Più tasse per i ricchi, meno benefici fiscali per gli stranieri. E più equità sociale. In vista delle elezioni, il leader laburista spaventa gli imprenditori. Che temono un ritorno a Marx

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Con l’appello del leader del Partito laburista, Ed Miliband, al mondo degli affari, si è entrati nel vivo della campagna elettorale in Gran Bretagna (si vota il 7 maggio). Molti imprenditori temono che un governo Miliband, nel quale peserebbe la sinistra, avrebbe meno simpatie per il settore privato del New Labour di Tony Blair e Gordon Brown. Già il discorso del leader al congresso del Partito nel 2011 (condannava le società di private equity, definendole «predatrici» e «interessate solo al denaro facile, spogliando le imprese acquistate fino all’ultimo asset») era suonato come un campanello d’allarme.

La preoccupazione ora è acuita dalla proposta laburista di congelare i prezzi dell’energia per due anni e di limitare al 5 per cento il profitto dei privati che hanno importanti contratti con il Sistema sanitario nazionale. A cui va aggiunta la proposta di abolire i benefici fiscali per i “non doms” (non domiciled residents), cioè i circa 100 mila contribuenti generalmente stranieri che, grazie a una clausola vecchia di due secoli sono esentati dal pagare le tasse sui loro guadagni all’estero: si stima per il fisco un ricavo di 1,3 miliardi di euro.

Qualcuno ritiene che Ed Miliband provi disprezzo per il concetto di profitto, nonostante la sua rassicurazione di volere sostenere le imprese «che hanno i giusti valori e fanno le cose giuste». L’amministratore delegato di una società tra le prime cento dell’indice della Borsa londinese ha detto che «quando si confronta con il mondo dell’imprenditoria il Labour reagisce pensando solo a regolamentare. Non hanno fiducia negli imprenditori, nelle loro motivazioni, nelle loro intenzioni».
Intervista
Ma su Ed Miliband pesa l'ombra di Tony Blair
28/4/2015

Il Partito laburista sta tentando di trovare un equilibrio. Miliband, da una parte, è convinto che la crisi finanziaria abbia alterato l’idea che le persone hanno del capitalismo di libero mercato. I sondaggi, difatti, dicono che molti elettori ora diffidano più che mai anche delle grandi corporation, oltre che delle banche. La proposta laburista di congelare i prezzi dell’energia e altri interventi che toccherebbero, per esempio, la privatizzazione delle ferrovie, hanno avuto un’eco positiva tra gli elettori. Il Partito, però, tiene ai rapporti con il mondo imprenditoriale e li vuole mantenere.

La diffidenza verso l’attuale leadership non si manifesta solo fuori dal partito. Le politiche articolate da Miliband e messe a punto da Stewart Wood, ex professore universitario e membro del gabinetto ombra laburista, terrorizzano molti nell’ala destra del partito. «Non sanno che cosa sia il mercato, la visione che ne hanno si riduce a un meccanismo che consente di trarre vantaggi illeciti aumentando i prezzi e succhiando il sangue ai consumatori», dice un ex ministro laburista. «Parlano di un capitalismo che dev’essere riformato, ma quello che intendono è solo tollerarlo nel migliore dei casi o controllarlo nel peggiore».

I DUBBI DENTRO IL PARTITO
Tra i timori dei critici di Miliband e le politiche che il Labour propone nel suo manifesto elettorale, tuttavia, ce ne corre. Sebbene alcuni leader laburisti appaiano più interventisti di quelli dell’ultimo governo Labour prima dell’avvento di Cameron (per esempio, in materia di regolamentazione bancaria e di norme per evitare le acquisizioni ostili che vanno, a loro avviso, contro l’interesse pubblico) le loro posizioni sono ben lontane dalla “strategia economica alternativa” socialista che la sinistra laburista promuoveva agli inizi degli anni ’80. Anzi, Lord Wood cita come fonti ispiratrice delle sue politiche un leader della destra del partito, Harold Wilson, il cui governo nel 1964 si pose come obiettivo rafforzare la politica industriale di «una nuova Bretagna» sulla potente scia della rivoluzione scientifica. «Non possiamo dire alle imprese che non faremo cambiamenti perché questo non è vero», dice Wood, «ma il nostro non è un tentativo di prendercela con loro, di fare man bassa della loro ricchezza. Vogliamo invece un’economia basata su salari alti in cambio di alta specializzazione».

