In questi giorni circolano voci allarmistiche sul futuro di un settore molto importante per l'agroalimentare italiano. Ma la realtà è molto diversa e più tranquillizzante. Ecco perché
La Ue sta davvero mettendo in pericolo i celebri formaggi italiani venduti in tutto il mondo? Gli euroburocrati ci stanno condannando a mangiare formaggio senza latte? In questi giorni circolano voci allarmistiche sul futuro di un settore molto importante per l'agroalimentare italiano. Coldiretti, che nei giorni scorsi ha organizzato un sit-in di protesta davanti a Montecitorio, delinea scenari apocalittici parlando di “chiusura delle stalle, perdita di posti di lavoro, omologazione e appiattimento qualitativo della produzione nazionale”.
[[ge:rep-locali:espresso:285586112]]Online è partita una
petizione contro questa materia prima, che viene definita un “prodotto morto” che “sostuirebbe il latte fresco”. Al di là delle campagne di lobby la realtà è diversa e, per fortuna, molto più tranquilizzante per i consumatori italiani. Proviamo a fare ordine.
Cosa sta succedendo. Il 28 maggio 2015 la Commissione europea ha chiesto all'Italia di cambiare una legge, la
138 del 1974. Una legge che vieta categoricamente di produrre latte o formaggi utilizzando, anche solo in parte, il latte in polvere. Secondo la Ue (che su questo tema ha aperto una procedura di infrazione nei nostri confronti, ancora nella fase della messa in mora), la 138 violerebbe la libera circolazione delle merci. In pratica dobbiamo adeguarci agli altri Paesi europei, che già permettono alle proprie industrie alimentari di utilizzare il latte in polvere in aggiunta a quello “vero”, cioè quello liquido.
Il formaggio senza latte non esiste. Uno dei rischi sbandierati in questi giorni è l'arrivo sul mercato di formaggi “senza latte”, laddove per latte si intende quello fresco. “Il latte in polvere e altri derivati anidri del latte vengono utilizzati all'estero, a livello industriale, per produrre formaggi molli e in percentuali molto basse in rapporto al latte fresco”, spiega Andrea Galli, direttore del Centro di ricerca per le produzioni foraggere e lattiero-casearie del Crea. “In teoria – continua Galli – si potrebbe fare un formaggio usando esclusivamente polvere di latte, ma in pratica nessuno lo fa perché non avrebbe senso: bisognerebbe ripensare completamente il processo produttivo”. A fronte di vantaggi marginali.
Il “nemico” è dentro casa. Da anni. Attenzione, però: trattandosi di una legge italiana, il divieto vale solo per latte e formaggi fatti in Italia. Già da diversi anni consumiamo formaggi e yogurt esteri prodotti (in parte) con latte in polvere. E lo facciamo senza neanche saperlo visto che non è obbligatorio indicarlo in etichetta. L'Unione Europea, inoltre, non intende (e non potrebbe neanche) costringerci a utilizzare il latte in polvere per i nostri formaggi. Chi vorrà continuare a trattare esclusivamente latte fresco, sarà libero di farlo. La polvere di latte, inoltre, è già consentita per la produzione di formaggi fusi made in Italy.
Spariranno i nostri formaggi tipici? No, i nostri formaggi tipici non spariranno. Un'altra informazione molto importante per il consumatore è che le nostre eccellenze, ovvero i formaggi a marchio Dop, Igp e Stg (la mozzarella di bufala) continueranno a essere prodotti esclusivamente con latte fresco anche se l'Italia dovesse adeguarsi al diktat europeo.
Parliamo di Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Caciocavallo silano, Taleggio, Gorgonzola e tanti altri formaggi eccezionali e noti in tutto il mondo. Per produrre questi alimenti bisogna infatti attenersi a un rigido disciplinare di produzione: una serie di regole che stabiliscono ingredienti, metodo di lavorazione e di conservazione. Chi vende un prodotto a marchio Igp, Dop o Stg ignorando il disciplinare compie una frode in commercio.
Latte in polvere = minor qualità? “Quello in polvere è normalissimo latte, solo che è stato disitratato: non c'è alcun rischio alimentare” spiega Marco Silano, direttore del reparto alimentazione e nutrizione dell'Istituto superiore di sanità. Il vantaggio del latte in polvere è che si può conservare molto più a lungo: è l'acqua infatti che rende un prodotto più attaccabile dai batteri. “Non a caso le varie tecniche di conservazione, come il sottovuoto, la surgelazione, ma anche il sott'olio e sott'aceto, hanno lo scopo principale di minimizzare la presenza dell'acqua” continua Silano.
Dal punto di vista nutrizionale, qualche differenza c'è, anche se minima. “La quantità di grassi, proteine e zuccheri è la stessa- spiega Silano – ma è vero che il processo di disitratazione potrebbe modificare la struttura delle proteine e vitamine”.
Del resto, è quello che succede anche con il latte Uht, sottoposto a temperature più elevate rispetto al latte pastorizzato. “Maggiore è la temperatura cui viene sottoposto il latte – dice Galli – più si impoverisce la frazione proteica e minerale. Questo però non implica alcun problema di sicurezza alimentare”.
Oltre ai tempi di conservazione, il latte in polvere ha un altro vantaggio: il produttore può decidere se diluirlo in più o meno acqua, “aggiustando” la cremosità di formaggi e latticini e la quantità di proteine e grassi. Perché se è vero che tutti i nutrienti del latte fresco rimangono anche in quello polverizzato, queste sostanze sono però più concentrate. Ecco perché le aziende del settore lo difendono a spada tratta. “Nei processi industriali è importante che il latte utilizzato per fare il formaggio sia il più possibile uniforme – continua il direttore del Crea-Flc – e la polvere di latte viene aggiunta proprio per questo, per standardizzarne le caratteristiche chimiche, soprattutto il rapporto grasso/proteine, con conseguente maggiore costanza dei processi tecnologici e delle rese di caseificazione”.
Una guerra di posizione. Intanto, che l'Italia si adegui è ancora tutto da vedere. Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha già annunciato di voler difendere “fino in fondo la qualità del sistema lattiero caseario italiano e la trasparenza delle informazioni da dare ai consumatori”. “Ribadiremo alla Commissione europea la necessità di un intervento più approfondito sull'etichettatura del latte” ha continuato il ministro, facendo intendere che l'Italia si batterà perché l'indicazione del latte in polvere diventi obbligatoria in etichetta. Molto deciso anche Michele Bordo, il presidente della commissione Politiche Europee alla Camera, secondo il quale “la qualità e l'eccellenza dei prodotti caseari italiani sono riconosciute in tutto il mondo e non possono certo essere messe in discussione in nome della libera circolazione delle merci. Per questo – ha concluso Bordo - ci opporremo a eventuali iniziative di adeguamento dell'ordinamento nazionale alle contestazioni mosse dall'Europa all'Italia”.
Insomma, sul latte in polvere l'Italia si prepara alla controffensiva. Nel frattempo, però, si muove anche la comunità scientifica. Il Crea-Flc ha presentato un progetto di ricerca per studiare le differenze tra i formaggi molli “100% a latte fresco” e quelli fatti usando anche latte in polvere. Sia in termini nutrizionali, sia a livello di percezione e gusto.