Google e le altre aziende della Rete hanno finanziato il presidente americano con oltre due milioni di dollari. E fanno una costante azione di lobbying all'interno della Casa Bianca e del Congresso
Internet ama i democratici e il loro partito. E si fida molto del presidente
Barack Obama. Altrimenti, che ragione avrebbero avuto nel 2012 Google e le altre aziende della Rete di finanziare Obama con oltre due milioni di dollari al tempo della corsa per la rielezione per il secondo mandato? Anche nel 2008 avevano scommesso sull’uomo giusto, quando Obama piombò nella corsa presidenziale dalle retrovie sbaragliando
Hillary Clinton nelle primarie e il senatore repubblicano John McCain nel rush finale verso la Casa Bianca: quella volta nelle casse di Obama arrivarono due milioni e 287 mila dollari, ?mentre la Clinton dovette accontentarsi di 379 mila e 912 dollari e
McCain raggranellò 210 mila e 182 dollari.
Quanto conta la politica americana - il Congresso e la Casa Bianca - ?per le società di Internet lo si ricava dall’evoluzione del finanziamento ?a partiti e candidati alla Camera, al Senato e alla Casa Bianca. Era il 1998, la rivoluzione digitale era in pieno svolgimento ma tutte le società di Internet già affermate come le start-up che sarebbero diventate miliardarie misero tutte insieme sul tavolo della politica soltanto un milione e 200 mila dollari. Sedici anni dopo, nel 2014, ?il flusso di finanziamenti ha toccato il tetto di 47 milioni e 300 mila dollari. E i primi due trimestri del 2015, con quasi 30 milioni di dollari, fanno capire che le spese per le azioni di lobbying su Congresso e Casa Bianca continueranno a crescere.
Che cosa vogliono dalla politica Google come Facebook, Linkedin come Kongregate? Prese singolarmente ?le società fanno azione di lobby per aspetti particolari della vita di ciascuna azienda: così Kongregate, finanzia le attività di deputati e senatori per evitare che ci siano leggi troppo restrittive nel settore del gioco d’azzardo on line, mentre Saleforces.com, che si occupa di creare relazioni tra venditori e acquirenti gestendo degli enormi data base sulla propria cloud, desidera evitare restrizioni sull’uso dei dati personali di cui dispone. Oppure ancora eBay cerca ?di evitare che il suo grande bazaar virtuale si regolato dal punto di vista fiscale, o Pandora punta ad avere le mani libere sullo streaming di musica e sui diritti da pagare agli autori.
Tutte insieme, però, hanno un interesse comune: evitare che venga messa in discussione la cosiddetta Net Neutrality, la neutralità di Internet. Vuol dire che tutti coloro che producono o distribuiscono contenuti, o creano applicazioni, o gestiscono piattaforme che mettono in collegamento fornitori di beni ?e di servizi con i singoli clienti, non devono essere ostacolati lungo il percorso per arrivare a destinazione. ?I padroni dei cavi che distribuiscono il segnale, ovvero le società di telecomunicazione (At&t, Comcast, Verizon, Time Warner) devono trattare tutti i clienti allo stesso modo, senza favoritismi e senza ostacolare nessuno. Ma è già accaduto che qualche società ?di telecomunicazione abbia scorrettamente ritardato, o addirittura bloccato, la presenza ?su Internet di società che erano in concorrenza con le stesse telecom.
[[ge:espresso:attualita:1.226584:article:https://espresso.repubblica.it/attualita/2015/08/27/news/censura-online-ecco-come-funziona-la-dittatura-delle-policy-1.226584]]
?La battaglia delle società di Internet si svolge così in Congresso e nella Federal Communications Commission, l’ente governativo ?che stabilisce le regole entro le quali possono operare le compagnie telefoniche, quelle radiotelevisive e tutte le aziende che distribuiscono un segnale via cavo o via etere. Il mondo di Internet non rientra nelle attività ?di controllo della Fcc, essendo ?stato qualificato come “information service”. È un bene e un male allo stesso tempo, perché non ci sono ostacoli alla crescita delle singole aziende anche se poi non usufruiscono delle regole federali ?che hanno come obiettivo finale l’obbligo di operare senza discriminazioni riguardo alla clientela. Nell’ultimo anno poi ?si sono risolte negativamente per ?il mondo di Internet alcune vicende legali: i giudici federali di appello ?di Washington, per esempio, hanno dato ragione alle compagnie che distribuiscono il segnale in una controversia contro un website che ?si riteneva danneggiato nella velocità con cui poteva essere fatto il download dagli internauti. ?
Ecco allora che l’azione di lobby diventa uno strumento chiave da parte delle società di Internet ed ecco spiegato il veloce aumento, anno dopo anno, dei finanziamenti alla politica. La classifica dei venti politici più finanziati dalle società di Internet fotografa la predilezione dei democratici con 13 esponenti ?del partito del presidente Obama ?e 7 dell’opposizione repubblicana. Dunque, i democratici vincono la corsa con il 65 per cento. Se si guarda invece alla quantità di denaro la proporzione a favore dei democratici è ancora maggiore. Basta guardare ?la differenza dei finanziamenti nell’ultima campagna presidenziale (2012) per avere un elemento di giudizio in più sulla simpatia di cui godono i democratici nel mondo di internet: Obama ebbe finanziamenti per oltre 2 milioni di dollari, il rivale repubblicano
Mitt Romney si fermò a quota 424 mila e 982 dollari.
Nella lista dei 20 politici più finanziati, al primo posto c’è il più fresco tra i senatori del Partito Democratico. È
Cory Booker, eletto in New Jersey alla fine del 2013 in una elezione speciale (era morto uno dei due senatori dello Stato). Booker ha ricevuto oltre 230 mila dollari ?e tra i suoi incarichi c’è quello ?di membro della Commissione commercio che si occupa di tutte ?le questioni legislative relative a Internet. Al secondo posto, con finanziamenti per 195 mila dollari c’è un ex sottosegretario al Commercio,
Ro Khanna. Al terzo, con 96 mila ?e 250 dollari, troviamo
Zoe Lofgren, deputata della California eletta nel distretto di San Josè, l’area a più ?alta densità di società di internet. Solo al quarto posto un repubblicano con 82 mila dollari: è il capo dei senatori
Mitch McConnell.?
Tra le società, Google vince la corsa ?dei finanziamenti alla politica. Nel solo 2014 ha speso in azioni di lobby oltre 3 milioni di dollari. Al secondo posto c’è Zynga, società di videogame, con un milione e 200 mila dollari. Solo al quinto posto troviamo Facebook con 630 mila dollari, ma questa azienda occupa il secondo posto se si guarda alla classifica dei finanziamenti ai singoli deputati o senatori. Molte di queste società fanno azione di lobby anche all’estero, specie in Unione europea. Ma su quanto spendono non si sa praticamente nulla, perché non esistono associazioni come il Center ?for Responsive Politics che possiedono e rendono pubblico un dettagliatissimo database sul lobbysmo in politica.