Nell’assassinio del barone Livio Musco ci sono chiare evidenze mafiose, anche se è difficile individuare il singolo elemento scatenante, soprattutto a due anni di distanza dal delitto». Federico Cafiero de Raho, procuratore di Reggio Calabria, va dritto al cuore del movente.
L’omicidio del possidente di origine napoletana, avvenuto nella sua casa al centro di Gioia Tauro il 23 marzo 2013, non è un delitto d’impeto o una storia di donne. È il tassello di una strategia affaristica e militare condotta dalla più antica e potente famiglia della ’ndrangheta, i Piromalli, fra vecchi e nuovi alleati, fra rastrellamenti di terreni e investimenti prossimi venturi come la nuova Zes (Zona economica speciale) da realizzare intorno al porto. Un porto costruito in larga parte sui terreni della famiglia Musco, del barone don Mimì e di suo fratello Ettore, il generale, capo dei servizi segreti del Sifar nei primi anni Cinquanta, padre di Livio e di altri cinque figli finiti in lotta per l’eredità.
L’entrata in scena dei magistrati di Reggio segna un cambio di passo. L’omicidio Musco non è più una vicenda passionale conclusa da due spari di un’arma di piccolo calibro, come si è detto subito dopo il delitto. E non è un crimine che possa risolvere in via ordinaria la piccola Procura di Palmi, sotto organico e incaricata dell’indagine per competenza territoriale. De Raho ha affidato la nuova inchiesta a Luca Miceli. Il magistrato della Direzione distrettuale antimafia reggina (Dda) affiancherà Palmi, dopo due anni di false partenze.
Molto tempo è stato investito in accertamenti infruttuosi del Ris di Messina sulla casa del barone, in pieno centro e a pochi passi dalla stazione dei carabinieri di Gioia Tauro.
Anche dopo l’omicidio, il palazzotto dei Musco in via Valleamena è rimasto privo di sorveglianza video. Questo ha consentito di violare i sigilli dell’autorità giudiziaria e di razziare la villa il 7 maggio 2014. Difficile si trattasse di topi d’appartamento. A Gioia non accade nulla di importante senza il consenso dei Piromalli, i padroni della Piana, e il furto sa piuttosto di sfregio, come si dice da queste parti, verso le forze dell’ordine.
Il bilancio dell’inchiesta finora non contempla indagati per omicidio. In compenso ci sono stati tre arresti, tutti per motivi estranei al delitto.
Due riguardano la famiglia del morto (il fratello Pino e il figlio Edoardo, coinvolti in piccole storie di droga). Un terzo ha colpito Teodoro Mazzaferro detto Toro, 77 anni, di professione agente immobiliare e uomo di fiducia dei Piromalli. Specializzato nella trasformazione dei terreni agricoli della Piana in terreni residenziali o destinati ad attività produttive, il proprietario dell’agenzia Ital Immobiliare è stato inguaiato dal suo arsenale di armi semiautomatiche e da guerra ed è finito agli arresti domiciliari lo scorso Natale.
Mazzaferro aveva rapporti di vecchia data con Livio Musco. Gli aveva prestato soldi che il barone aveva restituito, anche se era sorto un contrasto sugli interessi. Aveva anche tentato a più riprese di acquistare la casa romana del generale Ettore ai Parioli, in via Borsi, per cinque milioni di euro.
La vendita è stata bloccata da Maria Ida Musco, la sorella più giovane di Livio. È stata lei a coinvolgere la Direzione distrettuale antimafia di Reggio nell’inchiesta. Il suo esposto, presentato a Cafiero de Raho nel novembre del 2013 e corredato dalle inchieste realizzate da “l’Espresso” sul caso del barone, indica con coraggio nomi e cognomi. Inoltre, elenca i passaggi di proprietà che, nel corso di pochi anni, hanno eroso gli sterminati possedimenti dei Musco a vantaggio di imprenditori improbabili, con la compiacenza dei politici locali pronti a modificare i piani urbanistici a beneficio della ’ndrangheta (il Comune di Gioia Tauro è stato sciolto per mafia nel 1991 e nel 2008).
