La Cassazione ha accolto il ricorso di una persona che chiedeva il riconoscimento all'anagrafe senza essersi sottoposta a intervento chirurgico. Una sentenza storica per l'intera comunità transgender. E ora l'Arcigay chiede una legge
Alla fine Sonia ce l'ha fatta, e la sua vittoria è una tappa importante per la comunità transgender: dopo anni di cause e ricorsi ha ottenuto dallo Stato di essere riconosciuta come donna senza la necessità di doversi sottoporre a un intervento chirurgico. Sonia Marchesi, in origine Massimiliano, piacentina di 45 anni, aveva chiesto prima al tribunale di Piacenza, e poi in appello a quello di Bologna, di poter cambiare sesso e nome all'anagrafe pur non avendo mai fatto l'operazione ai genitali: richieste entrambe respinte, finché la Cassazione oggi ha deciso di darle ragione.
Il Mit, movimento italiano transessuali, e la Rete Lenford, associazione di avvocati che si occupa di diritti Lgbti, definiscono «storica» la sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione. "Il trattamento – scrive la Corte riferendosi alla donna – nel suo caso non solo non era necessario ma si rivelava anche dannoso per il timore radicato di conseguenze pregiudizievoli per la sua incolumità fisica, tenuto conto che negli anni, in conseguenza di numerosi trattamenti estetici ed ormonali, aveva raggiunto la piena armonia con il proprio corpo". "Non vi era più conflitto tra il proprio sentire psichico e la condizione anatomica e non veniva, di conseguenza, più avvertita l'esigenza di assoggettarsi a un intervento chirurgico per realizzare la propria identità sessuale".
A oltre 30 anni dalla legge sul cambio di sesso, la 164 del 1982, cambia quindi l'interpretazione: fino a oggi i giudici, tranne poche sentenze recenti, avevano sempre negato il cambio di sesso e di nome senza un intervento chirurgico ai cosiddetti "caratteri sessuali primari" (ovvero i genitali), non ritenendo sufficiente il percorso psicologico, ormonale e il cambio dei caratteri secondari (ad esempio il seno) compiuto da una persona transgender.
Oggi in tempi sono cambiati, e infatti la Cassazione, in un altro passo della sentenza, sostiene che "il desiderio di realizzare la coincidenza tra soma e psiche è, anche in mancanza dell'intervento di demolizione chirurgica, il risultato di un'elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici corrispondenti ai diversi profili di personalità e di condizione individuale. Il momento conclusivo non può che essere profondamente influenzato dalle caratteristiche individuali. Non può in conclusione che essere il frutto di un processo di autodeterminazione verso l'obiettivo del mutamento di sesso, realizzato mediante i trattamenti medici e psicologici necessari, ancorchè da sottoporsi a rigoroso controllo giudiziario".
In pratica, non può essere soltanto l'intervento chirurgico a determinare il cambio di sesso di una persona: Sonia, infatti, aveva rinunciato alla demolizione e ricostruzione chirurgica dei suoi organi genitali proprio perché aveva raggiunto nel tempo un proprio equilibrio psico-fisico, e da 25 anni vive ed è socialmente riconosciuta come donna. Già nel corso dell'udienza del maggio scorso,
di cui l'Espresso aveva riferito , la procuratrice generale Francesca Ceroni aveva sostenuto questa interpretazione di fronte ai giudici della Corte.
"Finalmente anche in Italia si tiene conto dell'importanza del percorso complessivo di una persona, e non solo di una operazione chirurgica – commenta Alessandra Gracis, l'avvocata, anche lei transgender, che ha difeso Sonia in tutti i gradi di giudizio – Questa decisione della Cassazione è coerente con una sentenza recente della Corte europea dei diritti dell'uomo e con le leggi varate in Danimarca, Malta e Irlanda, dove non viene più richiesto l'intervento chirurgico per il cambio nei documenti. Adesso ci aspettiamo un altro passaggio: la ministra della Sanità Beatrice Lorenzin metta in piedi un centro specializzato per le operazioni chirurgiche di cambio di sesso. Molte persone scelgono infatti di non operarsi non solo perché non lo ritengono necessario, ma a volte anche per paura di essere danneggiate da un sistema sanitario che in Italia ancora non funziona. E non tutti hanno i soldi per sottoporsi a un intervento all'estero".
Soddisfazione per la sentenza anche dall'Arcigay, che adesso chiede una legge: "Questa sentenza della Corte di Cassazione – commenta Ottavia Voza, responsabile politiche trans dell'associazione - sigilla un cammino iniziato con le numerose sentenze di merito dei Tribunali di Roma, Rovereto, Siena, Napoli, Messina, Genova. Ancora una volta l’Amministrazione della Giustizia interviene per colmare l’incapacità della nostra classe politica a tenere il nostro Paese nel novero dei Paesi civili. Ci auguriamo che questa sentenza costituisca il primo passo per l’approvazione di una nuova legge che accolga in maniera ancora più chiara ed inequivocabile il principio del diritto all’autodeterminazione delle persone trans, conseguenza diretta della depatologizzazione della transessualità, attraverso una semplificazione delle procedure, come accade oramai nella legislazione dei paesi più avanzati".