Esistono ancora confini netti tra identità sessuali? La società li mette in discussione. La lingua tenta di definirli, cinema e televisione di raccontarli. Una nuova frontiera per i diritti civili

Benvenuti nell’era della Transizione. Dall’analogico al digitale. Dal materiale all’immateriale. Dal maschile al femminile e viceversa. Non che cambiare sesso sia una passeggiata: è un percorso complicato, sofferto, ma il sistema comincia a non considerarlo scandaloso. Un esempio? Alcune aziende americane (Goldman Sachs, Banca d’America, Wachovia, Deutsche Bank, Microsoft, General Motors) hanno messo nel pacchetto dei benefit parte delle spese necessarie a compierlo. E del mondo trans, oggi, si comincia a parlare in modo diverso.

Il fenomeno è già evidente nelle fiction televisive. La serie “Transparent”, unione dei termini trans e parent (genitore), premiata con due Golden Globe, racconta come Mort Pfefferman, 68 anni, professore divorziato, con tre egoistissimi figli, decida di diventare Maura: perché si è sempre sentito Maura, anche da sposato, e Maura “la” portava a spasso di nascosto in incontri per cross dresser. Jeffrey Tambor, il protagonista, anima tenera e straziata di Mort, rappresenta il bisogno di normalizzazione che emerge dal dibattito pubblico GLBTQ soprattutto negli Usa. La Q, nell’acronimo che raccoglie Gay Lesbiche Bisex e Trans, sta per “queer”: termine politico, usato da chi rifiuta identità e categorie per l’orientamento sessuale. “LGBTQIA” aggiunge Q per Questioning (“mettere in discussione”), I per Intersex e A per Asexual. Stiamo passando insomma dalla semplificazione “maschio-femmina” alla complicazione della varietà.

«Siamo al punto zero. Da qui in poi l’identità sarà più personale che sociale», è l’opinione di Patricia Gerovici, esperta di transessualità e autrice del saggio “Please, Select Tour Gender”. Conseguenze? «L’inevitabile crisi dell’equilibrio costruito su certezze assolute, doveri, divieti, confini. L’implosione mi sembra vicina». Su “Time” che le ha dedicato una copertina, Laverne Cox, l’attrice trans rivelata dalla serie tv “Orange is the new black”, ipotizza una nuova frontiera dei diritti civili: «La battaglia per le persone omosessuali, trans, bisex, queer deve diventare battaglia contro ogni forma di discriminazione, non solo basata su genere e orientamento sessuale, anche sociale ed etnica. La biologia non è destino».
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Ma che consistenza ha realmente il fenomeno? Il dato più citato in America (Ucla’s Williams Institute) stima circa 700mila trans ma molti lo giudicano basso. Tra loro, dicono le statistiche, 9 su 10 sono discriminati e il 41 per cento ha tentato il suicidio; il 90 per cento degli americani conosce un gay o una lesbica, però solo l’8 per cento può dire lo stesso di un trans. Ma il fatto che Obama abbia parlato di transgender nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, che il matrimonio omosessuale sia appena diventato legale, che nella più pop delle soap, “Beautiful”, ci sia una parte per Scott Turner Schofield (che 11 anni fa era Katie Laureen Kilborn) è il segno di un cambiamento impetuoso. Di una rumorosa minoranza che finalmente riesce a imporsi. Così ai pionieri dell’era trans per la prima volta si riconoscono coraggio e dignità: e l’attore Eddie Redmayne, premiato con l’Oscar per “La teoria del tutto”, ha accettato il ruolo di Lili Elbe, nata maschio nel 1882 col nome di Mogens Einar Wegener e aiutata dalla moglie Gerde a diventare donna (prima trans su cui ci sia documentazione). Titolo del film, in sala nel 2016, “The Danish Girl”.

Un uomo, una donna
Mort-Maura (personaggio di “Transparent”) è fiction, ma la sua biografia somiglia a quella di Bruce Jenner, ex atleta, medaglia d’oro di decathlon alle Olimpiadi del ’76, per 22 anni sposato con Kris Houghton (vedova Kardashian, mamma di Kim). Dopo il divorzio (nel 2013) si è affidato a Renée Richard, “sex change coach”, e sono cominciate le operazioni: il pomo d’Adamo è sparito; le labbra hanno una nuova forma. Adesso Bruce si chiama Caytlin, nome che ha sempre amato. Una vicenda privatissima? Per niente, ha avuto la cover di Vanity fair Usa. Lei ha firmato un contratto da 5 milioni di dollari con “E! Entertainment” per il reality “I’m Cate” in cui racconta la sua metamorfosi (nel promo si trucca in accappatoio davanti allo specchio). Dibattito variegato tra i figli: i maggiori Burt e Cassandra approvano, Brandon e Brody meno, Kendall e Kylie cercano di capire. «Hai un aspetto diverso, ma non vuol dire che sei meno padre», gli ha scritto Kendall. Imperturbabile l’anziana mamma dell’ex campione, Esther: «Amo mio figlio, non importa com’è». Alla fine, foto di famiglia tutti insieme per la festa del papà.

