Sfiducia nei politici, un sistema istituzionale che non garantisce più stabilità, perdita di prestigio per banche, chiesa e partiti: il Paese sembra non riuscire a superare il test della modernità. Mentre crescono le formazioni anti-Europa, anti-immigrati e anti-establishment

Vista di Londra
Durante l’estate del 2012 è sembrato per un attimo che la Gran Bretagna si fosse lasciata finalmente alle spalle le sue persistenti nevrosi post-imperiali. A proprio agio nella sua pelle variopinta, un popolo che un tempo aveva dominato quasi un terzo del mondo ha trovato un nuovo ruolo come Paese accogliente.

Le Olimpiadi di Londra sono state una celebrazione di una nuova britannicità: diversa, estroversa, memore della tradizione, ma desiderosa di proiettarsi nel futuro. Certamente, l’austerità post-crisi aveva fiaccato il morale, ma le medaglie conquistate da Jessica Ennis, Mo Farah e dagli altri componenti della “Squadra britannica” hanno illuminato la strada da percorrere.

Quel momento è passato. La Gran Bretagna del 2015 si sente adesso un Paese litigioso e diviso. L’orgoglio per la diversità ha ceduto il passo all’avvento del populismo anti-immigrazione del partito indipendentista britannico (Ukip). L’economia sta di nuovo crescendo - molto più velocemente che nel resto d’Europa – ma, a quanto pare, resta un abisso crescente tra i ricchi e i bisognosi. Al di sotto della superficie, i pilastri su cui poggiava il vecchio establishment inglese si sono incrinati.

Nonostante il voto dell’anno scorso per restare all’interno dell’unione fra quattro nazioni (Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord), la Scozia poteva ancora decidere se rendersi autonoma. Si è aperto così un abisso tra Londra, ancora il centro mondiale delle Olimpiadi del 2012, e un meno prospero hinterland inglese. I due partiti che hanno dominato la politica del dopoguerra - i conservatori di David Cameron e i laburisti di Ed Miliband - si stanno ritirando nelle loro roccaforti regionali. Ben di rado il Regno Unito è apparso così diviso come oggi.
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La Gran Bretagna ha perso il suo ruolo internazionale. Le guerre in Iraq e in Afghanistan hanno messo a dura prova la fiducia in se stesso del Paese. La tendenza all’introversione è stata rafforzata dall’imperativo economico del taglio del debito e del deficit. Le forze armate sono tornate dalle disfatte subite a Bassora e ad Helmand con la prospettiva di riduzioni radicali nei bilanci militari. Di fronte al crescente euroscetticismo in patria Cameron accarezza l’idea di un ritiro dall’Unione europea, con gran disappunto dei suoi amici e alleati all’estero. Ma Miliband non si pronuncia sulla situazione internazionale. Gli inglesi, dice un rapporto del centro studi Chatham House, hanno ancora voglia di tenere la testa alta nel mondo, ma si dubita che possano fare una differenza decisiva.

SIR JOHN SAWERS, il diplomatico diventato capo dell’organizzazione spionistica, che ha guidato recentemente il Secret intelligence service, parla di una nazione che si ritrae dal mondo in modo più o meno simile a quanto fecero gli Stati Uniti quando si ritirarono dalla guerra del Vietnam. Mentre la Russia di Vladimir Putin marcia verso l’Ucraina, un’importante figura dell’amministrazione americana si chiede ad alta voce se il leggendario “rapporto speciale” tra Washington e Londra non stia venendo meno. A suo avviso, c’è infatti da dubitare fortemente riguardo “all’impegno e alla credibilità della Gran Bretagna come partner ancora desideroso di mantenere la pace internazionale”.

In altre circostanze, le elezioni generali fissate per il 7 maggio avrebbero potuto galvanizzare la nazione accendendo un vigoroso dibattito non solo sull’economia interna e sulla forma di governo, ma anche sul modo migliore di adattarsi a un mondo più duro e precario. Le elezioni dovrebbero offrire visioni concorrenti, prospettare scenari futuri alternativi.
David Cameron

Le campagne elettorali invece hanno finora dimostrato un profondo distacco fra una politica ormai vecchia e le aspirazioni dei cittadini che votano. Società e politica non sono più in accordo. Vernon Bogdanor, docente di scienze politiche al King College di Londra, che aveva formato il giovane David Cameron a Oxford, parla di «una crescente divergenza tra le forme costituzionali e politiche di un’epoca precedente e le realtà sociali ed economiche di oggi». Il Partito laburista ha perso i suoi membri che provenivano un tempo dalle industrie pesanti e la tessera del Partito conservatore non conferisce più un prestigio sociale alle classi medie in ascesa.