Ed Balls, il cancelliere ombra, ricordando la bassa produttività e la crescente insicurezza tra i lavoratori delle fasce salariali più basse, precisa che il Labour vuole che «i mercati restino aperti e dinamici e considera che alcuni aspetti delle politiche industriali possono essere modificati senza contrastare questo obiettivo». Per taluni, ciò che preoccupa sono i toni retorici e la postura che deve assumere per motivi elettorali il leader laburista. «Stimo molto Ed Balls», spiega Simon Walker, direttore generale dell’Institute of Directors, «ma penso che le persone siano spaventate dall’approccio teorico e dalle idee dottrinarie di Miliband e Wood. A Miliband quel mondo non interessa molto e non ne ha un vero rapporto».

Ed è qui che emergono le tensioni interne. Miliband e Wood vorrebbero rompere con il passato, allontanandosi in maniera decisa dal New Labour, mentre Balls e altri, tra cui Chuka Umunna, segretario ombra per l’Industria, e Liam Byrne, ministro ombra per la Scienza, pongono l’enfasi sulla continuità, vogliono rassicurare il mondo imprenditoriale e mitigare le ostilità. «“Produttori contro predatori” è stato un modo infelice di esprimersi. Se si cominciano a classificare le persone in buone o cattive, si è sbagliata la strada», dice un consulente.
Quel discorso del 2011 non fu un incidente. Richiamava invece la scuola di pensiero dominante trent’anni fa quando i laburisti tentarono di serrare le fila dietro l’allora leader Neil Kinnock. Correva il 1983 e Michael Foot, il più dichiaratamente socialista di tutti i leader laburisti della postguerra, aveva subito una pesante sconfitta elettorale da parte di Margaret Thatcher. La disoccupazione era alta e le relazioni industriali tese, basti ricordare lo sciopero dei minatori tra il 1984-85. Fu allora che i laburisti cominciarono a guardare con interesse l’economia tedesca, vista come più produttiva e armoniosa.

VIVA IL MODELLO TEDESCO
La conclusione dei laburisti fu che nel Regno Unito agivano come una zavorra la tendenza a ragionare al breve termine, la pesante influenza del cuore finanziario londinese sull’economia, la mancanza di cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori, la carente formazione degli ultimi e una bassa produttività industriale. L’unica formula vincente pareva essere quella continentale, in particolare quella tedesca, dove, oltre la presenza di rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione aziendali, le casse di risparmio locali e le banche regionali garantivano alle piccole imprese finanziamenti a lungo termine. La nota frase di Miliband per la quale non ci vuole «l’ingegneria finanziaria bensì quella reale» riflette questa tradizione

«Penso che il modello europeo piaccia loro molto. Vedo che Stewart Wood ne prende tutto quello che può, anche se sa bene che alcune cose non sono trasferibili», dice Mark Wickham-Jones, professore alla Bristol University ed esperto delle politiche del lavoro laburiste nella dopoguerra. Il primo incontro di Miliband con Wood avvenne a Berlino, in occasione di una sua visita al professor David Soskice, amico e mentore. Soskice ha studiato le differenze tra l’economia di mercato liberale del Regno Unito e le economie di mercato coordinate europee, tra cui la tedesca. Wood, che ha scritto un capitolo sui differenti tipi di capitalismo in un libro curato con Peter Hall nel 2001, ora è scettico sulla bontà del modello tedesco per il Regno Unito, che dovrebbe invece, dice, fare riferimento agli Usa e ad altri Paesi quali la Danimarca. La strada da loro imboccata si è dimostrata molto efficace nel rafforzare i cluster di settori ad alto valore attorno alla ricerca e le università, come ha fatto la Silicon Valley attorno a Stanford.

