Secondo l'economista americano l'affermazione dell’economia di scambio è un evento di portata storica. E sostituirà i due sistemi nati nel Diciannovesimo secolo, cioè capitalismo e socialismo

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La sharing economy è la terza rivoluzione industriale. Parola di Jeremy Rifkin, economista visionario il cui percorso intellettuale è cominciato negli anni Novanta dello scorso secolo con un saggio che teorizzava la fine del lavoro come si era affermato dal Diciannovesimo Secolo, per arrivare oggi a scandire le basi teoriche esposte nel suo ultimo lavoro, “La società a costo marginale zero” (Mondadori). Secondo Rifkin la sharing economy è figlia naturale del capitalismo come lo vediamo funzionare ancora oggi tutti i giorni e questo sistema dovrà per forza di cose trovare un modo di coabitare con l’economia dello scambio dove non conta più il possesso dei beni e dei servizi ma la possibilità di scambiarne l’uso e alla fine esisterà un ibrido in cui le due forme saranno costrette a convivere e ad avere relazioni stabili.

In questo colloquio con “l’Espresso”, Rifkin racconta l’affermarsi dell’economia dello scambio in tutto il pianeta e le ragioni che ne stanno alla base. Spiega come e perché i governi mondiali inseguono a fatica questo fenomeno non essendo in grado di condizionarne lo sviluppo. E disegna i possibili scenari del futuro prossimo venturo.

Jeremy Rifkin, La sharing economy è un fenomeno mondiale o il suo sviluppo è ancora limitato all’ occidente?
«È universale, come si può leggere in uno studio condotto dalla Nielsen in oltre 40 nazioni dove sono state fatte ricerche attraverso centinaia di interviste sulla propensione a scambiarsi la casa piuttosto che la macchina rispetto al desiderio di possedere questi beni. Oggi, la sharing economy è un fenomeno affermato negli Stati Uniti e in Europa, ma la grande sorpresa che viene dallo studio Nielsen è l’entusiasmo che si coglie nei paesi dell’Asia e del Pacifico. Al primo posto con il 93 per cento di approccio favorevole verso l’economia dello scambio è la Cina».

Come lo spiega?
«Quello che pensavamo solo poco tempo fa, ovvero che i cinesi fossero più interessati a seguire il modello tradizionale della rivoluzione industriale del Ventesimo secolo che pone al centro delle relazioni umane l’acquisto e la vendita di beni all’interno di un mercato capitalista tradizionale, si è rivelato non del tutto esatto. Non intendono certo abbandonare quel modello ma lo scenario della sharing economy suscita grandissimo interesse. Credo che la ragione sia nel dna culturale degli asiatici che li vede predisposti, anche per ragioni religiose legate al confucianesimo e al buddhismo, all’economia dello scambio. Loro sono molto meno individualisti degli occidentali e più propensi a legarsi ai valori collettivi che si creano all’interno delle loro comunità».

Che tipo di relazione esiste oggi tra la nascente sharing economy e il sistema capitalistico tradizionale che mette al centro la produzione e il possesso dei beni?
«Il capitalismo è il padre naturale dell’economia dello scambio, la quale è in fase di sviluppo e di crescita, ma è ancora giovane e immatura. Ma è assolutamente chiaro che l’economia dello scambio, oltre ad essere un evento storico di enorme portata, è il primo nuovo sistema economico in crescita in tutto il mondo che viene dopo i due sistemi che abbiamo visto prendere forma nel Diciannovesimo secolo, il capitalismo e il socialismo. Adesso assisteremo all’emergere di un sistema ibrido nel quale dovranno convivere l’economia capitalista fondata sul mercato e la sharing economy e che possiamo considerare la Terza Rivoluzione Industriale. E il capitalismo dovrà consentire alla neonata economia dello scambio di crescere e di trovare la sua identità in questo mondo. Ma come accade in ogni famiglia, in ogni relazione padre-figlio, quest’ultimo riuscirà a cambiare il genitore e questo vuol dire che il capitalismo come lo conosciamo oggi dovrà necessariamente modificarsi per convivere con la sharing economy e non sarà più l’arbitro esclusivo della vita economica di milioni di persone, perché dovrà dividere con il figlio il palcoscenico del mondo. Infine, man mano che le nuove tecnologie, internet, le piattaforme digitali si svilupperanno e consentiranno all’economia di scambio di ridurre quasi a zero i costi marginali, l’economia dello scambio crescerà sempre di più ed avrà un rapporto paritario con il suo padre naturale».

