Il referendum del 23 giugno e la possibile uscita della Gran Bretagna dalla Ue fanno paura. Soprattutto ai tedeschi, per gli interessi economici in gioco e per la forte instabilità politica che si verrebbe a creare in Europa. Ma anche l’Italia dovrebbe preoccuparsi. Ecco perché

L'unica a tacere è la regina Elisabetta. Neppure durante la recente festa pubblica per i suoi 90 anni ha voluto accontentare chi le chiedeva una parola, un cenno, No Brexit o Yes Brexit. Muta e indecifrabile nel suo abito e cappello verde acido, eccentrico, tra il pop e il kitsch, non molto aristocratico.

Tutti gli altri inglesi si scaldano, litigano sull'Europa, scommettono, cercano di leggere il futuro, a partire dal premier David Cameron, che fece la promessa di convocare il referendum all'epoca della campagna elettorale per le politiche e che ora si batte per restare nell'Ue avendo contro un pezzo importante del suo partito. Il 23 giugno gli inglesi decideranno quindi anche il suo destino di inquilino a Downing street.

Gli ultimi tre sondaggi fatti dagli istituti demoscopici e pubblicati dai giornali danno in vantaggio il partito dei Leave (lasciare l'Unione europea), in due casi addirittura di sei-sette punti sui Remain (restare nell'Ue).

Intendiamoci, i cosiddetti polls non godono oltre Manica di gran fama visto che hanno sbagliato sia sul referendum scozzese, quando davano vincente l'indipendenza, sia sulle stesse politiche del 2015, quando puntavano su un testa a testa poi risoltosi in un ampio successone conservatore.

Ma tant'è. I mercati e gli operatori se li divorano, appendono in bacheca, soppesano ogni numero e manovrano gli investimenti di conseguenza. Con il risultato di far calare le Borse e la sterlina, a vantaggio di oro ed euro. Il Bund decennale, in pratica il titolo a lungo termine più simbolico tra quelli tedeschi, è compratissimo e dà addirittura rendimento negativo.

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Non è un caso se i principali protagonisti della campagna per far rimanere il Regno Unito nell'Ue siano in Germania. Confrontiamo per esempio la copertina del settimanale “Der Spiegel” e la prima pagina del “Sun”, quotidiano popolare di proprietà di Rupert Murdoch: il primo ha i colori della Union Jack e titola, in tedesco e in inglese «Non andatevene – Perchè la Germania ha bisogno dei britannici»», mentre il secondo gioca con le parole e strilla «BeLEAVE in Britain», credi nella Gran Bretagna.

La Cancelliera Angela Merkel ha sempre detto che l'interesse nazionale chiede che Londra resti nell'Unione, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schauble sostiene che sia talmente importante da minacciare quasi gli inglesi nel caso vincesse l'opzione Brexit: non pensiate di conservare qualche privilegio sul mercato interno, se si è fuori si è fuori.

Con i francesi distratti dal terrorismo in casa e dai campionati europei di calcio, gli italiani dai ballottaggi nelle grandi città e dal referendum costituzionale di ottobre, gli spagnoli da un governo che non hanno ancora, è proprio a Berlino che la tensione sale di ora in ora.

C'è una preoccupazione di tipo economico, più opportunistica, per le conseguenze che la Brexit potrebbe avere sull'interscambio commerciale (la Germania esporta in quel paese beni per circa 80 miliardi di euro, con un saldo di circa 42), sulle 2500 aziende tedesche che hanno attività in Gb dando lavoro a 370 mila persone, sulle certezze di Londra come piazza finanziaria. E c'è una reale paura per la bomba politica che potrebbe scoppiare in Europa mettendo in ulteriore difficoltà la già traballante Unione. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, drammatizza ipotizzando la «fine della civilizzazione occidentale».

Qualcuno parla di conseguenze sulla storia europea più definitive della caduta del Muro. Certo è che l'effetto domino su altri paesi, dall'Olanda all'Austria dalla Svezia alla Danimarca, pronti a imitare Londra chiamando le popolazioni a un referendum, potrebbe portare a una disintegrazione definitiva. Dandola vinta alle formazioni populiste di estrema destra, certamente antieuropee e spesso xenofobe, che in molti paesi stanno guadagnando consensi dappertutto. I

n Olanda con Geert Wilders, in Francia con Marine Le Pen, in Austria, dove a maggio il candidato di estrema destra Norbert Hofer ha perso per un soffio la corsa alla presidenza della repubblica. Tutti a rimorchio di quel Nigel Farage, leader del terzo polo britannico Ukip (gli indipendentisti), che in una recente intervista al “Corriere della Sera” ha dichiarato di voler far saltare assieme a Beppe Grillo l'Europa dominata da Berlino. I Cinquestelle e la Lega di Matteo Salvini, alleati nei prossimi ballottaggi delle amministrative, hanno sempre avuto sui temi Ue posizioni simili. Tra loro e con i gruppi dei partiti di estrema destra europei.

Quali allora le conseguenze di una Brexit sull'Italia? Va precisato, prima di tutto, che si parla di tempi parecchio lunghi. Nel caso, infatti, si dovrà aprire una trattativa tra Bruxelles e Londra che potrebbe durare, secondo il già citato presidente Tusk, fino a sette anni. In ballo ci sono parecchi quattrini. Il made in Italy, pur seguendo a parecchia distanza l'export di francesi e tedeschi, può contare su un saldo commerciale attivo di circa 12 miliardi di euro.

Secondo quanto scritto da Andrea Goldstein su lavoce.info ci sono fortissime interdipendenze tra i due paesi: 86 mila lavoratori italiani sono occupati in multinazionali britanniche, 67 mila nel senso contrario, ma le multinazionali britanniche svolgono attività particolarmente arricchenti con un contributo in termini di valore aggiunto maggiore che in termini occupazionali. E poi ci sono i tanti italiani che vivono, studiano o lavorano nel Regno Unito.

Secondo le statistiche Aire, a fine 2014 erano 210 mila, mentre a leggere il censimento inglese 2011 l'Italia conta più di 150 mila residenti, di cui 77 mila a Londra. Un numero sicuramente aumentato negli ultimi anni. Se con la Brexit venisse sospesa la libera circolazione del lavoro, puntualizza Goldstein, a rischio sarebbero soprattutto gli europei con poche qualifiche. Conseguenza pressoché certa del referendum, a prescindere dall'esito, sarà un peggioramento del welfare a favore degli stranieri. Italiani compresi. Così almeno prevedono tutti.
Nulla sarà più come prima. Il confronto-scontro sull'Europa resterà acceso e le forze anti-Bruxelles torneranno presto alla carica. Ecco perché i tedeschi, lungi dal voler egemonizzare l'Europa e convinti sostenitori di una maggiore integrazione politica che serva da contrappeso alle altre potenze planetarie (lo pensa lo stesso Schauble), temono lo sfascio e danno battaglia al fianco di Cameron.

Un tocco di speranza arriva ai sostenitori del Remain dalle scommesse, dove a Londra stanno girando tantissimi soldi. Sul sito libero Betfair, per esempio, il volume giocato sul referendum è pari a 30 milioni di sterline, vale a dire il triplo delle scommesse fatte finora su chi vincerà gli Europei di calcio. A differenza dei sondaggi citati, il sì all'Europa è in calo ma ancora in netto vantaggio, tra il 60 e il 65 per cento del totale. Il 23 giugno si capirà se gli inglesi siano più affidabili nei questionari telefonici o quando puntano le loro sterline.