Piglio british, indole composta, Bersani e D'Alema come figure di riferimento: storia dell'ex capogruppo riformista alla Camera che ha rimesso il proprio mandato durante la riunione del Pd sul'Italicum
Mai una tazza di caffè, solo tè. Roberto Speranza - l’uomo cui a lungo si è guardato come ad un possibile pontiere, fra le truppe renziane e la parte del gruppo parlamentare del Partito Democratico alla Camera dei Deputati meno riottosa verso le riforme prospettate dal Governo e che si è appena dimesso dalla carica di Capogruppo dem - ha un piglio british che si manifesta in inaspettati dettagli.
Di indole composta - e lo si è visto anche nell'atto di presentare le dimissioni durante una accalorata riunione di gruppo - Speranza è stato uno studente secchione; da matricola alla Luiss “Guido Carli”, amava definirsi laburista: già allora guardava all'esperienza del riformismo britannico.
Per stile e fisicità, non è possibile immaginare figure più diverse da quella dell'ex Capogruppo Pd, nuovo leader della minoranza piddina – che per metà inglese lo è davvero: i suoi nonni vivono nel Regno Unito - e di Matteo Renzi, il Presidente del Consiglio affascinato dall'esperienza dem statunitense. Nella partita a più fronti che si gioca tra il Nazareno, Montecitorio e Chigi, i due sono stati fianco a fianco a lungo. E non a caso l'ultimo appello di Matteo Renzi, in chiusura della riunione di gruppo, è stato proprio rivolto a Speranza: «rispetto ma non condivido la scelta delle dimissioni, ci rifletta».
Appena un anno fa, Roberto Speranza era a Torino, accanto a Matteo, per l’apertura della campagna elettorale. Nel contempo - nella stessa giornata, un sabato della primavera 2014 - le figure di riferimento nella sua formazione romana, Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, erano alla convention organizzata al Teatro Ghione da Gianni Cuperlo. All'epoca tanto era bastato a confermare una battuta che circolava nel Gruppo Parlamentare: ovvero che Speranza fosse la figura destinata a guidare “la minoranza della maggioranza” – i parlamentari di area riformista integrati nel progetto di revisione costituzionale renziano – mentre Cuperlo veniva visto come il leader della “maggioranza della minoranza” – ovvero il corpus di apocalittici, bersanian-lettian-turchi, critici verso il piano di riforme governativo. Meno di 12 mesi ed i destini personali e politici sembrano capovolti: Cuperlo in secondo piano, Speranza sotto i riflettori, alla guida di una minoranza critica verso l'Italicum blindato dal Premier.
Nonostante le strappo, Speranza ha sottolineato di credere ancora nel progetto politico dem. Non è un caso: la vocazione maggioritaria, la convinzione che tenere insieme cattolici sociali e sinistra riformista sia possibilearrivano a Speranza in parte dalla terra natia: proveniente da una regione in cui il centrosinistra è forte, il giovane Roberto ha tratto questi insegnamenti da Emilio Colombo, il padre costituente verso il quale coltivava un affetto filiale. Ma la lezione gli è stata rafforzata anche dalla frequentazione con Massimo D’Alema. Dal Lìder Maximo gli arriva anche una vera e propria idiosincrasia verso la parola “minoranza”: D'Alema pure ha sempre fatto vanto del suo non essersi mai trovato in minoranza – fino al dicembre 2013. Curioso che oggi quella parola detestata serva ad identificarlo.
Così come è sembrato curioso che, all’interno del Partito Democratico, Speranza e D’Alema non si fossero più trovati sullo stesso fronte per molti mesi: ora sono dallo stesso lato della barricata, quello dei "gufi", direbbero i renziani ortodossi.
Non solo. C'è anche qualcos'altro che li accomuna: l’indiavolato tifo per l’A.S. Roma. Roberto non perde un match. I soli momenti in cui manca di aplomb sono quelli trascorsi in Tribuna Tevere.
Poi torna british e trascorre la sera leggendo le storie di Winnie Pooh ai figli sul vecchio libro che lui stesso ha letto e conservato fin da quando era bambino. E, ci si può scommettere, le avrà lette anche dopo l'infuocata assemblea piddina.