Così è stato sufficiente un sistema che riducesse quasi a zero i costi marginali per dare il via a un cambiamento che rischia di mettere in crisi il capitalismo?
«Esatto. Prenda per esempio Airbnb, la società che mette in contatto milioni di persone per lo scambio di una casa o la ricerca di una stanza. Per loro aggiungere un appartamento o un nuovo utente che vuole condividere la sua casa ha un costo marginale vicino allo zero. Per una grande società alberghiera aggiungere una stanza significa mettere in conto costi di acquisto del terreno, di costruzione di un nuovo albergo, di tasse sulla proprietà, di ulteriori spese di manutenzione. Lo stesso vale per la condivisione di una automobile, di una barca, perfino di un servizio. La rivoluzione sta tutta qui. E se a questo si aggiungono le piattaforme digitali e lo sviluppo che ci sarà, l’accesso all’economia di scambio sarà sempre più facile e alla portata di più persone».

I governi e le leadership di Stati Uniti, Europa ed Asia sono spettatori passivi dell’affermarsi della sharing economy o sono protagonisti di questo cambiamento?
«Il fenomeno si muove e si afferma a una velocità così grande che i governi sono molto indietro nel dibattito sul modo di interagire con l’economia dello scambio. Ci sono questioni che attengono alle regole che devono esserci quando si vuole scambiare una automobile o una casa. Quali debbano essere le linee guida generali di questo nuovo mondo è tutto da discutere e i governi non sono in prima fila, ma inseguono con fatica i cambiamenti. Del resto la prima rivoluzione industriale portò a un grande scontro politico, fece nascere nuove entità come la sovranità nazionale o i mercati nazionali e tutto questo avvenne a piccoli passi. Adesso si sta affermando una nuova categoria che sostituisce i consumatori classici che comprano e vendono beni e servizi. Sono coloro che cedono o usano per un limitato periodo di tempo beni e servizi senza possederli - case, automobili, musica, video, notizie - e così facendo saltano il mercato come lo conosciamo e le sue regole. È ovvio che ce ne vogliono di nuove, ma sarà molto difficile pensarle a tavolino con il rischio di difendere soltanto la status quo, senza considerare come il fenomeno crescerà e si svilupperà».

Se l’affermarsi dell’economia dello scambio porta con sé la riduzione dei costi marginali fin quasi a zero, dovremo affrontare di conseguenza una diminuzione della produzione mondiale e del prodotto interno lordo dei rispettivi Paesi. Non c’è il rischio che il mondo smetta di crescere e si apra una strada che non sappiamo dove ci porterà?
«È chiaro che il Pil mondiale cambierà e ci sarà un drammatico impatto sull’occupazione. Però, quando diciamo che i costi marginali tendono allo zero, questo non significa che saranno uguali a zero, ma che saranno molto molto bassi. Il Pil mondiale è in ogni caso in decrescita e le ragioni sono molte e non legate alla nascita della sharing economy: c’è l’uno per cento del mondo in conflitto con il restante 99 per cento, ci sono modifiche strutturali dell’economia, la produttività è in discesa ovunque, la piattaforma della Seconda Rivoluzione Industriale si sta esaurendo mentre si afferma un nuovo mondo al centro del quale ci sono le piattaforme digitali - e questa la possiamo considerare la Terza Rivoluzione Industriale - dove uomini e donne producono e consumano tra di loro a un costo marginale vicino allo zero, dove non conta il prodotto interno lordo, ma dove aumenta il benessere economico, la qualità della vita, la democratizzazione del sistema economico in generale perché gli sforzi saranno concentrati, e così la nuova occupazione, per rendere accessibili a tutti le piattaforme della sharing economy, l’automazione, le grandi reti del traffico digitale e delle energie alternative».