notevole impatto sulle terre sulle quali vantano titolo e diritti le Prime Nazioni (i popoli autoctoni). La Corte Suprema canadese in più occasioni ha preso le loro difese. Di recente, nel giugno scorso, l’Alta Corte ha decretato all’unanimità che lo sviluppo non potrà interessare le terre dei Tsilhqot nella Prima Nazione della Columbia Britannica qualora i Tsilhqot non diano il loro assenso. Le compagnie petrolifere che costruiscono oleodotti quell’assenso non l’hanno mai ottenuto. Al contrario, decine di comunità autoctone hanno espresso con veemenza la loro contrarietà a questi progetti. In Canada i tribunali sono intasati di cause che riguardano oleodotti: contro il solo Northern Gateway i ricorsi sono già una decina.

4. Sono riprese le iniziative a favore del clima. È vero, gli obbiettivi del trattato sottoscritto da Stati Uniti e Cina sono del tutto inadeguati, e così pure le somme di denaro promesse ai paesi in via di sviluppo per finanziare progetti relativi al clima. È fuor di dubbio, tuttavia, che il cambiamento del clima è tornato prepotentemente alla ribalta internazionale, come non accadeva dai tempi del fallito summit di Copenaghen del 2009.

Naomi Klein
Si tratta di un altro brutto colpo assestato all’espansione incontrollata dello sfruttamento delle sabbie bituminose, perché proprio quelle miniere sono all’origine dello status di spregevole “bandito del clima” appioppato al Canada, paese nel quale ormai le emissioni superano del 30 per cento circa quelle previste dal Protocollo di Kyoto. Ora che Stati Uniti, Cina e Unione Europea se non altro stanno facendo finta di prendere la crisi del clima sul serio, la sfida del Canada appare particolarmente esecrabile.

Barack Obama dovrà prendere una decisione finale al riguardo del Keystone in questo contesto in rapida trasformazione. Un mercato sempre più irrequieto attende da lui un segnale. Le sabbie bituminose possono essere considerate una prospettiva imprenditoriale a lungo termine, un ambito sicuro nel quale investire centinaia di miliardi di dollari per i decenni a venire? Oppure l’idea stessa di sventrare un’area enorme e splendida di questo continente per sfruttare una risorsa energetica che di sicuro contribuirà a riscaldare ancora di più il pianeta è stata soltanto una follia passeggera, un brutto incubo dal quale dobbiamo svegliarci al più presto? Tutti gli occhi sono puntati sul presidente. Dirà di sì o dirà di no?
In ogni caso, il Keystone conta, conta eccome.

traduzione di Anna Bissanti
Questo articolo è stato pubblicato ?per la prima volta su “The Nation”
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