Il principale fra questi capitani d’impresa è Alfonso Annunziata, 72 anni, straccivendolo di San Giuseppe Vesuviano, sbarcato sulla Piana negli anni Ottanta senza una lira in tasca e diventato il re dei centri commerciali calabresi.
Dopo una serie di acquisti di terreni iniziata nel 1992, il Centro Annunziata è stato realizzato a ridosso dello svincolo della Salerno-Reggio Calabria. La mobilitazione a favore degli enormi capannoni commerciali è stata collettiva. Per venire incontro alle esigenze dell’imprenditore vesuviano l’Anas ha assecondato la modifica del nuovo svincolo di Gioia Tauro approvando una perizia di variante del general contractor Impregilo-Condotte che ha raddoppiato i costi da due a quattro milioni di euro. Anche l’Enel si è dovuta adattare alle esigenze di Annunziata, che ha ottenuto lo spostamento dell’elettrodotto e del traliccio piazzati sui suoi terreni.
Che Annunziata fosse il prestanome dei Piromalli, che lavorasse con i loro soldi, con le loro imprese, con i fornitori autorizzati da loro, a Gioia Tauro lo sapevano anche i bambini. Eppure ci sono voluti vent’anni dopo un primo arresto a marzo del 1994, una condanna in primo grado per associazione mafiosa nel 1997 e l’assoluzione in appello nel 2000, per rimandare in carcere l’ex ambulante campano e per sequestrare il centro commerciale Annunziata nel corso dell’operazione “Bucefalo”, conclusa dalla Dda di Reggio lo scorso 12 marzo.
Le carte di “Bucefalo” ricostruiscono i passaggi di terreni dalla famiglia Musco ai prestanome dei Piromalli, spesso con prezzi molto bassi o inferiori a quelli dichiarati. L’inchiesta mostra come il porto e il centro Annunziata siano stati i due poli dell’espansione economica dei Piromalli a Gioia Tauro fino a determinare lo scontro sanguinoso con gli ex alleati del clan Molè, culminato nell’omicidio del reggente Rocco Molè, il primo febbraio 2008. Anche in questo caso, gli autori materiali del delitto sono ancora ignoti. Forse Giorgio Hugo Balestrieri, ex piduista socio di Rocco Molè e sedicente uomo della Cia al porto di Gioia Tauro, appena estradato dal Marocco, contribuirà al chiarimento del caso.
La pista degli affari resta la più accreditata, per Molè come per Musco. I progetti della Regione e dello Stato sulla valorizzazione del porto sono una prospettiva di guadagno per la cosca dominante, favorita dall’incertezza sui reali proprietari dei lotti della zona industriale.
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«Il governo», dice de Raho, «fa benissimo a procedere coi piedi di piombo sulla Zona economica speciale del porto. Non possiamo regalare altri 500 milioni di euro ai Piromalli». C’erano già loro, esattamente quarant’anni fa, ad accogliere Giulio Andreotti sceso in Calabria per benedire le aree dove lo Stato italiano avrebbe costruito uno dei maggiori terminal di transhipment del Mediterraneo.
Riprendere il filo dell’indagine sull’uccisione di Livio Musco non sarà facile e i magistrati reggini lo sanno. Ma la ’ndrangheta non avrebbe ammazzato l’anziano barone se l’ex latifondista, ormai in rovina dopo una vita di dissipazioni finanziarie, non avesse rappresentato una minaccia agli interessi economici dei clan. «Voglio parlare. Voglio raccontare tutto», è stato il messaggio di Livio al figlio Edoardo nell’ultima telefonata. Poche ore dopo, il killer è entrato in azione.
ha collaborato Alessia Candito