«Provo molto rispetto e ammirazione per Miliband, ma il sistema tedesco è differente dal nostro. Noi assomigliamo molto di più agli Usa e questa è la direzione che dovremmo prendere», dice Soskice. Secondo Wood, il Regno Unito dovrebbe adottare una «strategia a binari paralleli»: applicare la lezione tedesca in certi settori come l’ingegneristica e l’approccio dei cluster ad alto valore in altri. Il modello tedesco non è la principale causa di preoccupazione per gli imprenditori. Anche la fermezza di Miliband nel volere che il Regno Unito resti membro della Ue e il rifiuto di un referendum “o fuori o dentro” sono posizioni apprezzate tra i business leader. La classe imprenditoriale si allarma di più quando Miliband parla di «riparare e riformare mercati malfunzionanti». C’è chi teme che Miliband voglia più concorrenza in settori come quello bancario e quello energetico solo a parole, mentre in realtà vuole fissare i prezzi e mettere dei paletti ai profitti per guadagnarsi la simpatia dei consumatori.

L’OPPOSTO DELLA THATCHER
Stewart Wood contesta ciò ricordando che «il congelamento del prezzo di mercato dell’energia non è una politica a se stante, ma solo un passo intermedio» nel processo di riforma del settore. In quello bancario, il Labour si è finora concentrato sulla creazione di nuove banche nel comparto retail che sfidino quelle esistenti. «In nessuno di questi casi lo Stato deve sostituirsi al mercato. Sono consapevole che spesso la percezione sia diversa, ma la nostra filosofia mira a intensificare la concorrenza», spiega. In altri settori già sufficientemente concorrenziali, come la vendita al dettaglio, questi interventi non saranno necessari.

Wood non fa segreto, tuttavia, della sua visione di un governo laburista che cambi il quadro economico e il lato dell’offerta dell’economia in una scala simile alle riforme intraprese da Margaret Thatcher nei suoi vari governi negli anni ’80, ma nella direzione opposta. È questa sua ambizione a preoccupare le imprese e parte della stessa leadership laburista. «Dire: “facciamo una rivoluzione, cambiamo tutto”, fa sospettare gli imprenditori che non la stiamo raccontando tutta, anche se non è così», dice un ministro ombra.

L’AGENDA PER LE IMPRESE
Molte delle proposte del Labour mettono l’accento sui cambiamenti necessari sul lato dell’offerta: come cambiare il mercato del lavoro, l’istruzione, la formazione professionale e il quadro finanziario. E sull’importanza di una maggiore concorrenza. Per le fasce più basse, l’idea è di aumentare il salario minimo a 10,85 euro l’ora entro il 2020 dagli attuali 8,82 e incoraggiare i datori di lavoro a pagare un salario di sussistenza. Un altro obiettivo è evitare i contratti “da sfruttamento” del precariato. Sul tema formazione, il Labour vorrebbe garantire studio dell’inglese e della matematica a tutti fino ai diciotto anni e introdurre una maturità tecnica. Inoltre, vorrebbe che le società private assegnatarie di appalti statali importanti (tra cui i progetti infrastrutturali) fornissero opportunità di apprendistato.

Il gruppo di studio per le piccole imprese, prevede di abbassare e congelare le tasse locali e, per stimolare il credito, oltre a una Banca per gli investimenti, una nuova rete di banche locali, le Sparks, sul modello delle tedesche casse di risparmio. L’obiettivo di una maggiore concorrenza è una delle proposte più controverse del partito, perché Miliband ha promesso di congelare i prezzi dell’energia fino al 2017. Il Labour, in sostanza, vuole estendere le politiche industriali a tutta l’economia, inclusi i servizi. «Vogliamo garantire i lavori del futuro», dicono i laburisti, «rafforzando i settori nei quali il Paese ha un vantaggio competitivo».

traduzione di Guiomar Parada
© 2015, ?The Financial Times