In “Transparent” il corpo di Maura entra raramente nei discorsi. Il tema è piuttosto quello della percezione del tempo: il rapporto tra l’età e il desiderio. Ormai anziano, Mort può “riconoscersi”: nessuno ha più bisogno di lui, e invece di essere una sconfitta questa è una liberazione. Quasi una nuova versione di “Va dove ti porta il cuore”, che trova espressione anche nel commercial di Magnum Algida che spopola in rete. Lo slogan è “Be true to your pleasure”, cioè “Siate fedeli al vostro piacere”: le protagoniste sono l’incarnazione dell’ambiguità (e forse di molti desideri repressi). La bionda supertruccata è Willam Belli, attore e drag queen di una certa fama grazie al ruolo della trans Cherry Peck nella serie tv “Nip/Tuck”. Le due brune si chiamano in realtà James e Gregory e in un video spiegano come ritengano superate le questioni di genere.

Un po’ di confusione si crea comunque, come nel film di François Ozon “Una nuova amica”: qui Claire si innamora di un vedovo che, dopo la morte della moglie, ne indossa i vestiti e la parrucca. Provocatoria la dichiarazione di Ozon: «Spero che tutti gli uomini corrano fuori dal cinema a comprare calze di nylon, trucco e vestiti, e non per le mogli». “Una nuova amica” è stato giudicato da Goffredo Fofi l’aggiornamento di una tradizione culturale molto francese (che va da Sade a Laclos, da Bataille a Breton) «un modo di affermare i diritti del desiderio, quali che siano».

Coppie mutanti
La prima a mettere in discussione le barriere di genere è però probabilmente stata la moda, che molto ha contribuito a far emergere identità di confine. Lea T., ex assistente di Riccardo Tisci (Givenchy) mandata a sfilare con le top Mariacarla Boscono e Joan Smalls, nel 2011 si chiamava Leonardo: figlio del calciatore brasiliano Toninho Cerezo, ad alcuni ricorda Sonia Braga da giovane. Lea, che si è fatta operare, ha definito l’intervento «dolorosissimo, violento». Meglio sarebbe, ha spiegato, accettare il proprio corpo così com’è: «Un pene o una vagina, è la stessa cosa: l’ importante è essere belle persone». Invece per Andrej Pejic, ormai Andreja, una stupefacente bionda dai tratti delicati e bocca alla Brigitte Bardot, alta 1,88, l’obiettivo di diventare donna al cento per cento era irrinunciabile. Ha raccontato di essersi sempre sentito una bambina, di aver aspettato la pubertà con terrore, di aver fatto iniezioni ormonali, di nascosto all’inizio, poi con la benedizione della madre.

L’operazione è dell’anno scorso, il termine tecnico è “chirurgia confermativa di genere”, che rimpiazza il vecchio “sex reassignment surgery” (in questa materia delicata è delicato anche l’uso delle parole). Non c’è niente di maschile in lei, ma questa sua grazia è il prodotto di un atto di volontà, di uno sforzo estremo. Con prevedibile cinismo, in molti le avevano sconsigliato l’intervento. Motivazione: «Così come sei, sei unica. Dopo sarai soltanto una ragazza carina come tante». Andreja, acuta, sostiene che questo input commerciale è in realtà intriso di conformismo: «Un androgino è tollerabile, una trans no». È andata avanti comunque e ora, a 23 anni, è la prima transgender ambasciatrice di un’importante azienda cosmetica, la Redken.

Martine Rothblatt, Ceo donna più pagata d’America (38 milioni di dollari) era un uomo: ebreo osservante, sposato e padre di quattro figli. Oggi parla di “apartheid del sesso”, interpreta il termine trans nel senso di “transcends” o “transhumanist”, «avanguardia di un futuro in cui la tecnologia ci libererà dai limiti della biologia». «Non esiste alcuna caratteristica socialmente significativa che definisca l’umanità in due gruppi assoluti, uomini e donne», sostiene: «Al mondo ci sono cinque miliardi di persone e cinque miliardi di irripetibili identità sessuali. Rispetto al ruolo che ciascuno di noi ricopre, i genitali sono irrilevanti quanto il colore della pelle. La divisione legale in maschi e femmine non è meno sbagliata della divisione in neri e bianchi».

Bina Aspen, che di Martine è la moglie, non se n’è andata, anzi con un gioco di parole si dichiara “martinesexual”. Una felice coppia gay, ma è stata dura. I figli, che ricordano con orrore gli anni della transizione e le domande imbarazzanti che si sono sentiti rivolgere a scuola, gli hanno chiesto: «Se è vero che i genitali non ti definiscono, perché tanta fatica per diventare donna, mettendo la gente che ti ama in una situazione di grande dolore?».

Non c’è risposta, ci sono le vite. E una considerazione: perché proprio chi combatte la “gabbia” del genere fa in realtà di tutto per definirsi? Risposta di Olivia Chaumont, che si è raccontata nell’autobiografia “D’un corps à l’autre”: «Perché esiste la possibilità di essere ciò che sentiamo di essere».