SISTEMA VECCHIO
Quest’anno ricorre l’800esimo anniversario della Magna Carta, il patto stretto fra re Giovanni d’Inghilterra e i baroni medievali che è spesso considerato come la prima pietra della democrazia britannica. Nei momenti di arroganza, gli inglesi vi diranno che lo Stato di diritto è stato un regalo della Carta non solo a “quest’isola scettrata” come la definiva Shakespeare, ma anche al mondo democratico.

Gli eventi commemorativi dovevano segnare la costanza e la stabilità delle regole e delle istituzioni sancite nella costituzione non scritta della nazione. Eppure l’immagine contemporanea è quella di un sistema politico e di una serie di norme costituzionali che non hanno superato il test della modernità. La Gran Bretagna è andata oltre i confini tradizionali della sua vita politica. Per gran parte del dopoguerra il sistema bipartitico (a volte caratterizzato dalla presenza di due partiti e mezzo) ha prodotto governi stabili monocolori.

Quando Cameron fu costretto a formare una coalizione con i liberaldemocratici di Nick Clegg, dopo le elezioni del 2010, questo fatto venne visto come una deviazione temporanea verso una politica europea multipartitica. Il tradizionale sistema bipolare inglese sarebbe ben presto riemerso. Oggi, però, la prospettiva è quella di un altro esito elettorale inconcludente e, ancor più avanti, di una vita politica caratterizzata in permanenza da governi di minoranza o coalizioni.

La tentazione è quella di considerare questa frammentazione - il partito nazionalista scozzese e i Verdi hanno fatto fronte comune con l’Ukip nel mettere in discussione l’ordine tradizionale - come un fenomeno passeggero.

Gli osservatori delle segrete cose di Westminster parlano di una reazione naturale a una congiuntura economica difficile e di una generazione di leader politici assai poco brillante. In parte hanno ragione. Il tenore di vita è diminuito. David Cameron è un primo ministro che aspira a conquistare un posto nella storia. Miliband sogna un’età mitica in cui i politici di sinistra non avevano bisogno di un compromesso con l’abietto capitalismo. I loro programmi mancano di ambizione e di ottimismo. Da parte sua, il partito di Clegg è consumato da una lotta per la sopravvivenza. I nuovi partner nelle coalizioni raramente se la cavano bene.
Ed Miliband

Ma accanto alle tendenze cicliche, sono all’opera correnti più profonde. Il sistema bipartitico sta per essere travolto da uno sconvolgimento economico e sociale. Come ha scritto Bogdanor, la Gran Bretagna non è più “la società bloccata degli anni ’50, dominata da grandi gruppi d’interesse basati sul tipo di occupazione e l’appartenenza di classe, ma sta diventando un Paese più frammentato sul piano sociale come su quello geografico”. Nel 1951 la Camera dei Comuni contava sei parlamentari che stavano al di fuori dei due partiti principali. Oggi il loro numero è salito a 85. I legami di classe si sono indeboliti e sono emerse nuove divisioni tra Scozia e Inghilterra, tra giovani e anziani e tra nord e sud.

C’è stato un tempo in cui gran parte della popolazione si era sempre divisa fra conservatori e laburusti. Secondo la Hansard Society, che effettua un controllo regolare delle tendenze politiche, solo il 30 per cento degli elettori dichiara oggi una fedeltà incrollabile a un partito. Circa il 67 per cento sostiene che i politici “non capiscono la vita quotidiana delle persone come noi”. Nel primo di una serie di quattro articoli dedicati alle elezioni, il corrispondente politico del “Financial Times”, Kiran Stacey, riferisce di una sua visita a Yarmouth, una città di quasi 50.000 abitanti nella contea del Norfolk, per analizzare l’ascesa dell’Ukip lungo la costa orientale. I conservatori sono ora un partito del sud ricco. Difficile trovare parlamentari tory a Manchester, Leeds, Birmingham o Newcastle. Fuori Londra - la capitale va in controtendenza – il Partito laburista fatica a conquistare più di una manciata di seggi nelle regioni meridionali dell’Inghilterra. I conservatori hanno lottato in Scozia per oltre una generazione. Oggi, dopo aver perso il referendum dello scorso settembre sull’indipendenza, i nazionalisti minacciano di sopravanzare i laburisti nella contesa per i seggi di Westminster.

Non molto tempo fa, il partito che vinceva le elezioni generali riscuoteva il sostegno di più 40 per cento dell’elettorato. Cameron e Miliband, che oggi lottano per perdere meno dell’altro, faticano a raggiungere il 30 per cento.