Erma Castriota, in arte H.e.r., cantante-violinista che ha ispirato il romanzo di Teresa De Sio “L’attentissima” (Einaudi), ha iniziato la sua transizione dal maschile al femminile nel 2003 e tre anni dopo l’aveva completata senza ripensamenti. Arianna F., prima manager trans italiana (lavora all’Ibm) era un uomo, un padre. «C’era questa cosa a latere, da quando avevo 12-13 anni. Provavo a soffocarla, ma è diventata sempre più invasiva». Adesso è una divorziata, i due figli la chiamano “Papo” e le hanno dato il “permesso” di forare i lobi per mettere gli orecchini. Alessandro Bernaroli, diventato Alessandra, ha fatto ricorso in Cassazione per restare sposata con la moglie («Ci amiamo») e gli è stata data ragione. Secondo la Consulta, il matrimonio di una coppia etero resta valido anche se nel frattempo uno dei due ha cambiato sesso. L’Arci gay ha parlato di «sentenza storica».

In Italia esistono ancora pochissimi dati ufficiali sul popolo trans. Più che altro stime: si parte dalle diagnosi di “disforia di genere” (circa 50 mila, un caso ogni 12 mila maschi, uno su 30 mila femmine, secondo l’epidemiologo Fabio Barbone) , ma non tutte portano a un percorso completo di transizione. Perciò, a seconda delle fonti (FreeWoman, Movimento Identità Transessuale, Associazione TransGenere) le cifre oscillano tra 20 e 40 mila, senza contare il sommerso. Il numero di interventi, un centinaio l’anno, con un centro d’eccellenza a Trieste, è in aumento e cominciano a esserci liste d’attesa.

Nel frattempo la Cassazione ha riconosciuto a una trans, Sonia Marchesi, prima Massimiliano, il diritto a una nuova vita “anagrafica” senza dover passare dall’operazione chirurgica. Già a novembre, a Messina, era arrivata
Il caso
Per cambiare sesso non è necessario operarsi Sonia ha vinto la sua battaglia
20/7/2015
la prima sentenza che permette di definirsi legalmente uomo o donna indipendentemente dal sesso biologico. Come scrive il giudice, «Il fenomeno della transessualità nella società contemporanea è profondamente mutato e con l’ausilio delle terapie ormonali e della chirurgia estetica la fissazione della propria identità di genere spesso prescinde temporaneamente o definitivamente dalla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari».


Hen È meglio di han e Hon?
Tante sfumature, molte più di 50. Tiresia Valentina Coletta, 29 anni, ex seminarista in Vaticano ora studentessa di psicologia a Roma, preferisce definirsi «genderfluid»: «Il mio genere è femminile, ma io sono nato maschio, ed è una parte che rimane in me».

E la burocrazia? Che ne sarà di Mr. e Mrs? In Svezia hanno già introdotto un pronome neutro, Hen, accanto ai tradizionali Han (lui) e Hon (lei). La già citata Martine Rothblatt propone Pn. (persona), ma c’è anche chi suggerisce Mx (pronunciato mix), e l’OxfordDictionaries.com sembra disponibile a introdurlo nel prossimo aggiornamento: per il momento è nella lista delle parole nuove. Il cantante Justin Vivien Bond usa Mx già dal 2011 («Suona come una descrizione di ciò che ero, una mescolanza di generi»).

Dall’anno scorso la Royal Bank of Scotland offre ai clienti la possibilità di selezionare Mx per riempire i moduli nei loro uffici. Ma è difficile, avvertono i linguisti, eliminare il lui/lei nel parlato, anche se una etichetta LGBTQ sta già nascendo. Maxim Februari, filosofo olandese che si chiamava Marjolijn, in “The Making of a Man”, spiega come parlare con chi è “in transizione” senza cadute di stile. Per esempio, tra le domande da non porgli: 1) Qual è il tuo vero nome? 2) Il tuo nuovo nome è il tuo vero nome? 3) Ti sei già operato? Februari racconta che a lui chiedono spesso: «Hai una vita sessuale? Come? C’è gente che vuole fare sesso con te?», «Sei “lui” o “lei”?». Vogliono sapere se sono “intersessuale”, o se il mio corpo è così ambiguo che non sono né uomo e donna». Alla fine elenca i “nonpliments”, ovvero complimenti che hanno l’effetto opposto al voluto: «Wow, sembri davvero un uomo!», «Che bella donna che eri!», «Sei meglio degli altri trans». Gira gira, si finisce sempre con domande sul pene: « Ti chiedono se ce l’hai o lo vuoi, come se ne avessero uno in più da offrirmi».

In realtà, tutte queste storie arrivano allo stesso punto: non chiedere, non indagare, non distinguere. La bella Andrejia si preoccupava delle sue relazioni con gli uomini e dell’amore. Finché si è guardata allo specchio e piaciuta, e ha avuto il coraggio di dirsi: «Io non ho niente di cui vergognarmi. Io sono come sono».