La sfida non è solo quella alla tradizionale gerarchia di Westminster. Henry Fairlie, un giornalista che esercitava questa professione negli anni ’50, coniò l’espressione “The Establishment” per descrivere il nesso fra tradizioni, istituzioni e potenti personaggi al vertice della società britannica. Il potere apparteneva ancora ai proprietari terrieri, al Tesoro e al Foreign Office, ai banchieri e agli agenti di cambio della City di Londra, alla Bbc e ai baroni della stampa, ai vescovi e ai giudici.
Un'immagine di Londra durante le Olimpiadi 2012

Le decisioni venivano prese nei salotti foderati con pannelli in legno di quercia dei club per gentiluomini di St James’s. Ci sono ancora degli angoli in cui prospera l’ancien régime. Nonostante tutti i problemi di cui molto si è parlato riguardo ad alcuni dei suoi più immediati familiari, la figura rassicurante della regina Elisabetta ha mantenuto l’affetto del suo popolo e ha sostenuto la monarchia come custode dell’unità nazionale. Per parafrasare Walter Bagehot, un famoso scrittore del XIX secolo, la sovrana non ha permesso alla luce del giorno di offuscare la magia.

Vi sono poi altre sacche di privilegio: i collaboratori incaricati di redigere il manifesto elettorale dei Tory sono quasi tutti, come David Cameron, ex-alunni di Eton, una delle più costose scuole pubbliche. Ma insieme alla potenza britannica è svanita anche l’autorità dei gruppi dirigenti. La cerchia ristretta dei compagni benestanti di Cameron fa a pugni con il resto dell’elettorato. Uno dei suoi colleghi parlamentari lo ha definito un “figlio di papà” che non ha un’idea concreta delle necessità vitali del Paese. La City è caduta in disgrazia in seguito al crack finanziario e a un susseguirsi di scandali di riciclaggio e di transazioni truffaldine. Solo questo mese, si è scoperto il coinvolgimento dell’HSBC in manovre di evasione fiscale.

Secondo un’inchiesta sulle tendenze sociali in Gran Bretagna (British Social Attitudes Survey) nel 1983 circa il 90 per cento degli elettori riteneva che le banche fossero istituti ben gestiti. Nel 2012, il livello di fiducia era sceso al 19 per cento. Per quanto riguarda il parlamento, gli inglesi hanno sempre manifestato un sano scetticismo nei confronti dei politici, che si è poi tradotto in un profondo cinismo sulla scia di una serie di scandali finanziari. Qualche giorno fa, due ex ministri degli esteri, Jack Straw e Sir Malcolm Rifkind, sono stati travolti dalla furente reazione contro gli interessi economici dei parlamentari. Sir Malcolm non si presenterà alle lezioni.


LA LEZIONE DELLE OLIMPIADI
I vescovi della chiesa d’Inghilterra stanno predicando a greggi sempre più piccoli di fedeli. Il prestigio della stampa è stato gravemente offuscato dalle rivelazioni delle intercettazioni telefoniche. Dopo una miriade di crisi economiche, il Tesoro assomiglia più a una Trabant borbottante della Germania Est che non a una vecchia Rolls-Royce. E i diplomatici del Foreign Office, una volta autorevoli esponenti del potere internazionale della Gran Bretagna, sono stati spinti dai loro padrini politici a reinventare il loro ruolo come agenti di rappresentanza della grandi imprese britanniche.

Molti diranno finalmente addio alle scandalose posizioni di privilegio che si autoalimentano. L’epoca della cieca deferenza è ormai passata. Ma la perdita più generale di fiducia nei politici e nelle istituzioni del Paese ha avuto conseguenze più sgradevoli. Come nel resto d’Europa, lascia un vuoto di legittimità, che viene riempito dagli “anti”: l’anti-élite, l’anti-Europa, l’anti-immigrazione e l’anti-capitalismo.

I populisti hanno colto gli umori dell’epoca offrendo agli elettori disincantati dei nemici piuttosto che delle risposte. Cameron e Miliband li rincorrono a destra e a sinistra. L’ascesa del nazionalismo in Scozia e il successo dell’Ukip nel promuovere una politica identitaria parlano a un’unione di nazioni che sta perdendo il collante della britannicità. Alcuni, come lo storico Linda Colley, sostengono che questo è sempre avvenuto. La Gran Bretagna è uno Stato inventato, forgiato a partire dal XVIII secolo attraverso le avventure imperiali, la diffusione del protestantesimo e l’individuazione di nemici comuni. La risposta di Bogdanor è un nuovo assetto costituzionale - una redistribuzione del potere tra e all’interno delle quattro nazioni dell’unione per affrontare le sfide dei nostri tempi.

Ha ragione. La Gran Bretagna ha bisogno di un nuovo sistema di autogoverno e di una nuova storia: una narrazione coerente che tributi il dovuto rispetto al passato, ma non ne sia più schiava. Londra 2012 ha indicato la via.

traduzione di Mario Baccianini
© The Financial Times Limited 2015